Molte le cose in comune: la bravura, la nascita all'estero, le difficoltà per affermarsi. Anche Leonard meriterebbe un'occasione mondiale, come l'ha avuta Sumbu negli anni Ottanta...
Nella boxe italiana per lungo tempo si è vissuto alla giornata, come era normale trattandosi di uno sport che era finito quasi del tutto fuori dai radar mediatici. Ora con il ritorno di Italia 1 è lecito sperare che le cose possano cambiare.
Nel panorama attuale c'è un caso degno di attenzione. Riguarda l’attuale campione europeo dei pesi welter Leonard Bundu.
Originario della Sierra Leone ma fiorentino d’adozione e naturalizzato italiano da molto tempo, ha dimostrato nel corso della carriera professionistica di aver rispettato in pieno tutte le buone aspettative che c’erano su di lui fin dai tempi del dilettantismo.
Classe 1974, in un età in cui la maggior parte dei pugili sono già degli ex, sta dimostrando una vitalità atletica impressionante essendo riuscito a mantenere il titolo EBU, conquistato nel 2011, per ben sei volte consecutive, le ultime due delle quali combattendo nella tana degli avversari in Gran Bretagna, dove vincere è sempre un’impresa non da poco.
Un pugile così meriterebbe un chance ancora più importante, occasione che non è ancora arrivata ed è un vero peccato.
Nell'Italia di oggi per gli atleti di valore la vita professionale è dura, i sacrifici sono tanti e i soldi sono pochi. Se avesse combattuto negli anni Ottanta, probabilmente, sarebbe potuto diventare un secondo Kalambay. Cosiderando però il momento non esaltante del nostro pugilato (inteso come movimento economico), Bundu sta portando avanti un carriera di tutto rispetto con un record di trentatré incontri ancora immacolato.
Gli auguro di continuare così per molto tempo, nonostante i suoi quasi 40 anni.
Il nostro pugilato ha bisogno di atleti così bravi, anche se sono in pochi ad accorgersene.