di Gualtiero Becchetti
Nel silenzio dello spogliatoio prima della sfida
Nella spossatezza quotidiana dell’allenamento
Nelle notte che precede l’ora della verità
Nella disperazione che segue la sconfitta
Nell’esaltazione che accompagna la vittoria
Nello sguardo intenso di chi l’ammira
Nell’occhiata compassionevole di chi non lo capisce
Nell’incertezza del domani
Nel tormentato sogno di un futuro fatto sempre di ombre
Nel sussulto del gong che dice “comincia”
Nel sospiro del gong che dice “basta”
Negli applausi e nei fischi di una folla senza memoria
Nel dolore che non conosce chi non l’ha provato
Nella paura e nel coraggio…
Chi sale sul ring è fondamentalmente una persona sola, così come lo é sin da quando decide di scegliere quella strada priva di scorciatoie e fatta sempre di erte salite, estranea a tutto ciò che è logico ma illuminata da una luce che s’accende unicamente per chi la vede attraverso l’irrazionalità razionale del guerriero.
Una persona sola perché, se è vero che si nasce e si muore soli, il pugile ripete la metafora del nascere e del morire ogni volta che indossa i guantoni e scavalca “quelle” corde.
Una solitudine che è amica e compagna di vita, che riempie l’esistenza con il suo non-essere, che parla ed ascolta perché è lì, unicamente per chi combatte.
Una solitudine speciale, fatta per i forti.
Una solitudine che non fa sentire soli.