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Storie di Boxe

Talento e grinta poesia e violenza... la boxe è questa

Copia di 1

Amore, delusioni, coraggio, determinazione. Leonard Bundu ci ha ricordato qual è il segreto di uno sport che sa colpire l'anima

Mi sono sempre fidato di Bundu professionista, ho sempre saputo che si sarebbe battuto al meglio. Non ha mai tradito.

È andata così anche stavolta. Mi concedo questo articolo di riflessioni dopo avere scritto a caldo le mie impressioni sulla sconfitta di Leo contro Errol Spence jr.
Quando sul ring c’è un pugile a cui vuoi bene giudichi il match passando al setaccio le emozioni che ti lascia.
E allora ve le racconto senza pudori.
Avevo paura prima che l’incontro cominciasse. Avevo paura perché conoscevo la forza di Errol Spence jr. Uno spietato esecutore, pugilisticamene parlando. Una faccia che non lascia trasparire emozioni, due mani che fanno male ogni volta che arrivano a segno, una difesa super e la capacità di non sprecare neppure un colpo.
E poi mi facevano paura i 41 anni di Leo.
Sono stato in tensione fino a quando non  è suonato il primo gong.
Poi ho provato una scarica di adrenalina, una scossa elettrica che mi ha attraversato il corpo quando ho visto Bundu partire in attacco. A quel punto mi sono chiesto se dovessi avere ancora più paura dal momento che avevo appena avuto la conferma che lui era pronto a giocarsi tutto per realizzare un sogno.
È stato allora che mi sono detto “bravo”.
Sì, non lo nascondo. Mi sono detto “bravo”.

bundu1

Leo è un omino che sorride. Va ovunque lo chiamino, fa il suo lavoro, incassa la parcella e torna a casa. Mai una lamentela, mai un rimprovero.

E ogni volta si gioca tutto, come solo un guerriero riesce a fare. Come un cavaliere medioevale, ha dentro nobiltà d’animo e sa che per prendersi il tesoro deve soffrire.

Mi sono detto “bravo” perché non ho mai perso la fiducia in lui, anche davanti a un pronostico decisamente contro. Perché ho avuto la conferma che di Leo Bundu posso parlare con gli amanti del pugilato, ma anche con chi ha scarsa frequentazione con questo sport. Lui farà sempre una bella figura.
Tempo fa è stato testimonial di un mio libro. Durante la presentazione si è commosso, ha pianto mentre raccontava la sua storia. La gente ha applaudito quella sincerità, quella capacità immediata di entrare in sintonia con chi ti ascolta.
Se è bravo a farlo con le parole e i gesti, lo è ancora di più con i pugni.
Attaccante dotato di buona tecnica, anche se non ha la castagna che stende i rivali Leo è un campione. Fa piacere vederlo combattere. Ha talento, senso tattico, grinta.
Contro Spence jr partiva con debiti pesanti. Otto centimetri in meno di altezza, quasi diciotto anni in più di età. Eppure ci ha provato, come ogni pugile che si rispetti deve fare.
È questo che mi piace di Leo. La consapevolezza del ruolo. Dentro e fuori dal ring, la capacità di recitare da protagonista ovunque si trovi.
È finito ko, eppure ha rimediato migliaia di pacche sulle spalle. E non c’era ipocrisia in alcuno di quei gesti d’affetto. Erano dettati da un senso di riconoscenza verso chi era andato a rischiare tutto per rispettare l’impegno preso. Con se stesso e con la boxe.

spence

Mi fa un po’ rabbia sapere che ha una popolarità ristretta nei confini del suo sport. Non ha avuto quel che meritava. Un po’ per colpa di un lavoro di promozione che non è nelle corde della boxe di casa nostra, un po’ per la disattenzione dei giornalisti che difficilmente si accostano a un campione di pugilato per il solo fatto che è bravo.

Questo pensavo stamattina. La stampa si entusiasma solo per quello che è facile da vedere. Guarda sempre il dito, mai la Luna. Paginate sul tiro a segno, la lotta, la ginnastica artistica, il ciclismo su pista durante l’Olimpiade di Rio 2016, ma con il preciso impegno di quattro anni di assoluto silenzio per poi tornare nuovamente a entusiasmarci per sport di cui neppure conoscono le regole.
Se ti passa sotto il naso ti sforzi di raccontare, e non è detto che tu ci riesca. Se devi andare a cercare, meglio lasciar perdere e aspettare un’occasione più comoda.
Leo Bundu e altri come lui pagano le colpe di un mondo dei media  impigrito, senza entusiasmo e privo della voglia di stupirsi. Un mondo che non ha più la curiosità di scoprire belle storie da raccontare.
Leo ha perso per ko. E ha riconosciuto la superiorità del suo rivale.
Dite, come poteva essere altrimenti? Dico, calma non tutti hanno coraggio e consapevolezza per riconoscere l’evidenza.
Ha perso per ko, ma in quei sei round in cui è stato sul ring ha cercato sempre la via migliore per vincere. Ha accettato rischi e sofferenze, perché sapeva che erano l’unico modo per continuare a sperare. Ha attaccato il campione, ha fatto pressione su Errol Spence jr nonostante il 26enne texano avesse mani pesanti come mattoni. È il destino di un pugile quello di andare a caccia dell’impossibile.

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“Se c’è una magia nella boxe è la magia di combattere battaglie al di là di ogni sopportazione, al di là di costole incrinate, reni fatti a pezzi e retine distaccate. È la magia di rischiare tutto per realizzare un sogno che nessuno vede tranne te.”
(da Million Dollar Baby)

In fondo è questo il segreto del pugilato. Un segreto che solo chi c’è dentro anima e corpo può provare a interpretare. Se sei lontano dal ring, se non hai mai provato a capire cosa sia realmente un match di boxe, allora tutto questo ti sembrerà semplicemente un atto di brutale violenza.
Per chiarire meglio il concetto mi faccio aiutare da Joyce Carol Oates, scrittrice americana.
Uomini e donne che non abbiano ragioni personali o di classe per provare rabbia, sono inclini a respingere questa emozione o, addirittura, a condannarla pienamente negli altri. ….Eppure questo mondo è concepito nella rabbia, nell’odio e nella fame, non meno di quanto sia concepito nell’amore: e questa è una delle cose di cui la boxe è fatta. Ed è una cosa semplice che rischia di essere trascurata. Quelli la cui aggressività è mascherata, obliqua, impotente, la condanneranno sempre negli altri. E’ probabile che considerino la boxe primitiva, come se vivere nella carne non fosse una proposta primitiva, fondamentalmente inadeguata a una civiltà retta dalla forza fisica e sempre subordinata a essa: missili, testate nucleari. Il terribile silenzio ricreato sul ring, è il silenzio della natura prima dell’uomo, prima del linguaggio, quando il solo l’essere fisico era Dio…

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Forse sono solo un visionario, un sognatore. O, peggio, un sadico. Ma domenica notte in quel match ho visto tutto questo. C’era violenza, inutile negarlo: sarebbe iprocrita. Ma c’era anche poesia. Forse ne parlo così, direte voi, perché è finita bene. Nel senso che Leo non ha pagato un pegno più pesante del ko. Forse. Ma qualunque sia il vostro pensiero, prima di giudicare Leonard Bundu e il pugilato imparate a conoscere entrambi.
Non ho più l’età per commuovermi davanti a un evento di sport, ma un match di boxe va oltre. È bello e mi piace anche perché riesce a rubarmi l’anima.
E Bundu c’è riuscito anche stavolta.

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