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Hall of Fame 2023

Serata dei campioni a Forlì, la manifestazione raccontata in un video. Eccolo!

Grande successo della quinta edizione della Hall of Fame del Pugilato Italiano, organizzata a Palazzo Albicini (Forlì) da Boxeringweb,  quotidiano online.
Cinque i campioni che nel 2023 sono entrati nella Casa della Gloria: i vincitori di un titolo mondiale Salvatore Burruni, Alessandro Duran, Silvio Branco, Stefano Zoff e l'arbitro internazionale Angelo Poletti.
In sala i campioni del mondo Valerio Nati e Simona Galassi.
Un premio speciale è andato al campione europeo Matteo Signani, che il 18 novembre difenderà il titolo in Inghilterra.
Appuntamento al 2024...

 

Che successo la serata dei campioni a Forlì! Le foto della manifestazione

Grande successo della quinta edizione della Hall of Fame del Pugilato Italiano, organizzata da Boxeringweb,  quotidiano online.

Cinque i campioni che nel 2023 sono entrati nella Casa della Gloria: i vincitori di un titolo mondiale Salvatore Burruni, Alessandro Duran, Silvio Branco, Stefano Zoff e l'arbitro internazionale Angelo Poletti.

In sala i campioni del mondo Valerio Nati e Simona Galassi.

Un premio speciale è andato al campione europeo Matteo Signani, che il 18 novembre difenderà il titolo in Inghilterra.

Appuntamento al 2024...

Stefano Zoff, a 33 anni si è tolto lo sfizio di vincere il mondiale

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di Dario Torromeo

Di quel giorno ricordo (quasi) tutto.
Era il 7 agosto del ’99.
Stefano aveva uno sguardo magnetico, sembrava volesse ipnotizzarmi. Gli occhi frugavano nella mia anima, senza alcun rispetto per la poverina. I tatuaggi riempivano il suo corpo. Un cobra sulla spalla sinistra, un disegno tribale sulla destra, un lupo e un vichingo sulla schiena. Un mezzo sorriso, degno del Nicholson di Psyco, completava il quadro.
Fino a quattro anni prima faceva l’imbianchino. Adesso abitava a Monfalcone e andava in palestra a Ferrara, da Massimiliano Momo Duran.
Si allenava rubando ore al sonno e alla famiglia. 
A 33 anni aveva incrociato la grande occasione.
Vero, in una categoria che non era la sua, quella dei leggeri, contro un rivale robusto e grintoso come Julien Lorca, in terra straniera, a Le Cannet in Francia.
Ma se si fosse fermato davanti a tutto questo, l’occasione non l’avrebbe mai avuta.
Il suo momento buono, a cavallo tra il 1994 e metà 1996, era passato. Poi, come mi ripeteva spesso, aveva perso tempo. Adesso, ritrovato l’entusiasmo, era pronto a dare battaglia. 


Salvatore Cherchi, il manager, glielo aveva detto mentre gli stava levando i guantoni subito dopo la vittoriosa difesa del titolo italiano contro Prisco Perugino.
E adesso il mondiale!.
Aveva avuto l’impressione di calarsi un sogno, era la realtà.
Gli avevo chiesto come fosse il rapporto con Momo Duran, l’allenatore.
Lui mi aveva risposto con una sola parola.
Preoccupante.
La mia espressione gli aveva strappato un sorriso. 
Nel senso che mi sento troppo bene. Dormo senza problemi, accuso solo parzialmente la fatica, sto in un ambiente che mastica pugilato. Mi sento così bene che comincio a preoccuparmi. Così mi chiedo, dove sta l’errore?
Nella mia mente si accavallavano i ricordi del campione del mondo WBA dei leggeri in allenamento. Julien Lorcy aveva il naso schiacciato, gli zigomi piatti e lucidi. Il volto raccontava come la boxe lui l’avesse sempre interpretata in attacco. Picchiava, ma con quel fisico tozzo che aveva, era costretto ogni volta a lasciare sul ring un po’ di sé stesso. 
Stefano Zoff era un tipo lungo e secco con lo sguardo incazzato. Gli occhi ti braccavano senza tregua. Le braccia erano tentacoli con i quali provava a soffocare i rivali.
Il biondo di Francia era, di gran lunga, il favorito. Sul ring sapeva trasformarsi in un toro infuriato. Attaccava, attaccava e poi attaccava di nuovo.
Il mondiale si prospettava duro, difficile. Ma se c’er una cosa che a Stefan o non faceva difetto, era la tenacia.
Si andava in scena...

 


Veronica, la figlia di Zoff aveva otto anni. Riccioli castani, sguardo sempre attento. 
Il babbo, in una magica notte in terra di Francia, era appena diventato campione del mondo. A 33 anni, l’età in cui molti smettono di combattere.
Quella notte, a sfida conclusa, la piccola entrava nello spogliatoio. Aveva gli occhi rossi di sonno e pianto, tirava su il faccino e pronunciava poche parole.
Papà, ti ha fatto male?
Anche un guerriero piange. 
Zoff prendeva su la figlia e si faceva il primo regalo da campione.
Un tenero abbraccio.
Julien Lorcy aveva gli occhi gonfi, una brutta ferita sotto l’arcata sopraccigliare sinistra, rivoli di sangue ne disegnano la faccia. Il torello infuriato alla fine aveva incontrato il suo matador. Lo sfidante aveva preso in mano la sfida dopo soli tre minuti, il tempo di una ripresa. Aveva tolto spazio, respiro, possibilità di movimento al campione. Attaccato, soffocato da quel sinistro che non gli concedeva tregua, il francese cercava di abbozzare una reazione. Ma quella notte Stefano Zoff apparteneva alla schiera dei grandi del ring, di quelli che regalavano emozioni andandole a pescare nel profondo dell’anima. E così quando anche l’ultima stilla di energia stava per abbandonarlo, era il coraggio a fare da terreno fertile, da riserva a cui poter attingere le ultime decisive risorse.


Quando andavo a trovarlo negli spogliatoi, Zoff aveva la faccia di uno che aveva appena visto passare un marziano, ma non aveva osato chiedergli nulla.

Non mi sembra vero. Sto pensando a domani, quando tornerò a casa. Mi sveglierò e riprenderò a vivere la mia esistenza di sempre. La gente mi darà le solite pacche sulle spalle dicendomi: “Bravo Stefanino, ma non vinci mai niente. Stefanino, hai 33 anni, è ora che tu faccia qualcosa.
È difficile spiegare come un bravo pugile fosse riuscito a diventare quel campione che avevo visto sul ring di Le Cannet. Certo si era allenato con metodo. A Ferrara, da Massimiliano Duran aveva lavorato duro.
Palestra, dieta, a letto presto. Quando avevo 20 anni mettevo il cambio dei vestiti nel bagagliaio della vespa, andavo ad allenarmi, mi cambiavo e via in giro fino alle 3 di notte. Alle 7 ero già in piedi per andare a lavorare. Adesso se provo a farlo una sola volta, mi ricoverano.
Era sempre stato un tipo allegro Stefano. Un tempo si faceva accompagnare anche dalla superstizione, adesso aveva capito che poteva farne a meno. Ma fedele al passato qualcosa si portava ancora dietro: una moneta da mezzo dollaro d’argento regalatagli da Franco Cherchi, il fratello del manager.
Salvatore Cherchi era l’uomo che aveva creduto in Zoff quando, a 32 anni, era andato a chiedergli un grande finale di carriera. Era anche stato quello che l’aveva spronato all’angolo, nel momento in cui il futuro campione sembrava avesse un dubbio di troppo nella testa.
In giro non c’era nessuno disposto a scommettere su di me. Non dico 100.000 lire che sono tante, ma neppure 5.000. In allenamento, durante una seduta di guanti con Casamonica, mi sono fatto un taglio sotto l’arcata sopraccigliare destra. Proprio io che in carriera non mi sono mai spaccato. Per fortuna è andata bene, così come è andata bene dopo quella testata del francese nell’ultima ripresa.Ora però vorrei togliermi un altro sfizio: combattere a Las Vegas. Cherchi dice che sono matto e che è tempo di bussare a denari, basta inseguire i sogni.
Campione del mondo. Ieri una favola. Poi, finalmente, la realtà.


Il Pirata andava incontro all’alba alzando la cintura. Un titolo vinto all’estero, in un match vero, contro un bravo avversario. 
Aveva ragione Veronica quando, chiudendo la porta dello spogliatoio, gli regalava cinque parole che lo rendevano davvero felice.
Papà, sei stato proprio bravo.

LA CENA DI GALA DELLA HALL OF FAME ITALIA 2023
SI SVOLGERA' SABATO 28 OTTOBRE A PALAZZO ALBICINI (CORSO GARIBALDI 80, FORLI')
PRENOTAZIONI  ALLO 0543.550608 / 3391415615
  
(costo: 38 Euro, fino a esaurimento posti)  Orario di inizio 20:15.

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Cinque personaggi entreranno nella Casa della Gloria. Il Comitato Direttivo (Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Franco Esposito, Alessandro Ferrarini, Davide Novelli, Vittorio Parisi e Dario Torromeo) ha scelto per il 2023 i campioni del mondo Salvatore Burruni, Silvio Branco, Alessandro Duran, Stefano Zoff e l’arbitro internazionale Angelo Poletti.

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Alessandro Duran, trentatré volte sul ring per un titolo (italiano, europeo, mondiale)

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di Maurizio Roveri

Per raccontare Alessandro Duran, pugile e uomo, è necessario fare parlare i numeri di 19 anni di attività. Non ha mai cercato scorciatoie, tutto ciò che ha vinto se lo è guadagnato. Sono 17 i match per il titolo italiano (13 vittorie). Nove sfide europee (cinque successi), 7 incontri per il mondiale WBU (3 affermazioni), 33 sfide con un titolo in palio (21 trionfi).
Sempre tra i welter. 
Pugile pro per vocazione. Il maestro ce l’aveva in casa, suo padre Juan Carlos Duran, detto “El Fofro” in Argentina: un fiammifero che s’accendeva di spirito combattivo e di talento, uno che aveva boxato in un’arena come il Luna Park di Buenos Aires prima di trasferirsi in Italia nel 1960. 
Fin da bimbo Alessandro, assieme a Massimiliano che ha due anni in più, guardava in tv quel papà così bravo. Il suo esempio, Alessandro lo porta sempre con sé.
Cominciava con il calcio. Così, per gioco. Un divertimento. La boxe no, non era un gioco. Andava affrontata con infinita passione, massima serietà, sacrificio. 
Alessandro e Massimiliano rinunciavano al football. Sceglievano il pugilato. Consapevoli dell’impegno severo che una disciplina sportiva come questa richiedesse. Lo facevano per far felice il papà? No. Anzi, quando i suoi figlioli gli avevano confessato il progetto, lui aveva risposto: Siete matti? 
L’ex-campione d’Europa se li ricordava bene tutti i sacrifici che aveva dovuto fare. Il pugilato è troppo duro. Diceva. 
Però loro insistevano. Promettevano a Carlo e a mamma Augusta che avrebbero preso questo sport con la massima serietà, senza trascurare gli studi. 
E così è stato.
Alessandro aveva 18 anni e un sogno: diventare professionista. Era il 1983. In Italia il regolamento non permetteva ai dilettanti di fare il grande salto prima del 21esimo anno. Il ragazzo si sentiva pronto. E allora, padre e figlio andavano negli Stati Uniti, a Chicago. Quaranta giorni di intensi allenamenti nella palestra di un anziano allenatore e manager italo-americano. Nella zona più brutta della città. Sguardi duri attorno al novellino di Ferrara. Una cinquantina di pugili che si battevano per cercare di emergere. Lì la fame la toccavi con mano. Nessuno regalava niente al ragazzo dalla faccia pulita. Alessandro non si spaventava, accettava le sfide. 
E allora succedeva che un giorno Frank Tomaso, che dirigeva la palestra, proponeva a Carlo di fare combattere il figliolo. Lo inseriva in un evento al “DiVinci Manor”. Okay, diceva Alex (come lo chiamano in palestra). Ed era così che avveniva, a sorpresa, il debutto da professionista. Contro il messicano Victor Perez, anche lui all’esordio ma con 109 match da dilettante alle spalle, mentre Duran… aveva fatto appena 8 incontri prima del salto. Alessandro vinceva bene. 
Quando gli ho chiesto quale fosse stata l’emozione più forte in 19 anni di carriera, mi ha risposto: “Quel 9 luglio 1983, a Chicago. Debuttare da professionista in America, così giovane e in un contesto molto differente da quello al quale ero abituato: un’esperienza unica. Che inoltre avveniva in una situazione delicatissima, per me e per mio papà. La nostra iniziativa è presa male dalla Federazione Pugilistica Italiana. Ho dimostrato, con la mia carriera, che avevo ragione. Infatti, dopo tanti anni, quella regola dei 21 anni viene abolita. Ma io, per avere avuto il coraggio di infrangere un regolamento sbagliato, ne pago le conseguenze”.
Diciotto mesi di squalifica.
Il 25 ottobre 1985 combatteva da pro anche in Italia, a Ferrara. L’avversario er Apollo Sewawa, ugandese. Alessandro gli sparava un magistrale gancio destro al quinto round e vince per KO. 
Titoli italiani. 
Ne ho fatti 17, e quel numero è stato a lungo snobbato. Perchè si tende a non dare la giusta importanza al campionato italiano. Io ne vado fiero. Ha un suo valore. È la base.
La tragedia si abbatteva sulla famiglia Duran. Papà Carlo se ne andava via per sempre in un incidente stradale, quel maledetto 2 gennaio 1991. I ragazzi perdevano il loro eroe, il punto di riferimento. Reagivano dimostrano coraggio. Massimiliano era già diventato campione del mondo. Con un match-capolavoro, nel luglio 1990 a Capo d’Orlando, aveva costretto Carlos De Leon a vivere una notte di frustrazione.  
Alessandro si stava destreggiando fra le curve del titolo italiano. Nella seconda metà del 1996 passava da Pasquale Perna, valoroso sfidante campano per il tricolore, a Gary Murray mancino sudafricano (28-1-0). Era il campione mondiale WBU in carica. Guascone dalle origini scozzesi, si presentava sul ring di Sanremo pensando di fare una “passeggiata”. Partiva all’attacco sferrando colpacci che però colpivano l’aria. Quando si accorgeva che l’italiano aveva buona tecnica e lo mandava spesso a vuoto, perdeva il controllo. Si gettava in maniera scomposta su Ale. Costringeva l’arbitro statunitense Dale Grable a squalificarlo per scorrettezze. 
Era il 26 ottobre 1996. 
Quattro mesi più tardi, la rivincita. A Ferrara. Il sudafricano cercava la battaglia. Alessandro imponeva la tecnica. Vittoria chiara ai punti.
E dopo Murray, sotto con Peter Malinga, origini zulu, muscolatura possente, la dinamite nei cazzotti. Combattimento in programma in Sicilia, a Palma di Montechiaro, 30 luglio 1997. Avveniva un fattaccio. Sul finire della terza ripresa, l’arbitro americano Tony Orlando andava a mettersi tra i due pugili, per separarli dopo un corpo a corpo. Nel farlo abbracciava Duran, praticamente bloccandolo. Alessandro così non si accorgev che l’altro gli stava piombando addosso con una tranvata. Duran piegava le gambe. Sul suono del gong Malinga portava un altro colpo. Il referee non si rendeva conto della situazione. E decretava Duran ko. Un verdetto che scatenava infinite polemiche. Tanto che veniva accordata la rivincita immediata.
Tre mesi più tardi, sul ring di Ferrara, Duran si trovava nuovamente faccia a faccia con Malinga. Inquadrava il velenoso avversario. Studiava con Massimiliano, che lo allenava, una strategia che si rivelava perfetta nel togliere pericolosità al destro di Malinga. Probabilmente questo è stato, dal punto di vista tattico, il suo capolavoro.
Ancora due sfide per il mondiale WBU dei welter. Le più appassionanti, le più seguite a livello mediatico. Alessandro Duran contro Michele Piccirillo. Pugili dall’espressione tecnica notevole. Grande rivalità. Piccirillo arrivava all’evento con 25 successi in 26 match. Sede del mondiale il PalaCatania. Duran partiva bene, andava a segno, non si faceva colpire. Piccirillo, dopo avere studiato le mosse del rivale, rompeva gli indugi. Scorgeva il ferrarese alle corde, non perfettamente in guardia, e con ottima scelta di tempo lo infilava con un destro efficace. Alessandro era al tappeto. Quando si rialzava, chiuso in un angolo, non riusciva ad arginare il turbine di colpi. Saggiamente il manager, Salvatore Cherchi, lanciava l’asciugamano. 
Anche per questo mondiale, c’era una rivincita. Piccirillo difendeva il titolo in casa. A Bari. Il combattimento andava in scena al PalaLaforgia il 19 ottobre 1998 ed era uno di quelli che sarebberoentrati nella storia del pugilato italiano. Dodici riprese vibranti. 
Forse le più entusiasmanti disputate tra due italiani, dai tempi delle sfide tra Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi”, così le ha definite lo scrittore Gualtiero Becchetti in un libro.
Il verdetto, ai punti, premiava Piccirillo. 
Quella battaglia fra me e Piccirillo, a Bari, è stata una grande immagine di vera boxe. Se un combattimento così l’avessero fatto due americani, sarebbe stato celebrato per anni”, afferma oggi Duran.
Alessandro era finito. Così pensava la gente.
Invece no.
Sapeva fare la boxe. Aveva esperienza e maturità. E tanta passione. 
Si tuffava sull’Europa.
Altri combattimenti aspri, altri avversari valorosi. La strada dei sogni era fatta di sfide.  Alessandro incontrava i migliori. Maxym Nesterenko, Andrey Pestryaev due volte di fila, Ramon Escriche, Thomas Damgaard, di nuovo Maxym Nesterenko, poi Douglas Bellini e Christian Bladt. 
Cinque volte saliva sul trono dell’EBU. 
Chiudeva l’attività, 51 vittorie in 63 match, con un tranquillo incontro a Rijeka sui 4 round. Proprio come il primo combattimento da professionista, a Chicago diciannove anni e quattro mesi prima.
Sceso dal ring diventava maestro nella Pugilistica Padana Ferrara, assieme a Massimiliano. Per un periodo, tra il 2013 e i primi mesi del 2015, ha allenato anche Simona Galassi. 
Da cinque anni si fa apprezzare come voce tecnica di DAZN.

LA CENA DI GALA DELLA HALL OF FAME ITALIA 2023
SI SVOLGERA' A PALAZZO ALBICINI (CORSO GARIBALDI 80, FORLI')
PRENOTAZIONI  ALLO 0543.550608 / 3391415615
  
(costo: 38 Euro, fino a esaurimento posti)  Orario di inizio 20:15.

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Cinque personaggi entreranno nella Casa della Gloria. Il Comitato Direttivo (Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Franco Esposito, Alessandro Ferrarini, Davide Novelli, Vittorio Parisi e Dario Torromeo) ha scelto per il 2023 i campioni del mondo Salvatore Burruni, Silvio Branco, Alessandro Duran, Stefano Zoff e l’arbitro internazionale Angelo Poletti.


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Hall of Fame 2023. Silvio Branco, venticinque anni sul ring, più volte campione

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di Vittorio Parisi

Una carriera professionistica durata quasi 25 anni, titoli raccolti in un percorso che ha spaziato dai pesi medi fino ai pesi massimi leggeri, un fisico statuario da antico romano che negli anni Sessanta gli avrebbe garantito un ruolo in uno di quei film storici che andavano di moda all’epoca. Una volontà di ferro che gli ha consentito di raggiungere traguardi notevoli e la capacità di sapersi risollevare dagli avversi risultati che nella carriera di un pugile vero non mancano mai, ma che non tutti sanno mettersi alle spalle. 
La carriera professionistica di Silvio Branco è iniziata nel 1988 con un filotto di vittorie interrotta solo da un pari con un “becco a gas” come il ghanese Joshua Clottey, che aveva da poco battuto Romolo Casamonica e imposto il pareggio a Paolo Pesci, non due pugili qualunque.  
Tutti i campioni hanno una loro “bestia nera” e questa per Silvio Branco si rivelò essere Agostino Cardamone che gli impose la prima sconfitta a inizio 1992 quando il Nostro tentò la conquista del titolo italiano dei pesi medi. Titolo che non gli sfuggì un anno e mezzo dopo contro Luigi Di Cicilia, ma soprattutto difeso prima del limite contro un duro del ring come Giovanni De Marco che terminò la sua carriera quella sera stessa. 
Il livello italiano andava stretto a Branco, l’avventura europea contro l’imbattuto inglese Richie Woodhall, un grande pugile, andò però male.  
L’impressione era però che il nostro pugile avesse grandi potenzialità che non riuscisse a liberare completamente, soprattutto nell’usare con parsimonia la sua arma migliore che risiedeva nella potenza del destro.  Negli anni Novanta aveva preso peso una nuova sigla che assegnava titoli mondiali, la WBU, e Branco ad essa si rivolse pareggiando con lo statunitense Rodney Toney. Era il preludio del primo vero grande successo, la conquista dello stesso titolo superando un altro statunitense di quotazione ancora superiore, Thomas Tate,  nella sua Civitavecchia. Di notevole spessore la difesa contro Verno Phillips sempre a Civitavecchia. Branco mantenne questo titolo per 2 anni, dal 1996 al 1998, quando si materializzò nuovamente l’ombra di un Cardamone dominato sul piano tecnico-tattico, ma che lo colse con un destro tremendo per uno spaventoso K.O.  Esistono avversari che “hanno il tuo numero di telefono", come si suol dire e difatti Cardamone si aggiudicò anche il terzo incontro. 
Per l’imponente figura di Silvio Branco la categoria dei medi andava ormai stretta e lo stesso titolo WBU non gli sfuggì fra i supermedi contro l’americano Glen Johnson, titolo conservato contro l’ottimo inglese Robin Reid e perduto contro un fuoriclasse come l’imbattuto tedesco Sven Ottke.  
Il passaggio di categoria fra i mediomassimi gli regalò una delle più grandi soddisfazioni della carriera in quel di Marsiglia, quando conquistò il titolo WBA contro Mehdi Sahnoune, un francese imbattuto, spazzato via alla undicesima ripresa.  Spesso all’estero vincere prima del limite è l’unico modo di vincere e purtroppo Branco fu vittima, sempre in Francia, di un altro transalpino, Fabrice Tiozzo, premiato da un verdetto discutibile. 
Che Silvio Branco sia stato capace di battere a 40 anni il portoricano Manny Siaca testimonia della sua serietà di atleta e delle sue capacità (quella vittoria gli diede il titolo WBA ad interim), qualità che lo portarono a resistere 10 riprese in Canada, a 43 anni, di fronte al canadese Jean Pascal che era al meglio delle sue possibilità.  Finita qui? Nemmeno per sogno! Il finale di carriera, fra i massimi leggeri, gli, e ci regalò, una rivalità acerrima con Giacobbe Fragomeni, un po’ sopra le righe ma senz’altro sanguigna, ad oggi l’ultima del pugilato italiano in ordine di tempo.
Silvio Branco adesso è nella Hall of Fame del nostro pugilato.

LA CENA DI GALA DELLA HALL OF FAME ITALIA 2023
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PRENOTAZIONI  ALLO 0543.550608 / 3391415615
  
(costo: 38 Euro, fino a esaurimento posti)  Orario di inizio 20:15.

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Cinque personaggi entreranno nella Casa della Gloria. Il Comitato Direttivo (Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Franco Esposito, Alessandro Ferrarini, Davide Novelli, Vittorio Parisi e Dario Torromeo) ha scelto per il 2023 i campioni del mondo Salvatore Burruni, Silvio Branco, Alessandro Duran, Stefano Zoff e l’arbitro internazionale Angelo Poletti.


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Salvatore Burruni, storia di un piccolo gigante dal cuore d'oro

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di Gualtiero Becchetti

Salvatore Burruni nacque ad Alghero, l'11 Aprile 1933, in una famiglia contadina. Era l'ottavo e più piccolo rampollo. E piccolo sarebbe rimasto, fermandosi a 158 centimetri. Era un bambino quando varcò la soglia della palestra del proprio paese dove un allenatore-muratore, l'indimenticabile Franco Mulas, ne intuì le potenzialità. 
Burruni dimostrò rapidamente di essere speciale. Volontà, modestia, enormi risorse atletiche e caratteriali, lo proiettarono ben presto ai vertici dilettantistici nella categoria dei pesi mosca, 51 kg. Divenne campione d'Italia nel 1954 e nel 1956, campione mondiale militare in Germania nel 1955 e a Napoli nel 1956, conquistò l'oro ai Giochi del Mediterraneo di Barcellona nel 1955 (scoprì con stupore di parlare con i catalani in dialetto algherese!) e volò all'Olimpiade di Melbourne 1956, dove fu sconfitto dall'esperto sovietico Vladimir Stolnikov.
Ma c'era chi aveva già puntato gli occhi su di lui: il manager statunitense-ungherese-italiano Steve Klaus, al quale sarebbe subentrato nel 1961 Umberto Branchini.
Tore passò professionista nel 1957 e non deluse le aspettative, anche se nel 1958 subì una sconfitta contro Aristide Pozzali (unico italiano ad averlo battuto),talento dell'A.B.C Cremona del dott. Geo Castellani. Pozzali avrebbe potuto diventare un campione, se avesse avuto più disciplina. 
Il 27 settembre 1958 Burruni divenne campione italiano battendo ai punti Giacomo Spano, nativo di Marsiglia ma di radici sarde. Appena due settimane dopo però inciampò in Horacio Accavallo, argentino figlio di un emigrante di Potenza, che il 12 ottobre 1958, nello Stadio Amsicora di Cagliari, lo superò ai punti. Il 1º agosto 1959, Burruni si rifece ai punti e scrisse il primo segno negativo nel record del futuro campione del mondo.
In quegli anni Tore sostenne quattro vittoriose difese tricolori (due con Salvatore Manca, ancora con Giacomo Spano e contro il veneto Angelo Rampin) e finalmente arrivò la consacrazione internazionale. Il 29 Giugno 1961, ad Alghero, strappò la corona europea con un netto verdetto ai punti all'allampanato finlandese Risto Luukkonen. 
A "tambur battente" la difese poi con l'inglese Derek Lloyd (kot 6, il 12 agosto 1961 a Sanremo), con il duro marocchino di Spagna Mimoun Ben Ali (ai punti, il 30 giugno 1962 a Saint Vincent), con il francese Pierre Rossi (ai punti, il 14 settembre 1962, al Vigorelli di Milano), con l'altro francese René Libeer (ai punti, il 5 luglio 1963 ad Alessandria) ed infine, il capolavoro della carriera di Salvatore! 
Il match che Rino Tommasi, nel libro "La Grande Boxe", ha messo al primo posto nella graduatoria dei migliori incontri da lui organizzati: quello contro il ventiduenne imbattuto scozzese Walter McGowan, viso da bravo studente, sempre sorridente ma estremamente temibile sul ring!
Intanto il problema della bilancia era diventato sempre più duro. I digiuni e le saune erano ormai un crudele calvario a cui doveva assoggettarsi.
Se avesse vinto, per Burruni si sarebbero spalancate le porte verso il mondiale. Ma tantissimi, Rino Tommasi in testa, si domandavano: "Ce la farà?".
Il 24 Aprile 1964, al PalaEur di Roma, Burruni compì il miracolo. Terminò i quindici round con il sopracciglio sinistro sanguinante, lo zigomo destro ferito e un'epistassi nasale. McGowan non attese nemmeno il verdetto per riconoscerne la chiara superiorità. Nulla avevano potuto la sua tecnica e intelligenza. Tore lo soffocò con un ritmo infernale, quasi avesse lasciato negli spogliatoi la sensazione della fatica e la sensibilità al dolore.

 

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E il 23 aprile del 1965 sullo stesso ring del PalaEur (per la prima volta con sedici corde) arrivò la notte in cui i sogni di bimbo divennero realtà. Aveva trentadue anni, tanti per quei tempi e soprattutto per un peso "piccolo" che ha nella velocità e nella mobilità le qualità imprescindibili. 
Negli spogliatoi del PalaEur Umberto Branchini lo guardava scuotendo la testa. Non gli era mai successo di vedere uno sfidante al campionato del mondo dormire sul lettino dei massaggi. Eppure lo stanzone tremava per il frastuono proveniente dalla sovrastante arena dove 15.000 spettatori (di cui 3.000 sardi!), erano accorsi per assistere alla sua sfida al ventinovenne thailandese Pone Kingpetch, giunto a Roma con un mese d'anticipo e un seguito di due allenatori, un massaggiatore, un interprete e due fratelli. Dal lontano Oriente aveva portato persino una cisterna d'acqua perché temeva chissà quali manovre mafiose. 
Attraverso estenuanti trattative con l'organizzatore Rino Tommasi, titolare della ITOS, si era messo in tasca cinquantacinquemila dollari, la più alta borsa mai pagata sino ad allora ad un pugile nel nostro Paese. Tra l'altro, Kingpetch era già benestante, proprietario di un grande albergo a Bangkok e di diverse attività commerciali. A Burruni sarebbe toccato appena un milione di lire, una cifra poco più che simbolica. I fatti gli diedero ragione. 
L'alto Pone Kingpetch fu dominato dal primo all'ultimo istante e Tore non aveva avuto bisogno di nessun torbido aiuto. L'arbitro messicano Ramon Berumen gli attribuì il punteggio di 74-63; il giudice italiano Nello Barrovecchio 74-63; il thailandese Chuer Chaksuraksa 72-68. 
Era il quinto italiano a diventare iridato dopo Carnera, D'Agata, Loi e Mazzinghi. Il primo a vincere la cintura dei pesi mosca (unificata Wba-Wbc). 

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Adesso era arrivato però il momento di mettere fieno in cascina per il "dopo". 
Il 7 agosto e il 7 ottobre successivi volò prima a Buenos Aires e quindi a Tokio per match non validi per la cintura, dove fu sconfitto ai punti e in modo discutibile rispettivamente dalla vecchia conoscenza Horacio Accavallo e dal nipponico Katsuyoshi Takayama eppoi, il 2 dicembre 1965, si recò a Sidney per battere per kot alla tredicesima ripresa, con in palio il titolo, il calabrese d'Australia Rocky Gattellari. 
L'8 febbraio 1966 altra trasferta a Bangkok sui dieci round, contro il terribile tailandese Chartchai Chionoi e nuova sconfitta ai punti.
Infine, l'addio alla cintura mondiale il 14 Giugno 1966 all'Empire Pool di Wembley di Londra. Scavalcò le corde praticamente già battuto dalla bilancia e da un prolungato digiuno e stavolta Walter McGowan, ancora migliorato rispetto alla prima sfida, ebbe la meglio con largo margine.
Trentatreenne, Burruni però non si arrese e passò nei pesi gallo riuscendo a conquistare di nuovo l'europeo, il 10 gennaio 1968 a Napoli, contro Mimoun Ben Ali. Gli venne offerto di andare a giocarsi la semifinale mondiale nella nuova categoria a Città del Messico, ma il 31 Marzo 1968 il giovane Rubén Olivares, uno dei migliori pugili di tutti i tempi, lo fermò al terzo round.
Difese ancora il titolo europeo dei pesi gallo a San Benedetto del Tronto, il 31 luglio 1968, contro il fortissimo campione d'Italia Franco Zurlo, vincendo ai punti e infine a Reggio Calabria il 9 aprile 1969, mantenne la cintura per l'ultima volta sul francese Pierre Vetroff, con un kot alla nona ripresa.
Poi si ritirò "al momento giusto" come egli stesso ebbe a dire. Si dedicò alla fammiglia, alla sua campagna e ad insegnare pugilato ai ragazzini.
Nella propria abitazione di Santa Maria La Palma, a due passi da Alghero, il 30 marzo 2004 Salvatore Burruni ha concluso il suo percorso terreno dopo anni di lotta contro il male, con accanto la moglie Rosetta e i figli Pierpaolo e Gianfranco.
Si contano a milioni gli sportivi che non potranno mai dimenticarlo.

LA CENA DI GALA DELLA HALL OF FAME ITALIA 2023
SI SVOLGERA' A PALAZZO ALBICINI (CORSO GARIBALDI 80, FORLI')

PRENOTAZIONI  ALLO 0543.550608 / 3391415615
 
(costo: 38 Euro, fino a esaurimento posti)  Orario di inizio 20:15.

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Cinque personaggi entreranno nella Casa della Gloria. Il Comitato Direttivo (Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Franco Esposito, Alessandro Ferrarini, Davide Novelli, Vittorio Parisi e Dario Torromeo) ha scelto per il 2023 i campioni del mondo Salvatore Burruni, Silvio Branco, Alessandro Duran, Stefano Zoff e l’arbitro internazionale
 Angelo Poletti.

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Angelo Poletti l’enologo che arbitrava le leggende

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di Flavio Dell’Amore

Dicembre 1952.  
Il futuro vicepresidente FPI, ed Ebu, Bruno Boari è in visita di cortesia alla Enal di Lugo, società allenata dall’indimenticato Cesarino Gordini, ex campione italiano del Dopolavoro nei pesi massimi a Milano nel 1938. 
Gordini sta dialogando con Boari mentre sale sul ring, per una sessione di sparring, un giovane diciannovenne. Alto slanciato, braccia lunghe e occhi pieni di eccitazione.
Cesarino lo indica a Boari, lo presenta come il nuovo campione emiliano dei pesi welter.
“Si chiama Angelo Poletti pugilisticamente è nato alla Cognetex di Imola, seguito dal maestro Alessandro Salvatori. Ora si allena con noi. Sul ring ci sa fare, diventerà qualcuno”. 
Non si sbagliava. Quel giovane raggiungerà il successo, facendo però una scelta diversa da quella che si aspettavano allenatori e dirigenti della società. 
Nel 1957 l’imolese diventerà arbitro e giudice.
È uno dei pilastri della stirpe dei  vinificatori di Imola. Enologo, ha proseguito la passione del padre Aurelio che fondò nel 1928 la Casa Vinicola Poletti. Angelo è sempre stato innamorato del pugilato di qualità, soprattutto quello DOC, come i suoi vini. La sua non era una boxe rude e nemmeno potente, poteva sicuramente definirsi armonica e felpata. Ha sempre trasmesso questa passione per l’arte nobile a tutti quelli che lo conoscevano. La sua devozione verso il pugilato anche oggi continua a essere contagiosa.
Arriva velocemente ad arbitrare titoli nazionali. Sul ring è sempre concentrato al massimo, si muove con eleganza e sicurezza, raccoglie il miglior riconoscimento che un arbitro possa avere: l’imparzialità nella gestione del match e nei giudizi. 
Nel 1972 è giudice nel suo primo titolo europeo: Fritz Chervet contro Mariano Garcia, a Ginevra. L’anno seguente a Kiel, in Germania, arbitra il primo campionato europeo, quello tra Abend e Brami. Nel 1976, a Berlino, dirige il primo mondiale. 
Per la prima volta incrocia una leggenda del ring.  
Emile Griffith sfida il campione dei superwelter Wbc,  Eckhard Dagge.  Griffith,ha 38 anni e i tempi di Benvenuti, Monzon , Napoles, Antuofermo sono ormai lontani-

Poletti rivive  nitidamente il fascino  che irradia  il grande Emile. 
“Ricordo i suoi muscoli scattanti, il passo felino, il colpo d’occhio infallibile. Vince ai punti Dagge, anche se io decretai un pari. L’anno dopo lascerà il ring, lo ricordo ancora come un mito assoluto”.  
A Montecarlo nel luglio del 1977, lo aspetta un compito da far tremare i polsi. Viene inserito nella terna  giudicante del secondo match tra Carlos Monzon e Rodrigo Valdez. 

Un’atmosfera elettrica si impadronisce dello Stadio Louis II, a Fontvieille. C’è qualcosa di strano nell’aria.                                                                                                                                                                                                                                                     Un Un destro veloce e preciso di Valdez, nel secondo round, manda al tappeto Monzon. Lo stadio si ammutolisce e anche Poletti è stupito. 
“Nessuno se lo aspettava. Ma la belva che era dentro Monzon non era morta. Si rialzava, rimetteva in funzione il suo micidiale destro e così andava avanti per le rimanenti tredici riprese. Alla fine avevo due punti per l’argentino. A volte ripenso a quella notte. Ho giudicato l’ultimo match di Carlos Monzon, mi sembra impossibile”.
Nel 1978 Angelo, al Teatro Ariston di Sanremo arbitra la sfida valida per titolo Wba e Wbc dei pesi medi. Hugo Corro sconfigge Rodrigo Valdes.
Il 4 febbraio 1979 Poletti tocca il punto più alto della carriera. 
La suggestione dei ricordi ci porta al Palasport di Rimini, lì dove il campione Wbc dei superpiuma Alexis Arguello difende la cintura contro  l’esperto portoricano Alfredo Escalera (nella foto in alto). 
Quella sera si mescolano in poche ore vicissitudini, storie, destini. Angelo è uno dei protagonisti. 
“Arrivo a Rimini convinto di dover arbitrare o giudicare uno o due incontri del sottoclou. Combattono Righetti, Usai e Pira. Mancano un paio d’ore al match clou quando viene verso di me l’indimenticabile Piero Pini, segretario generale dell’Ebu.  Mi annuncia, senza mezzi termini: “Arguello contro Escalera lo arbitri tu! Quindi vai sul ring e fai quelle che devi fare al meglio”.  Rimango senza parole, sento crescere dentro di me una tensione incredibile. Quel combattimento era già destinato a diventare “match del secolo”, ancora prima che iniziasse.

Non so come, riesco a trovare la concentrazione giusta. Davanti a me si sviluppa uno spettacolo fantastico, con continui cambiamenti di scena, ogni spettatore si sentiva coinvolto.  Ho vissuto una delle più grandi storie di boxe in prima persona, ne sono fiero. Escalera andava tre volte al tappeto, ma non mollava mai. L’incontro si chiudeva al tredicesimo round con il successo per kot  del magnifico Arguello, ma nel mio cartellino lo avevo avanti solo di un punto. Nel dopo match avevo la sensazione di essere stato anche io protagonista di un film mozzafiato”
Negli anni successivi, Poletti arbitra campioni come Miguel Canto, Herol Graham, Charlie Magri e altri fenomeni del ring.  
Vive momenti esaltanti anche da giudice. Nel 1980 a Montreal è nella giuria di un match che lascia una traccia profonda nella storia dei pesi welter. Il mitico “Manos de Piedra” Roberto Duran sfida il campione Wbc Ray Sugar Leonard. Si tratta del primo duello tra i due.
“Ricordo uno stadio pieno, una folla strabocchevole (c’erano 46.317 spettatori ndr) e due pugili che si muovevano e si colpivano sul ring senza un attimo di sosta. Concentrarsi sui loro colpi non era facile, tutto si svolgeva rapidamente e intensamente. Un duello magnifico che si concluse con un episodio in  cui venni coinvolto involontariamente. Avevo un punto sul mio cartellino a favore di Duran, ma fu annunciato come se avessi giudicato pari. Se fosse stato così, il vedetto sarebbe stato non unanime. Poi è stato reso noto il cartellino giusto e tutto si è messo a posto.
Oggi Angelo è ancora interessato ad ogni notizia di boxe. È in continuo contatto con gli amici arbitri del GAG Emilia-Romagna, in particolare con PierLuigi Poppi e il presidente Regionale FPI, Giuseppe Quartarone. Quest’ultimo sottolinea quanto siano stati importanti in regione i suggerimenti di Poletti per tutti gli arbitri delle nuove generazioni: “Per noi è ancora un punto di riferimento per la categoria”.

LA CENA DI GALA SI SVOLGERA' A PALAZZO ALBICINI (CORSO GARIBALDI, 80. FORLI').
PRENOTAZIONI  ALLO 0543.550608 / 3391415615
  (costo: 38 Euro, fino a esaurimento posti)  Orario di inizio 20:15.


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Cinque personaggi entreranno nella Casa della Gloria. Il Comitato Direttivo (Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Franco Esposito, Alessandro Ferrarini, Davide Novelli, Vittorio Parisi e Dario Torromeo) ha scelto per il 2023 i campioni del mondo Salvatore Burruni, Silvio Branco, Alessandro Duran, Stefano Zoff e l’arbitro internazionale
 Angelo Poletti.

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Burruni, Branco, Duran, Zoff e l'arbitro Poletti il 28 entrano nella Hall of Fame

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Ricordate la data, sabato 28 ottobre Palazzo Albicini, Forlì. Andrà in scena la quinta edizione della
Hall of Fame del Pugilato Italiano, evento ideato e realizzato da boxeringweb, quest’anno in collaborazione con il Comune di Forlì e l’Edera Boxe.

Cinque personaggi entreranno nella Casa della Gloria. Il Comitato Direttivo (Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Franco Esposito, Alessandro Ferrarini, Davide Novelli, Vittorio Parisi e Dario Torromeo) ha scelto per il 2023 i campioni del mondo Salvatore Burruni, Silvio Branco, Alessandro Duran, Stefano Zoff e l’arbitro internazionale Angelo Poletti.
Davide Novelli (inviato di RaiSport) e il giornalista e scrittore Dario Torromeo presenteranno la serata, realizzata grazie al lavoro di Flavio Dell’Amore, editore e direttore del quotidiano online interamente dedicato alla boxe.
Siamo nati nel 2004, da allora abbiamo più volte cambiato veste grafica, architettura del file system e il CMS (Content Management System - Jomla). Nell’autunno del 2015 abbiamo inserito nel sito il contatore dei visitatori, questo ci ha permesso di conoscere giornalmente il numero dei lettori che ci seguivano. Abbiamo ampiamente superato la soglia dei 30 milioni, toccando punte di 50.000 contatti giornalieri.
Siamo un piccolo gruppo di amici che spende parte del suo tempo libero per informare chi ama il pugilato. Negli ultimi anni siamo cresciuti, stiamo ancora crescendo. 
Siamo un’isola felice in un mondo mediatico che a volte distorce, spesso ignora, raramente racconta le piccole, grandi storie del nostro pugilato.
Nei prossimi giorni vi parleremo dei protagonisti della serata del 28 ottobre.
Cinque storie per entrare nel cuore di personaggi al centro di una grande storia. 
Restate in contatto. 
Da domani si comincia.

LA CENA DI GALA SI SVOLGERA' A PALAZZO ALBICINI  (CORSO GARIBALDI, 80. FORLI').
PRENOTAZIONI  ALLO 0543.550608 / 3391415615  (costo: 38 Euro, fino a esaurimento posti)  Orario di inizio 20:15.

 

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HALL OF FAME EDIZIONE 2018

MODERNI
Nino Benvenuti - oro Roma '60 welter, mondiale pro superwelter e medi
Patrizio Oliva - oro Mosca '80 superleggeri, mondiale pro superleggeri
Maurizio Stecca - oro Los Angeles '84 gallo, mondiale pro piuma
Giovanni Parisi - oro Seul '88 piuma, mondiale pro leggeri e superleggeri

HALL OF FAME EDIZIONE 2019

PIONIERI
Primo Carnera - mondiale pro massimi
MODERNI
Sandro Mazzinghi - mondiale pro superwelter
Bruno Arcari - mondiale pro superleggeri
Gianfranco Rosi - mondiale pro superwelter
Francesco Damiani - mondiale pro massimi
Simona Galassi - Mondiale pro mosca e supermosca.

HALL OF FAME EDIZIONE 2020

(Rinviata per pandemia da Covid-19)

HALL OF FAME EDIZIONE 2021

PIONIERI
Anacleto Locatelli – Europeo leggeri
MODERNI  
Duilio Loi – Mondiale superleggeri
Loris Stecca – Mondiale supergallo WBA
Sumbu Kalambay – Mondiale medi WBA
Massimiliano Duran – Mondiale massimi leggeri W
BC
Roberto Cammarelle – Oro Pechino 2008, argento Londra 2012, bronzo Atene 2004

HALL OF FAME EDIZIONE 2022

PIONIERI 
Enrico Venturi – Europeo leggeri
MODERNI
Mario D’Agata – Mondiale gallo
Rocky Mattioli – Mondiale superwelter WBC
Valerio Nati – Mondiale supergallo WBO
Michele Piccirillo – Mondiale welter IBF
Umberto Branchini – Manager di undici campioni del mondo

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HALL OF FAME EDIZIONE 2023

MODERNI
Salvatore Burruni - Mondiale mosca WBC/WBA
Silvio Branco - Mondiale mediomassimi WBA
Alessandro Duran - Mondiale welter WBU
Stefano Zoff - Mondiale leggeri WBA
Angelo Poletti - Arbitro internazionale, 25 mondiali, 37 europei

 

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