Ogni anno a Indian Wells le montagne sembrano più vicine, e più azzurre, tanto da indurmi a rivedere Le colline blu,
un western crepuscolare in cui gli scenari non sono quelli che: ci aspetteremmo niente ombre rosse , nere badlands o bianchi deserti di sale, ma profili blu all’orizzonte, che potrebbero essere montagne tanto sono lontani, indefiniti, da confondersi con il cielo. Anche i personaggi non rispettano i cliché di genere: i cowboys sono stanchi di cavalcare , sognano di accasarsi; gli sceriffi sono “i cattivi”, “prima ti impiccano e poi ti chiedono il nome”, e la giustizia non trionfa alla fine: solo per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, i buoni muoiono, tranne il più giovane, che raggiunge le colline blu, la salvezza, in un altro Stato. Il titolo originale del film di Monte Hellman, interpretato e sceneggiato da un giovane Jack Nicholson, è Ride in the Whirlwind che potrebbe ben designare le fasi finali del torneo di Indian Wells 2012, condizionate dal vento, dai mulinelli di carta e polvere che sferzavano il campo, e mai come nel West degli Stati Uniti un torneo di tennis evoca l’immagine di duelli, di cavalieri erranti, con il vincitore pronto a riprendere il viaggio verso il prossimo scontro in un altro luogo .
Non ricordo se tre anni fa, quando Nadal si impose a Indian contro il vento e Murray, qualcuno gli abbia chiesto se gli piacesse giocare in queste condizioni atmosferiche, o se si fosse dato per scontato che il nativo di Manacor sia abituato a vivere nel vento, come se un’isola fosse una casa senza porte e finestre; anche per questo era considerato favorito quest’anno nella semifinale contro Federer, in mezzo ad una vera e propria bufera., oltre che per l’ultimo precedente all’australian open e i noti head to head.. Per restare nella metafora western, però, generalmente Nadal ha vinto i duelli al sole, e perso le sfide alla luce artificiale indoor, o nel crepuscolo dopo la pioggia, come quest’anno nel deserto californiano:: grande eccezione, naturalmente, il lungo giorno da biblico “fermati o sole” di Wimbledon 2008. .La finale del torneo di Indian Wells è stata l’opposto di quella de “Le colline blu”, in cui il vecchio Cameron Mitchell celebre volto da “mandriano” di tanti western, si sacrifica per lasciar fuggire il giovane Nicholson:; invece,il ventisettenne Isner, spilungone americano dall’andatura felpata e tranquilla alla Henry Fonda soccombe davanti al Federer perfetto e apparentemente senza età di quella settimana.
Negli ultimi due anni attendo con commozione l’inizio della stagione tennistica su sky appunto con la prima inquadratura di Indian Wells,: nel 2010, proprio mentre i suoi colleghi facevano la telecronaca di questo torneo, moriva Roberto Lombardi, e forse per questo i miei ricordi sul paesaggio intorno al campo sono così incerti , perché io vedevo quello che lui mi faceva vedere di quel “paese per vecchi in mezzo al deserto” invaso da giovani spettatori e tennisti per una settimana:; lui commentava le gesta sportive, i volti , gli sguardi, l’orizzonte, con ardite metafore su film e letteratura, che vengono spontanee, oggi, anche ad Elena Pero, la cui voce eravamo abituati ad associare a quella del collega scomparso.- Siamo ai confini del nulla- ha annunciato quest’anno a Claudio Mezzadri che l’affiancava, e ancora una volta mi chiesi se avesse riscoperto la sua fantasia da quando ha perso il suo partner abituale ai microfoni, o se la sacrificasse prima, “obbligata” a fargli da spalla equilibrata che lo riportasse sulle fasi del match quando lui divagava troppo... E’ stata grazie ad una sua osservazione sul fatto che non si possa ampliare il parcheggio di Indian Wells perché non c’è più spazio, che ho scoperto che fino ad ora non avevo capito niente sul paesaggio oltre il campo da tennis. – Ma come? – ribatté Mezzadri- E’ assurdo, un paradosso…C’è il deserto, dovrebbe esserci tutto il posto possibile- -Eppure è così- ribatteva lei…- Penso proprio che lui fosse caduto nello stesso mio errore identificando il deserto californiano, in una distesa piatta, e invece la montagna che sovrasta il campo, le colline blu oltre le case, le palme e i green sono il deserto….Non credetemi fino in fondo, però, magari il prossimo anno cambio di nuovo idea, ma non chiedetemi di servirmi di qualche google earth : o l’immaginario di Lombardi, o andrò un giorno, di persona, a decifrare Indian Wells..
Se ne è andato prima che le telecamere inquadrassero il blu del braccio di mare che separa Key Biscaine da Miami: purtroppo, infatti, le riprese televisive nei Master 1000 americani iniziano solo dal secondo turno, e al primo ha giocato l’ultima partita della sua carriera Fernando Gonzalez . Ha voluto finire dove tutto era cominciato:a otto anni infatti suo padre lo porta in Florida per farlo visionare da Patricio Apey, un coach cileno che aveva aperto un’Accademia proprio a Key Biscaine e in cui si allenavano molti ragazzi stranieri . Il piccolo Fernando resta lì due mesi e vince quattro tornei. Vi ritornerà a dodici anni accompagnato da tutta la famiglia perché la mamma non voleva che soffrisse di solitudine e mangiasse male. A l torneo di Miami 2002 si fece conoscere dal grande pubblico battendo Sampras per 7-6, 6-1 al terzo turno, ed è curioso che sia uscito di scena contro Nicholas Mahut, pallido epigono del serve and volley del quale l’ex numero 1 del mondo fu l’ultimo grande interprete. In mezzo, per Fernando, ci sono tre medaglie olimpiche, di cui una d’oro in doppio, 11 tornei vinti, e fra altre 11 finali quella dello slam a Melbourne nel. 2007.; in mezzo c’è il più bel sorriso del circuito tennistico direbbero le sue fans, e il diritto più devastante aggiungerebbero i suoi ammiratori, e i due gesti uniti erano qualcosa di unico: quando Gonzalez si piazzava a metà campo e mirava come avesse in mano un’arma l’angolo in diagonale alla sua posizione, sembrava esitare un attimo, e poi “lasciava andare il braccio” e il colpo, ma spesso lo faceva sorridendo, come se volesse scusarsi con l’avversario e comunicare allo spettatore che il tennis è ancora un gioco divertente, che dà piacere a chi lo pratica e a chi lo guarda.
Fino al 2009 prima del blu del mare al country club di Montecarlo non c’era nulla, e dalle tribune, durante le pause del gioco lo sguardo spaziava dalla villa sul promontorio, alla spiagge, alle onde e ai panfili di lusso; ora la nuova tribuna chiude completamente l’orizzxonte, simile alla tolda di una nave che si protenda sul mare invisibile Le riprese televisive ingannano perché la superano, e mostrano lo stesso sfondo di tre anni fa, quasi indovinassero il limite dell’occhio umano, e il senso quasi claustrofobico, pur essendo all’aperto, che può provare lo spettatore . Ma quando soffia il vento, e anche qui si alzano i mulinelli, rimangono sulla terra rossa sfumature e disegni che ricordano il fondo marino, e mi sono chiesta se a Tiriac l’ispirazione per i campi in terra blu sia venuta mentre seguiva un match a Montecarlo in una giornata ventosa, cercando invano, con lo sguardo, il mare, ma a poche ore dal momento in cui sui nostri schermi apparirà il campo blu di Madrid non mi piace l’immagine che mi suggerirà: l' acqua che sostituisce la terra, come era all’origine, quando l’uomo non c’era, e forse sarà alla fine, quando non ci sarà più..