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Come e perché è stato ucciso Sonny Liston

 

 Una ricostruzione motivata

 

Alcune morti di personaggi famosi dell'America degli anni 60 o giù di lì sono sempre state pieni di sospetti, sospetti ricoperti da una verità di comodo. La più importante naturalmente è la morte del presidente John Fitzgerald Kennedy (in realtà si chiamava Jack) ufficialmente deceduto a Dallas per i colpi di fucile sparati  da Edward Lee Oswald  da un lontano deposito di libri.  Ma anche la morte dell'attrice più famosa della storia del cinema, Marilyn Monroe, ufficialmente suicida con barbiturici nella sua abitazione in California, e la morte dell'ex campione del mondo dei pesi massimi Charles "Sonny" Liston, ufficialmente per overdose di eroina nella sua casa di Las Vegas.  Nessuna di queste verità ufficiali è credibile, non certo solo per i dietrologi alla cui schiera non siamo iscritti, ma per una moltitudine di persone che fanno lavorare il cervello grazie a una enorme quantità di indizi che rivelano un'altra verità molto più probabile che possibile.

Naturalmente ciò che riguarda noi è la prematura scomparsa di Liston a una età imprecisata, ufficialmente 38 anni, ma in realtà maggiore, forse addirittura 44 anni.. Un articolo pubblicato un mesetto fa su Boxing News scritto da Steve Hunt, ci aiuta a fare chiarezza. La morte di Liston, ufficialmente collocata al 30 dicembre 1970, fu scoperta dalla moglie Geraldine nei primi giorni del 1971 al suo ritorno dalle vacanze di Natale trascorse a New York con la sua famiglia di origine. Una breve inchiesta arrivò alle conclusioni di cui sopra su un uomo che aveva un sacro terrore delle iniezioni e che nemmeno risultava essere tossicodipendente. Le conclusioni possono anche essere giuste ma è pur anche vero che, in una casa trovata sottosopra, Liston potesse essere stato "iniettato" a bella posta.  A sostegno di questa ultima tesi alcune ipotesi furono formulate, fra queste un problema legato al recupero crediti che Liston effettuava per conto terzi che non erano certo banche, la possibilità che la percentuale che gli spettava sulle borse di Muhammad Ali fosse ormai, al rientro di The Greatest, troppo di disturbo (ipotesi adombrata anche da Rino Tommasi) e l'effetto letale di un match non andato a finire come la Mafia voleva, il suo ultimo vinto per K.O.T al 9° round su Chuck Wepner.

Ed è su ques'ultima ipotesi che scrive Steve Hunt. Vediamo cosa in realtà accadde.

Liston, reduce da una sconfitta per K.O. subita dall'ottimo Leotis Martin pur essendo in netto vantaggio su un rivale che ne uscì talmente male (distacco di retina) da non combattere più, affrontava appunto Chuck Wepner, un bianco che i boss del New Jersey avevano tutto l'interesse a proteggere perché in grado di riempire le arene dove combatteva. Wepner, assurto poi a celebrità per una coraggiosa sfida a Muhammad Ali e per avere ispirato la saga di Rocky a Silvester Stallone, aveva 31 anni, faceva il rappresentante di liquori e aveva già 5 sconfitte nel record quasi tutte dovute soprattutto all'incredibile facilità a ferirsi alle sopracciglia e agli zigomi. L'incontro si svolse a Jersey City il 29 giugno del 1970 e Liston doveva perderlo dietro compenso. Certamente il nostro uomo non era nuovo a una situazione simile dato che il fascicolo FBI a lui intestato riconosce come truccato almeno il secondo incontro mondiale con Muhammad Ali, ma ciò richiedeva una capacità di recitazione che Liston non aveva dimostrato in quelle due occasioni, nel primo match abbandonando causa un presunto dolore a una spalla, nel secondo lasciandosi goffamente cadere su un buffetto. Con Wepner il problema era che pur facendo solo il minimo sindacale, il jab sinistro di Liston aveva presto ridotto il volto del rivale a una grottesca maschera di sangue. Liston praticamente non usava il destro e quando qualcuno glielo fece poi notare si difese dicendo che aveva paura di "vuotare il serbatorio" non essendo molto preparato. L'arbitro, guarda caso, era il signor Barney Felix, lo stesso che aveva arbitrato il primo match contro Ali.  Intimidito dal manager di Liston, Al Braverman, tardò tantissimo ad intervenire, e il medico di servizio provò due volte a intervenire per essere respinto, come si dice, con perdite.

Ma vediamo da chi era costituito l'entourage di Wepner. Il suo manager era un piccolo mafioso, Frankie Garafola, che sarebbe entrato nella cronaca nera quando fu accusato di avere lui stesso ferito a morte il mediomassimo Frankie De Paula, deceduto mesi dopo e da lui amministrato, per conto della Mafia ma poi assolto per il solito vizio di forma e grazie alla ritrattazione di una testimonianza diretta. Al Braverman era ben noto come colluso con la Mafia, amico del boss di Chicago Tony Accardo e sodale di un Frankie Carbo ormai dietro le sbarre. A match finito Liston, che non incassò neppure un centesimo dovendo restituire i soldi persi in una scommessa, fu minacciato da un noto boss di nome John Di Gilio che gli disse davanti a testimoni "La prossima volta che ci vedremo sarai morto".

Come se non bastasse quanto sopra c'è un aspetto che chi scrive reputa molto convincente. Al Braverman era quello che era ma di boxe ne capiva davvero. Non era possibile che un esperto come lui potesse anche solo sperare in una vittoria di Chuck Wepner su un Liston sia pure in declino ma tuttora pericolosissimo e di cui lui stesso era stato in passato manager. A meno che Liston non dovesse perdere apposta.  Appunto.

Anche John Di Gilio morì nel 1988 dopo essere stato assolto da un tribunale dall’accusa di associazione mafiosa. Qualcun altro invece non lo assolse, il suo corpo fu infatti  ritrovato mentre galleggiava su un fiume del New Jersey con 5 pallottole in testa.

Dei personaggi di questa vicenda sopravvive oggi solo l’ottanquattrenne Chuck Wepner. Anche se sapesse tutta la verità non la racconterebbe mai.

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