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Sulla boxe italiana dico È in affanno, arrogante e senza memoria …

Analisi di uno sport che ha bisogno di aiuto, ma che in tutte le sue componenti è convinto di agire nel modo migliore...

 

di Dario Torromeo

Il pugilato italiano si muove in una realtà virtuale. Simula una situazione reale con la quale interagire. Ma è un passo avanti rispetto al resto del mondo. Alla Boxe Made in Italy non servono occhiali, caschi, guanti dotati di sensori per simulare stimoli tattili. Per il suo videogioco basta un computer e un profilo Facebook o un sito su cui spacciare improbabili verità.

Siamo privi di campioni? Basta inventarne qualcuno.
Basta un titolo qualunque, anche quello parrocchiale per incoronare il nuovo eroe. Sicuramente avrà un esercito di amici che riempiranno di like la notizia della conquista del titolo, che sia quello dei leggeri Silver della Garbatella o dei welter ad interim di Lambrate poco importa. C’è sempre una cintura per riempire il vuoto in cui questo sport si muove da tempo.
Un pugile vince un match contro uno che non è neppure tra i primi duecento del mondo e diventa subito il nuovo Muhammad Ali.
Nella boxe, come nella vita, c’è anche la sconfitta. Ovunque, meno che in Italia. Perché i nostri pugili non perdono mai. Per carità, scippi e rapine esistono, certo. Ma sono episodi, non accadono sempre e comunque quando combatte uno dei nostri. Anche perché in questo campo, furti arbitrali e affini, siamo nella Top 3 del globo terrestre.
Abbiamo fretta di incoronare un campione. A un atleta, maschio o donna che sia, basta vincere un titolo di categoria e si sente autorizzato/a a dichiararsi una spanna sopra di chi nella storia l’ha preceduto/a arrivando a traguardi forse più elevati. Diciamo un oro olimpico o un titolo mondiale professionisti.Non c’è rispetto per il passato. E senza memoria non si costruisce il futuro.
L’altro giorno ero a Castrocaro Terme per la Hall of Fame del Pugilato Italiano. Sono stati celebrati sei pugili che hanno complessivamente disputato 53 (vincendone un'alta percentuale) titoli mondiali. E mi è toccato sentire lamentele da parte di chi non ha scritto neppure una virgola nella storia del pugilato italiano. Ma fatemi il piacere, ogni tanto guardatevi allo specchio e, se possibile, abbiate pietà di voi.
Sui social leggo commenti ridicoli. Gente che si dichiara appassionata ed è pronta a criticare ogni minimo errore, a chiedere dove, quando e chi disputerà un evento, oltre ovviamente a implorare ogni altro tipo di informazione, compresa quella di chi lo trasmetterà. Non sanno nulla dello sport che raccontano di amare. Mi hanno chiesto perché mai Nino Benvenuti non sia entrato nella Hall of Fame di quest’anno. Perché, teste al cui interno c’è molto spazio libero, c’era entrato lo scorso anno!
La valenza del movimento italiano è davvero limitata se confrontata con il resto del mondo.
A partire dall’inizio degli anni Duemila la dirigenza federale ha inseguito il successo immediato, a qualsiasi costo, fregandosene di chi sarebbe venuto dopo. Abbiamo messo in fila sette medaglie olimpiche (di cui una d’oro) in tre edizioni e abbiamo aperto la porta al deserto assoluto. E stata scelta la strada dei dilettanti di Stato, pagati con i soldi dei gruppi militari. I dirigenti hanno spianato la strada al nulla della boxe italiana. Sia tra i professionisti che tra i dilettanti. Non trovo sbagliate le scelte dei pugili che hanno seguito la via (economica e professionale) più sicura, ma quelle di chi doveva gestire il movimento.
Una politica miope, legata al presente senza guardare al futuro. E quando sono stati costretti a vedere cosa c’era dietro l’angolo, hanno scoperto il nulla.
E non sono ottimista neppure su quello che potrà accadere a partire dal prossimo quadriennio, perché mi dicono che chiunque vinca la lotta per il comando, sarà affiancato dallo stesso personaggio che ha generato questa situazione e ha voce in capitolo nell’universo pugilistico nazionale da quasi quarant’anni. E non credo sia neppure giusto addossargli tutti i mali del mondo. In modo altrettanto colpevole si sono comportati tutti quelli che hanno chiesto, chiedono e chiederanno il suo appoggio e ne hanno avallato ogni decisione senza minimamente contrastarlo.
L’urlo di Munch sarebbe la rappresentazione migliore dell’alieno chiamato a giudicare il mondo del nostro pugilato.
Continuano a ballare mentre il Titanic affonda. Si riempiono la bocca con scenari che appartengono alla realtà virtuale. Il mondo che raccontano non esiste se non nei loro sogni.
Hanno creato protagonisti che tali non sono, ma tali si sentono.
Provate a criticarli dopo una serie di sconfitte, precedute da successi di medio/scarso valore. Vi risponderanno che loro hanno già vinto abbastanza. E se per caso tornassero a conquistare una medaglia, sarebbero subito pronti/e a sparare a zero su chiunque abbia avuto l’ardire di raccontare le loro sconfitte.
Qui non si tratta dell’errore di questa o quella persona, di questo o quel dirigente. In Italia è la cultura pugilistica ad essere sbagliata.
Maestri convinti di sapere tutto, pugili certi di essere fenomeni, dirigenti che urlano la loro bravura, federali che raccontano successi a raffica. E io qui a chiedermi: allora perché non siamo una potenza del settore? Perché l’elite che sta in cima alla montagna di questo sport abita altrove?
E già che ci sono, oggi l’avrete capito mi gira decisamente male, vengo alle televisioni. DAZN è il nuovo mondo. È un miracolo che non ci meritiamo, e stiamo facendo di tutto per confermare questa mia sventurata valutazione.
Ringrazio DAZN per tutto quello che ci fa vedere dagli Stati Uniti, quello che ci farà vedere dall’Arabia Saudita e da chissà quale altra parte del mondo. Ci offre il meglio. Non posso dire altrettanto della programmazione legata alla nostra boxe. Qualche match di alto livello, ma la media è decisamente bassa. E non per colpa di chi gestisce l’organizzazione degli eventi, anche se ci mette del suo, ma per colpa di un serbatoio che scarseggia di protagonisti. Non solo di personaggi, come sento dire in giro, ma anche e soprattutto di campioni. E quei pochi che ci sono hanno paura a impegnarli in sfide a rischio.
Turchi vs McCarthy, Patera vs Valentino, Grandelli vs Bellotti hanno dimostrato che anche i nostri possono degnamente reggere lo spettacolo. Basterebbe un po’ di coraggio in più.
E poi a DAZN voglio anche dire che non mi piace assolutamente il modo in cui presenta i suoi show pugilistici. Questo sport contiene una componente drammatica che ne rappresenta la vera forza. Gli scialbi collegamenti con la platea dei VIP, le interviste prive di interesse prima dei match, gli interventi di chi nella boxe non è mai stato (giornalisti compresi), non appartengono alla narrazione di un evento così intenso di emozioni come quello pugilistico.
Guardare ogni tanto la programmazione inglese o americana farebbe bene.
Anche nella confezione dell'evento ci vogliono professionisti preparati e di livello, non solo sul ring.
E, già che ci sono, voglio dire due parole sui giornali.
Sono colpevoli di silenzio totale. Molti quotidiani, quasi tutti, ad esempio non hanno degnato Matteo Signani di un solo articolo. Eppure ha vinto l’europeo dei pesi medi. La boxe ha un richiamo mediatico attualmente assai vicino allo zero assoluto. È scomparsa, tranne nelle occasioni in cui si esalta il nulla. Ormai quasi tutti scrivono solo quando sono legati in qualche modo alla manifestazione. O per raccontare una tragedia.
Buon fine settimana.

«Ecco, ed io gitto con grazia il cappello,
poscia comodamente, pian pianino,
discosto un po’ le falde del mantello
e a vostra grazia dunque m'avvicino.
Voi sarete maestro del duello
Ma io sono maestro dello stocco
E mentre state li, come un tacchino,
a fin della licenza io tocco”.
(Cyrano de Bergerac, atto I, scena IV)

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