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Boxe&Dintorni

Le donne pugili italiane penalizzate in tutto ma meritevoli di tutto...

DonnePugili

di Gualtiero Becchetti

Recentemente sui “social” pugilistici di casa nostra qualcuno ha toccato l’argomento della boxe femminile, in particolare quella professionistica, evidenziando la necessità di darle vigore e sostegno. Sotto certi aspetti non é che il settore presenti problematiche molto diverse da quello maschile. Purtroppo quando un fisico é ammalato in una sua parte, soffre però nella propria interezza. La similitudine vale anche per la Noble Art italiana che, allo stesso modo di un corpo, o sta bene completamente o sta male completamente.
La boxe é una sola: maschile e femminile, dilettantistica e professionistica. E’ composta di atleti giovanissimi e maturi, di tecnici, di società e scuderie, di arbitri e giudici, di manager, organizzatori, medici, dirigenti periferici e centrali. Ciascuna colonna é più o meno fondamentale e preposta a reggere il peso dell’intero complesso. Se la struttura é malferma, tutte le colonne diventano a rischio…
Quindi, saggio sarebbe prendere una volta per tutte coscienza che le cose non vanno bene. Per nessuno. E’ un passo amaro e necessario. Il primo e il più importante. Perché se ci s’intestardisce a nascondere al prossimo e a se stessi tale realtà, per altro sotto gli occhi di tutti, non si comincerà mai a cercare le concrete, rapide, innovative cure i cui effetti non saranno comunque dietro l’angolo, ma ben più lontani. Negare il male é la strada più veloce per fare una brutta fine.
Tale introduzione, per arrivare in maniera più specifica appunto al pugilato femminile professionistico, con la premessa che la prima copertina riservata a due donne (Simona Galassi e Marzia Davide nel 2004) nella storia del glorioso Boxe Ring e il primo libro scritto in Italia e dedicato interamente alle pugili (Donne da Ring) sono, bene o male, usciti dalle mani del sottoscritto, ad evitare sospetti di “maschilismo” o d’intromissione “abusiva” nell’argomento.
Riconosciuta dal CONI con il benestare del Ministero della Sanità nel 2001, la boxe femminile italiana ha emesso i primi vagiti e compiuto i primi passi con almeno vent’anni di ritardo rispetto al resto del mondo.
Poi ha preso a marciare in maniera sempre più spedita, vincendo le remore e i pregiudizi del pubblico, dei media, di tanti addetti ai lavori e pure nostri.
Ci si era quasi illusi che la crescita fosse esponenziale e inarrestabile…
Era stata Maria Moroni la prima professionista di casa nostra a conquistare l’Europeo professionistico durante la sua breve carriera (2000-2003), poi erano salite alla ribalta altre atlete che da allora sino ad oggi hanno tenuto accesa la fiaccola con passione, volontà e tenacia. Prima di tutte la fantastica romagnola Simona Galassi, vincitrice di tutto ciò che si poteva conquistare sia a livello dilettantistico che professionistico nel corso di dieci indimenticabili anni; poi la sua grande avversaria Stefania Bianchini (i loro due match nel 2008 occuparono ampio spazio sui giornali e nelle TV), quindi Maria Rosa Tabbuso, Emanuela Pantani, Laura Tavecchio, Loredana Piazza, Anita Torti, l’indomita Vissia “Leonessa” Trovato e altre ancora, con bravura e sgomitando, hanno meritato un posto di rilievo nel più “macho” degli sport.
Ma, come si diceva all’inizio, il veloce e triste declino della Noble Art tricolore “non ha fatto prigionieri” e nessuno si é salvato. In mezzo alle macerie e alle talvolta insopportabili nostalgie di qualcosa che non c’é più, si può però trovare anche qualcosa di positivo. Sembra follia ma non lo é! Ben inteso, sempre che si prenda coscienza della gravità della situazione. Quando tutto crolla non c’é altra alternativa che rimboccarsi le maniche e ricostruire ogni cosa da capo, facendo tesoro degli errori commessi, spalancando porte e finestre, svuotando cantine e ripostigli, prendendo al volo l’opportunità di rinnovare, rinnovare, rinnovare…Se l’Italia é risorta dopo due guerre mondiali, la “spagnola”, terremoti, alluvioni e cataclismi di ogni genere, avrà pure stavolta l’occasione di risorgere dopo la pandemia del “corona virus”, purché si renda conto che sta per iniziare un nuovo match, perché l’altro é finito. O rinascerà o morirà. E io credo assolutamente alla prima ipotesi. E non dovrebbe farcela la boxe tricolore? Non scherziamo…
I grandi campioni oggi non ci sono più e nemmeno le grandi campionesse. Questo é il basilare problema su cui s’innestano tutti gli altri. La gente, i giornali, le TV, gli sponsor…il denaro, arrivano quando emerge qualcuno che é capace di vincere. Non a chiacchiere, non sul ring condominiale, non nei video-games, non contro avversari d’infimo livello, non per cinture che valgono quanto le bretelle. Ma su ring veri, con rivali veri e per titoli veri. Il resto é solo folklore che dura quanto la fiammella di un fiammifero.
Se poi il campione e la campionessa spunteranno prima o poi in qualche palestra di casa nostra, allora avrebbe senso ogni altra cosa per favorirne la trasformazione in “personaggio” mediatico. Senza avere qualità si può partecipare e diventare famosi al “Grande Fratello”, non certo salire sul ring e conquistare gloria e quattrini.
Le pugili professioniste italiane (e non solo) sono attualmente poche, combattono di rado e risultano pure svantaggiate da onerose e complicate incombenze mediche e burocratiche. E’ difficile farle salire tra le sedici corde e lo sanno bene le società e gli organizzatori. Inoltre le ragazze hanno uno svantaggio rispetto ai colleghi uomini: solitamente mancano di potenza e quindi creano meno aspettative di emozioni forti. Unica soluzione: bilanciare l’assenza del colpo da ko con la tecnica, l’eleganza, la fantasia, l’intelligenza tecnico-tattica. Ciò richiede loro molto impegno. Ai tecnici ancora di più! Qualora poi emergessero elementi su cui puntare, a mio avviso la sola e concreta strada percorribile per garantire ad esse attività costante e qualificata é la semplificazione incisiva dei “legacci” burocratici-sanitari e l’incentivazione ad un inserimento nei programmi mediante un premio (in denaro o in taglio delle spese) riconosciuto alle società e agli organizzatori che facciano ciò.
In un bilancio annuale di parecchi milioni di euro, non dovrebbe risultare molto oneroso per le casse federali favorire la disputa di uno-due match femminili nelle manifestazioni professionistiche, considerando il numero esiguo delle nostre atlete.
Di notevole impulso potrebbe risultare inoltre la disputa dei titoli italiani (basandosi su classifiche periodiche e difese obbligatorie) con protagoniste atlete dignitose e la garanzia di una borsa minima non “offensiva” e supportata da un più incisivo sostegno federale. Una volta poi che le cose andranno per il giusto verso, tra qualche anno, allora di tale parziale assistenzialismo si potrebbe pure fare a meno.
Osservazioni semplici, persino scontate le mie e l’auspicio di iniziative tangibili, a tempi brevi.
Tanto per cominciare. Di ragazze pugili utili solo per finire su qualche profilo internet o in trafiletti di ultima pagina del quotidiano locale la boxe se ne fa poco. Esse meritano molto, molto di più perché, come diceva una grande campione del passato: “I pugni fanno sempre male, anche quelli di un neonato. Per non sentire male devi essere “speciale”!”.
E le “donne da ring” molto spesso sono speciali…

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