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Bordo Ring

Nati e il match fantasma

valerio natiOttobre dell'87, Valerio si allena a Miami per il mondiale piuma con Esparragoza, all'improvviso spariscono organizzatore e soldi...


Miami è una città dai mille colori. La palestra in cui sto entrando è grande, pulita. Due ring occupano il fondo della sala. E’ presto, solo cinque pugili hanno già cominciato l’allenamento. Si stanno scaldando, si preparano a un altro pomeriggio di sudore e fatica. Mi avvicino al custode.

“A che ora arriva l’italiano?”

Finito.”

“Scusa, in che senso “finito”?”

Nel senso che non verrà più qui.

“Sei sicuro?”

Non sono né ubriaco, né drogato, né rincoglionito. Non verrà più qui. Capisci l’inglese?

Prima che arrivino i guai, mi allontano.

Franco mi batte la mano sulla spalla e sorride. Franco Esposito è un collega, ma è soprattutto un grande amico. Gli debbo una spiegazione.

“Ho visto che stava per arrabbiarsi, per questo sono uscito.”

Franco continua a sorridere.

“Che hai? La paura ti ha paralizzato la faccia?”

Stai tranquillo. Volevo solo dirti che il custode con cui hai parlato è Beau Jack.”

“Sicuro?”

Sembra che tu conosca solo questa parola. Certo che sono sicuro.

350px-Beau Jack vs Bob Montegomery . Fasan

Rientro in palestra. Eccolo lì. E’ un signore che sembra più vecchio rispetto alla data di nascita che appare sui documenti. Quando ancora calcava il ring lo chiamavano “Georgia shoe shine boy”, il lustrascarpe della Georgia. Non era un soprannome di cui vantarsi. Per un periodo, negli anni Quaranta, ha combattuto con il suo vero nome: Sydney Walker, ma da sempre tutti lo conoscono come Beau Jack. E’ stato campione del mondo dei leggeri, memorabili le sue sfide con Bob Montgomery (foto).

Ho letto una bella storia su di lui. Non so se sia vera e non ho intenzione di chiederglielo, appena mi ha visto mi ha salutato con un ghigno che non prometteva niente di buono.

Durante la seconda guerra mondiale una pallottola l’ha centrato esattamente all’altezza del cuore. Si è salvato per miracolo, a essere precisi è stato salvato dalla passione per il pugilato. Sotto la divisa nascondeva infatti una copia del “Ring Record Book”, un volume alto otto centimetri. Abbastanza per fermare il proiettile.

Mi faccio coraggio e azzardo una domanda.

“A che ora arriva Antonio Esparragoza?”

Finito.

“Vuoi dire che il venezuelano, il campione del mondo che deve difendere il mondiale Wba dei piuma contro l’italiano non verrà più ad allenarsi?”

Mi sa che sei un po’ tonto. Non capisci quello che dico? Non verrà più qui.

Comincio a pensare che gli anni passati a combattere abbiano lasciato il loro segno. Mi intristisco. Alla fine di questa storia capirò che quello “suonato” sono io, non certo lui.

Saliamo in macchina e puntiamo verso l’albergo dell’italiano, l’Holiday Inn.

Ce ne sono due della stessa catena a Miami. Al primo tentativo va male. Come sempre. Al secondo facciamo centro. Attraversiamo la hall ed entriamo in un negozio che sembra una pasticceria. Abbiamo bisogno di mangiare qualcosa di dolce.

Dario, guarda quel tipo lì che sta comprando ciambelle, cioccolato, biscotti. E’ Esparragoza.

“Non può essere. Tra due giorni ha il peso.”

Parliamoci.”

Attraversiamo il negozio e ci facciamo notare da quel signore dall’aria serena.

“Scusa, ma tu sei Antonio Esparragoza?”

Sì, sono io.”

“E perché compri tanti dolci? Non hai problemi di peso a pochi giorni dal match?”

Quale match?

“Come sarebbe a dire quale match? Il mondiale contro l’italiano!”

“E’ stato annullato stamattina.”

Ho fatto otto ore di trasvolata Roma-New York. Il ritardo accumulato in partenza mi ha fatto perdere la coincidenza per Miami. Mi sono morto di freddo in una gelida notte newyorkese. Ho dormito in un albergo in cui Jack Lo Squartatore si sarebbe rifiutato di entrare giudicandolo pericoloso. Ho fatto altre tre ore di aereo e soprattutto il giornale ha pagato tutto questo per sentirsi dire: “Il match è annullato”?

“Antonio, sei proprio sicuro che non si faccia più?”

Sicurissimo.”

“Magari domattina ci ripensano.”

Finito.”

Corro al telefono, chiamo il Corriere dello Sport a Roma, mi faccio passare i dimafoni e detto a braccio. Sono ancora in tempo per la prima edizione. Il posto di lavoro è salvo.

Umberto Branchini

Metto giù il telefono, mi giro e incrocio la faccia di Umberto Branchini (foto).

“Signor Branchini, cosa è successo?”

Mancano i soldi, non ci hanno neppure pagato i cinquemila dollari dei biglietti aerei.”

“L’organizzatore cosa dice?”

La Four Gloves ha i conti in profondo rosso. Mancano 250.000 dollari per fare pari e a pochi giorni dal match non hanno ancora venduto un biglietto. Hanno pensato che sarebbe stato meglio annullare prima di rimetterci altro contante.

Al tavolo del ristorante Valerio Nati sta mangiando. Era venuto qui per giocarsi l’occasione mondiale e si è ritrovato davanti a un match fantasma che non si farà mai. Si consola con fettuccine, aragosta e scampi. Finito il pranzo se ne va in giro per l’albergo, mano nella mano con la moglie Maria.

Domani devo partire per Atlantic City, dove Mike Tyson affronterà Tyrrell Biggs. Branchini propone un modo diverso di passare la giornata.

Andiamo all’ippodromo.”

Pompano dista una cinquantina di chilometri da Miami. Appena saliamo in macchina Mario Bruno, un altro collega, e il signor Umberto cominciano a parlare di cavalli, passione comune. Franco, Teo Betti il decano dei cronisti di boxe ed io ci godiamo paesaggio e musica. Metto su WKIS 99.9 che trasmette motivi country. Teo dice che è una palla, Franco tace e io faccio finta di non sentire il continuo borbottio del mio amico romano.

Arrivati all’ippodromo mi sembra di essere finito dentro un film. Non a caso tre anni dopo rivedrò la scena all’interno di “Rischiose abitudini”. Ricordate Lylly Dillon interpretata da Angelica Houston che si arrangia facendo da galoppino a un bookmaker negli ippodromi americani? Ecco, ne vedo tante come lei in giro per Pompano.

Perdiamo qualche dollaro, scommettiamo, perdiamo ancora. Mangiamo protetti da una grande vetrata sulla tribuna centrale mentre i cavalli si dannano l’anima in pista.

A notte fonda torniamo a Miami. La mattina dopo prendiamo il volo per Atlantic City. Mentre usciamo dall’albergo incrociamo Nati.

“Ehi Valerio, dove vai?”

In palestra. Mi hanno detto che il match potrebbe farsi tra due settimane a New York, addirittura al Madison Square Garden!

Lo salutiamo. Lasciamo a lui e al maestro Ottavio Tazzi la speranza di un incontro che non arriverà mai. Aspettando Godot, i nostri due amici ascolteranno almeno dieci annunci di rinvii. Da una parte all’altra degli Stati Uniti. Passeranno ore, giornate, settimane a prepararsi per uno show che non avrebbero mai recitato.

Era l’ottobre del 1987, solo nel novembre del 1988 Valerio Nati avrebbe finalmente avuto la sua grande occasione. A casa, a Forlì contro Daniel Zaragoza. Sconfitta per ko al quinto round.

Anche un campione non vive solo giorni felici.

http://dartortorromeo.wordpress.com/

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