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Storie di Boxe

Locatelli si candida alla presidenza Fpi Ecco i suoi progetti

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La Nazionale e il nuovo tecnico, rapporti con l'Aiba, i professionisti, contributi Coni e altre risorse, il dilettantismo...

 

Andrea Locatelli, livornese, classe 1960, è stato il fondatore di Media Partners. È vice presidente di Infront Italia. È stato presidente del Comitato Organizzatore dei Mondiali dilettanti Milano 2009.

 

Andrea Locatelli, ha deciso? Si candiderà alla presidenza della Federazione Pugilistica Italiana?

“Sì. Mi candido”.

Come è arrivato a questa scelta?

“Ho cercato di evitare una soluzione che dividesse. Ho provato a percorrere una strada che, magari ampliando e mettendo dentro persone che oggi non hanno le stesse idee, evitasse contrasti netti. Alla fine ho capito che questa soluzione non poteva concretizzarsi”.

Cosa l’ha spinta a presentare la candidatura?

“La voglia di andare avanti, il desiderio di cambiare pagina, di intraprendere un cammino che si contrapponga alle consuetudini del passato che hanno visto la decadenza del pugilato come qualcosa di inarrestabile”.

Cambiare, è un verbo molto usato in campagna elettorale. Nel suo caso che significato ha?

“C’è in giro un clima di grande insoddisfazione, di preoccupazione. Questo mi spinge a pensare che ci sia anche una grande voglia di trovare una forte volontà innovativa. Il futuro della boxe deve essere concepito come una valorizzazione di tutti i momenti più alti delle diverse attività di questo sport, dall’AOB al professionismo. Bisogna esaltare i migliori momenti per farne un elemento trainante”.

Un esempio?

“I campionati italiani assoluti AOB devono diventare un grande evento, devono trasformarsi nella locomotiva dell’intero movimento. Devono essere uno spettacolo affascinante e avere il giusto risalto promozionale. È sbagliato orientare il movimento di una Federazione esclusivamente verso un appuntamento quadriennale. Noi dobbiamo tendere a enfatizzare ogni anno, ogni mese attraverso un evento che sia capace di ricreare continuo interesse”.

La sua attività di imprenditore non le concede molti spazi liberi. Come pensa di gestire una Federazione con così poco tempo a disposizione?

“È vero, sono molto impegnato nella mia attività principale. Ma nonostante questo ho trovato il tempo per lavorare ai Mondiali dilettanti di Milano 2009 e a cinque edizioni delle World Series of Boxing. E siamo sempre stati riconosciuti come la migliore organizzazione a livello mondiale. Ho trovato anche il tempo per un coinvolgimento con la Lega Pro che ha finito il suo mandato solo per le decisioni spesso incomprensibili dell’Aiba”.

In sostanza respinge l’accusa di imprenditore troppo impegnato per occuparsi della gestione politica/economica di uno sport?

“Quando uno vuole, il tempo lo trova. In ogni caso sarà fondamentale la squadra con cui lavorerò, ci saranno uomini dotati delle giuste competenze per portare un contributo di idee e di soluzioni”.

Veniamo ad alcuni punti chiave della gestione federale. Il fallimento della squadra azzurra all’Olimpiade di Rio ha fatto pensare a molti che l’unica soluzione possibile per uscire da questo difficile momento sia il coinvolgimento di un allenatore straniero. Anche lei è di questa idea?

“Prima di parlare di tecnico straniero, facciamoci tutti una domanda: siamo certi che tra i nostri tecnici non ci sia nessuno in grado di esprimere capacità, esperienza, competenze e abilità tali da poter essere messo alla guida della nazionale? Credo che all’interno degli allenatori italiani si possa trovare una soluzione”.

E questa Nazionale come andrebbe gestita?

“Con il coinvolgimento dell’intera famiglia del pugilato, senza isolarsi. Avremo bisogno del contributo di tutti. Il Centro Nazionale di Assisi andrà sfruttato in maniera diversa. Dovrà trasoformarsi in una posto per ritiri e preparazione in vista di grandi eventi, non come un’occasione di isolarsi dal resto del mondo. Lì si svolgeranno i collegiali, per il resto del tempo lascerei gli atleti alle società di appartenenza. Chi li ha scoperti, cresciuti e preparati è anche colui che li conosce meglio di ogni altro”.

L’Aiba e il suo modo di gestire il pugilato sono stati oggetto di pesanti critiche. Lei come porrebbe la sua Federazione nei confronti dell’ente mondiale?

“Dovremo avere un atteggiamento molto propositivo, cercando di fornire tutti gli elementi perché non si commettano altri grandi errori. Alcune cose sono state buone, altre tremendamente negative. Io dico che le WSB sono state inizialmente una scelta intelligente, l’APB una scelta folle”.

Dilettanti e professionisti sono spesso stati due settori staccati. Da quando è intervenuta l’Aiba si è verificato addirittura il blocco del passaggio al professionismo degli elementi migliori con il risultato di depauperare i pro’ e di ridurre a pochi elementi l’esperienza ad alto livello dei dilettanti. Come pensa di invertire questa tendenza?

“Niente divisioni, niente steccati. L’atleta dovrà tornare a vivere con naturalezza i due diversi momenti della carriera sportiva. Prima dilettante e poi ,se ha talento e predisposizione, il passaggio al professionismo. A patto di ricostruire però le condizioni per cui un pugile possa davvero chiamarsi professionista, cioè possa vivere di boxe. Nel contempo dovremo cercare di migliorare lo status di tutti i dilettanti, non solo di quelli che arrivano alla Nazionale”.

Quale è il danno maggiore provocato da quello che io chiamo dilettantismo di Stato, ovvero dai cinque/sei migliori elementi che decidono di rimanere dilettanti a vita?

“Abbiamo saltato almeno una generazione di pugili. Non credo sia un processo naturale”.

Il professionismo è in crisi. Che soluzioni propone?

“Il settore non può essere lasciato a se stesso, come è accaduto per tanti anni usando come foglia di fico l’impossibilità di poterlo sostenere. La realtà è che c’è stata grande insensibilità sul tema. Dobbiamo riuscire a capire quali siano i momenti trainanti ed esaltarli. Non è vero che non ci sono pugili di valore in Italia. Certo, non abbiamo il supercampione come era Alberto Tomba per lo sci. Ma abbiamo elementi in grado di primeggiare a livello continentale”.

Dal 2018 i contributi Coni caleranno. Come pensa di ovviare a questa potenziale crisi economica della Fpi?

“Questo è un tasto delicato, uno dei problemi più seri che abbiamo. Dipendiamo solo e unicamente dai soldi che arrivano dall’Ente che governa lo sport italiano, con l’aggiunta dei proventi delle tasse di affiliazione. C’è un’insufficiente capacità di creare risorse proprie. Dovremo quindi agire su due fronti. Cercare di non retrocedere nella scaletta dei contributi Coni e muoverci verso soggeti capaci di garantirci maggiori risorse. Storicamente non siamo quasi mai stati capaci di farlo o, al massimo, lo abbiamo fatto in misura minima. Dovremo provarci con più convinzione”.

Se dovesse racchiudere in poche parole cosa o chi l’abbia spinto a candidarsi alla presidenza della Federboxe, cosa direbbe?

“In questi anni ho avuto modo di conoscere tante persone del mondo della boxe e sento forse il desiderio di conoscerne altrettante, potendo trasferire la certezza che grande passione e specifiche competenze nel settore sportivo sono due elementi che mi sento di mettere a disposizione del movimento. Sono certo che alla fine prevarrà la volonta di rinnovamento”.

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