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Bordo Ring

C’era un tempo in cui Pacquiao si batteva per cento pesos (2$!)

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È uscito oggi in cento sale delle Filippine (dal 24 aprile in Usa e Canada) “Kid Kulafu”, il film di Paul Soriano che in poco meno di due ore racconta i primi quindici anni di Manny Pacquiao. Da quando bambino ha cominciato a sognare, a quando ormai ragazzo il sogno si è avverato.

Una famiglia con i genitori separati, niente da mangiare, niente casa, niente soldi. La povertà allo stato puro. Manny raccoglieva bottiglie vuote di Kulafu per poi portarle ai rivenditori e intascare pochi centesimi. Kulafu era il nome di un brandy, ma anche di un popolare personaggio dei fumetti. Una sorta di Tarzan filippino.

Nato in una casa con il tetto di paglia, su un pavimento sporco, Pacquiao ha dovuto lottare con tutte le sue forze per uscire dalla miseria. La boxe è stato il mezzo che gli ha permesso di tirarsi fuori. Il primo match lo ha disputato per una borsa di 100 pesos (due dollari), gli servivano per comprare le medicine alla mamma malata. Ne ha fatta di strada il ragazzo.

Il ruolo di Manny Pacquiao è interpretato da Buboy Villar, un diciassettenne filippino che ha le stesse origini povere del campione.

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Chiudo questo articolo, riportando alcuni brani del libro “I pugni degli eroi” (Franco Esposito e Dario Torromeo, Absolutely Free editore), quelli che parlano appunto dell’adolescenza di Pacquiao.

“Manny, da bambino, vendeva ciambelle e sigarette in strada. Tra i suoi clienti c’erano uomini della malavita. Se era un giorno fortunato, faceva a pugni in cortile. Si batteva a mani nude per soldi. Cento pesos, poco più di due dollari americani per ogni match.

Dionisia, la mamma «più dura del ferro», era una donna molto religiosa. Voleva che il figlio diventasse prete. Ma faticava a controllarlo. Faceva lavori saltuari, vendeva verdure ai bordi delle strade, non aveva abbastanza soldi per dare da mangiare ai sei bambini.

Liza e Domingo erano nati dal primo matrimonio. Isidra Alberto, Rogelio ed Emmanuel (detto Manny) erano nati dalla relazione con Rosalio. Poi lui era andato a lavorare in un’altra città e quando lei aveva scoperto che aveva una nuova compagna, avevano divorziato.

Manny era piccolo. Faceva ancora le scuole elementari. Ma già contribuiva al bilancio familiare. Avevano bisogno di lui. Vendeva ninnoli lungo strade piene di buche, dove bambini mezzi nudi e dai capelli arruffati inseguivano per divertimento vecchie ruote arrugginite di biciclette.

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Al più piccolo dei Pacquiao piaceva studiare, ma non voleva crescere in un posto senza futuro. E General Santos City, Cotabato del Sur, lo era. Aveva così cominciato a coltivare un sogno. Sarebbe diventato un pugile, sarebbe diventato ricco con lo sport.

Ogni pomeriggio avvolgeva attorno alle manine dei piccoli asciugamani e mimava le azioni che aveva visto fare ai compagni più grandi. Solo molti anni dopo avrebbe saputo che quel gioco, nel pugilato, si chiamava “fare le figure”. L’aveva capito quando quei colpi sparati all’aria erano diventati la dieta quotidiana nel menù della fatica.

Il primo a credere che avrebbe potuto farcela era stato Dizon Cordero, un ex pugile che da dilettante era riuscito a vestire la maglia della nazionale filippina. Gli aveva insegnato l’arte, gli aveva imposto la disciplina. Lo aveva portato in casa, dove aveva potuto assicurargli un pasto e un letto per dormire. Dopo un solo mese di allenamento il ragazzino aveva fatto l’esordio sul ring. E aveva vinto per k.o. al primo round.

Il destino era già segnato…”

http://dartortorromeo.com/

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