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Boxe&Dintorni

La pandemia, lo sport e lo Stelvio: é ora di tornare a vivere!

Stelvio

di Gualtiero Becchetti

Sto cedendo alla distanza. Lo confesso.

I titoli tricolori professionistici la cura per rilanciare il nostro pugilato!

TricoloreSuperfluo ricordare tutte le disgrazie di questo ultimo anno.

Lo sport ad alto livello in Italia é possibile solo in divisa?

OlimpiadiRio2016Continuo la riproposizione di articoli di alcuni anni fa in cui é possibile ritrovare motivi di riflessione, dal  momento che problemi e situazioni in essi descritti sono (purtroppo) ancora attuali. Un brutto segno, perché evidentemente tutto é rimasto chiuso nei cassetti delle immutabili scrivanie di tutte le discipline sportive italiane o a sonnecchiare sotto le immense pile delle questioni irrisolte. Speriamo...Del resto, che altro si può fare?

Gualtiero Becchetti

MAGGIO 17, 2014
Rai 3, nella trasmissione “Report” del 5 maggio u.s. condotta da Milena Gabbanelli, incentrata sugli scandali eclatanti e nascosti (…più o meno) che si annidano nelle federazioni sportive, non ha svelato grandi novità. Non c’è infatti persona in Italia che non abbia sentore delle nefandezze che si celano in un settore che dovrebbe invece offrire un contributo fondamentale all’educazione e alla salute dei cittadini, bambini e adolescenti per primi.
A sua volta, lo scorso 14 gennaio sul suo blog, Dario Torromeo ha parlato dello sport e dei corpi militari. Alle ultime Olimpiadi di Londra, su 290 atleti azzurri ben 194 indossavano una divisa (il 67%!) e TUTTE le medaglie d’oro sono arrivate per merito loro. Praticamente come la DDR e l’URSS di alcuni decenni orsono. Quindi, i 2500 tra atleti, tecnici e dirigenti che operano all’interno di suddetti corpi, ottengono grandi risultati. Su questo non ci piove, ma viene spontaneo dire: “Ci mancherebbe che ciò non accadesse!”. Certo, perché con il reclutamento dei migliori italiani di ciascuna disciplina agonistica mediante la prospettiva di uno stipendio sicuro, che diventano quasi sempre tre “abbondanti” (allo statale, si sommano pure quello della rispettiva federazione e il contributo Coni riservato ai probabili “medagliati”, con l’aggiunta dei premi per i risultati conseguiti), la disponibilità di strutture adeguate, tempo in abbondanza per allenamenti, ritiri, stage, ecc…beh, non è poi così difficile ottenere risultati positivi, almeno rispetto ai semplici “figli” di piccole società, dirette e allenate da volontari costretti a strappare ogni minimo alloro con tanto sudore e con le tasche vuote.
Nel pugilato, ad esempio, agli ultimi Mondiali (Kazakhstan, 14/26 Ottobre 2013 ) non c’era un solo atleta (nemmeno uno!), che non appartenesse ad una squadra militare. E’ normale tutto ciò? No, sia che si guardi al passato della rappresentativa azzurra, sia che si confronti tale realtà con quella degli altri Paesi evoluti. Inoltre, la Fpi (come tutte le altre federazioni), riversa sui potenziali “medagliati” la stragrande parte delle risorse ricevute dal Coni, cioè denaro pubblico, creando così un minuscolo circolo di “eletti” e una vasta base di “esclusi”, però con un’eclatante contraddizione: coloro che diventano componenti del circolo degli “eletti” sono “creati” proprio dalla trascurata base degli “esclusi”, dal momento che vengono prescelti solo DOPO che hanno dimostrato il loro valore e non PRIMA! In poche parole, l’avviamento allo sport e successivamente all’agonismo, ma soprattutto la selezione dei migliori, avviene per ESCLUSIVO merito delle società periferiche, sulle cui fragilissime spalle pesa di fatto l’esistenza stessa dello sport nel nostro Paese. E’ una situazione paradossale perché se un brutto giorno i volontari delle varie discipline decidessero di non aprire più le strutture che a proprie spese accolgono bambini, giovani e anziani, si andrebbe incontro ad un vero e proprio disastro sociale. Senza calcio, basket, pallavolo, atletica, boxe, nuoto, ecc., non resterebbe che la play station…
Per non parlare di un altro aspetto negativo. I “professionisti” di Stato di tutti gli sport, sia per la loro forza intrinseca (comprovata dal solo fatto di essere stati arruolati) , sia per i vantaggi sopra ricordati, con il passare del tempo allargano una “forbice” incolmabile rispetto agli altri per cui, almeno in Italia, i primi continuano a vincere con sempre maggiore facilità e i secondi “mollano”, non avendo prospettive reali di emergere e così ci si trova poi a dover fare i conti con Nazionali attempate e con “ricambi” lontanissimi dal livello dei titolari…Ai campionati italiani di pugilato, ad esempio, atleti con 10/15 anni di carriera e Olimpiadi, Europei e Mondiali alle spalle possono battersi con ragazzi che svolgono la loro saltuaria attività quando e come possono. Grottesco. Ma la musica è uguale in qualsiasi settore agonistico: o un giovane può e ha voglia di fare l’atleta a tempo pieno con l’escamotage di una divisa militare oppure, per frequentare i ritiri della Nazionale, non deve lavorare o frequentare la scuola, altrimenti dallo sport ad alto livello é FUORI!
E a livello politico-elettorale? Si sa che le squadre che hanno ottenuto i maggiori risultati (titoli italiani, europei e olimpici) moltiplicano i propri voti e quindi diventano determinanti per l’elezione di presidenti e consiglieri federali ed è facile immaginare come va a finire.
Che fare? Tanto per cominciare il Coni, dopo avere acceso ogni mattina ceri di ringraziamento ai gruppi militari per le medaglie che gli portano in dote, dovrebbe però subito dopo impegnarsi affinché TUTTI gli atleti possano conseguire risultati importanti, senza dovere essere costretti o ad arruolarsi o a trascurare lavoro e scuola. Il Coni e le federazioni dirigono l’attività sportiva nazionale e internazionale, possiedono strutture pagate con le tasse della gente comune e quindi devono assicurare, pure in quest’Italia cialtrona e sfiduciata, un CONTROLLO ATTENTISSIMO sull’utilizzo delle risorse e garanitere le PARI opportunità per tutti gli atleti. TUTTI. Ogni euro sprecato-rubato-occultato è infatti sottratto incontestabilmente alla comunità.
Nessuno dimentica gli impianti sportivi iniziati e mai finiti e i saccheggi che hanno accompagnato quasi regolarmente le grandi manifestazioni internazionali svoltesi in Italia, gli stipendi da nababbi distribuiti tra amici, amici degli amici e parenti vicini e lontani… Persino dalle casse di una federazione di non grandi “numeri” come la Fpi sono sparite 5 anni fa “carriolate” di euro eppure NESSUNO è mai stato chiamato a giustificare almeno il mancato controllo, cioè il minimo richiesto a chi appoggia il sedere su una poltrona. E non si dimentichi che anche in molte altre federazioni si sono riscontrate gravissime irregolarità amministrative. Pure in questo 2014, nonostante la crisi, il Coni concederà alla federazioni 150 milioni 462.684 euro (dei quali 62 milioni 541.620 al Calcio), mentre una fetta ingentissima di denaro pubblico servirà invece per l’autoalimentazione dell’apparato, composto da uno stuolo di dipendenti con normali retribuzioni, ma anche da personaggi che si portano a casa centinaia di migliaia di euro all’anno, alla faccia delle palestre fatiscenti o inesistenti, delle associazioni dilettantistiche allo stremo e dei volontari che per nutrire la loro passione e quella degli utenti devono rompere il salvadanaio di famiglia….
Il discorso sarebbe lunghissimo e le mie parole non contano nulla, come succede quasi sempre per qualsiasi persona comune; però contano i bla-bla-bla vuoti, infiniti e ripetitivi, che alla fine lasciano tutto sempre uguale a se stesso e i risultati si vedono… Sarebbe ora che lo Stato, il quale predica sacrifici al prossimo, desse un’occhiata seria alle strutture sportive esistenti, agli eventuali sprechi, ai viaggi, al numero dei dirigenti, dei tecnici, dei “distaccati” perché il tutto grava sulle spalle dei cittadini e non su quello di Babbo Natale!
Sarebbe bello contare su squadre nazionali e gruppi militari non quasi sovrapponibili come oggi, ma con funzioni e organizzazione diverse, decentrate, coscienti del fatto di essere, nel bene e nel male, nell’ Italia del 2014 e non in quella degli anni ‘50. Le prime magari consapevoli che i lunghi e periodici ritiri sono sorpassati; che le figure dei tecnici “maghi” non esistono, ma esistono quelle di vari silenziosi, competenti e laboriosi allenatori di società; che gli atleti azzurri non sono nati sotto i cavoli, ma in piccole associazioni meritevoli di ben altro sostegno. I gruppi militari svolgerebbero dal canto loro un compito assai più educativo e utile se non fossero di fatto al di sopra e al di fuori delle altre società, ma essi stessi votati a creare talenti e non solo a prendersi i migliori a impegno e spese altrui.
Ma soprattutto, sarebbe importante contare su una realtà sportiva organizzata in maniera diversa, che non obblighi i giovani a dovere fare la scelta scuola-Nazionale o lavoro-Nazionale. Se ciò accadesse, forse finirebbe la “sotterranea” ma fastidiosa e dannosa contrapposizione che spesso oppone il mondo dello sport “per tutti” alle Nazionali e ai gruppi militari.
Un tempo, neppure troppo remoto, era così. Oggi è forse un’utopia…e forse, senza “forse”!

Arbitri e giudici: attenzione che la barchetta affonda per tutti!

ArbitroAggreditoOre incandescenti. Discussioni incandescenti... Sempre le stesse, sempre per i medesimi motivi. Ripropongo un articolo scritto e pubblicato tanti anni fa. Troppi. I nomi e le situazioni sono diversi, il contesto altrettanto. Se avete voglia e tempo provate a rileggerlo e vi accorgerete come nulla sia cambiato. Basterebbe solo mutare i nomi. Infatti quando ripropongo un articolo scritto parecchio tempo fa é (purtroppo) quasi sempre un brutto segno. Che dire? Speriamo che la prossima volta si possa riscrivere tutto e il titolo sopra riportato sia finito nel cestino della carta da buttare...

Gualtiero Becchetti 


FEBBRAIO 15, 2014
Il pugilato è afflitto da tanti mali, ma quelli che gli infliggono gli “altri” sono nulla rispetto a quelli che è capace d’infliggersi da solo.
E’ una triste ed amara considerazione; in un certo senso, la certificazione di una decadenza iniziata tanti anni fa e che perdurerà probabilmente ancora un po’, sino a quando non si uscirà dal tunnel o si chiuderà bottega per sempre.
Tutto quanto accade nella boxe di oggi, a livello politico-dirigenziale, è confuso, contraddittorio, miope, talvolta demenziale…E’ la minimalistica trasposizione nazionale e internazionale di ciò che accade con esiti ben più drammatici nella contemporanea vita civile dei popoli, quasi in ogni angolo del globo.
Probabilmente è proprio vero quello che la storia insegna: quando sull’umanità s’abbatte la ciclica epoca della decadenza, essa coinvolge tutto e tutti, dai “massimi sistemi” alle biglietterie degli autobus, dai capi di Stato ai venditori di caldarroste.
Talvolta però non sarebbe così difficile limitare i guai. Capisco che quanto accade intorno a noi non invita all’ottimismo, ma basterebbe poco-poco per far sì che le cose marciassero, seppur zoppicando, in una maniera almeno sopportabile.
Da pochissimo, tra le nebbie e la pioggia di Calais, il nostro povero Devis Boschiero è stato scippato del titolo d’Europa, vale a dire del traguardo sportivo, morale ed economico per raggiungere il quale aveva sacrificato sino ad oggi la parte più bella della sua vita: la giovinezza. E come lui, tantissimi altri pugili di ieri, di oggi e di domani sparsi sui cinque continenti.
Un verdetto richiede solo un istante ad essere emesso. Poi, per i giudici e l’arbitro la storia è finita lì…
Sono i pugili che devono ricostruire il loro fragile castello di carta dal principio e spesso non ci riescono più; ciò che è perduto, è perduto talvolta per sempre! Ma è la regola del gioco, dell’esaltante e drammatica trama della noble art. Sì, è il “sale” stesso di questo meraviglioso sport…Purché la bilancia della giustizia funzioni bene!
E invece, no; o almeno non sempre. E se noi italiani gridiamo alla scandalo ai danni di Boschiero, ecco che i francesi ci sbattono in faccia il ricordo della vergogna perpetrata ai danni di Rebrasse e allora noi potremmo elencare altre porcherie transalpine, alle quali sicuramente essi opporrebbero ulteriori nefandezze “nostrane”…Chi è senza peccato scagli la prima pietra!
Ciò vale per qualsiasi pugile in qualsiasi paese. Quindi, è evidente che non se ne esce e non se ne uscirà mai e questo squallido ritornello risuona dalla notte dei tempi del pugilato.
Eppure basterebbe poco. Lo ripeto…
L’andamento di certe direzioni arbitrali e di certi cartellini, chiunque conosca appena l’ABC delle cose della boxe lo può prevedere con ampie possibilità di fare centro. Circolano i nomi (quasi sempre gli stessi…) di giudici e arbitri molto sensibili all’ospitalità degli organizzatori; sono note a tutti le preferenze che parecchi promoter indicano alle sigle professionistiche e dilettantistiche riguardo alla designazione degli ufficiali di gara. Perché? Inutile dirlo…Com’è superfluo sottolineare che la carriera di vari uomini in papillon dipende più dalle amicizie giuste che non dai meriti personali.
E allora? Allora si aprano le porte e s’invitino gli incapaci e/o i disonesti, nonché i deboli, ad andarsene. Si faccia pulizia, ma la si faccia per davvero! Credo che nessuno di coloro i quali abbiano avuto la pazienza di leggere ciò che scrivo possa dire che io sono un “anti” arbitri e giudici, perché (carta canta!) li ho sempre difesi e sono convinto di farlo anche in questo momento. Ma ormai l’emergenza è insostenibile.
Non è possibile che quando si varcano i confini di uno Stato (ma spesso pure di una regione, a livelli dilettantistici), i protagonisti, vale a dire i pugili (sì, proprio loro!) salgano sul ring con mezza sconfitta già sulle spalle. Com’è naturale tra i pugili e i tecnici, anche tra arbitri e giudici vi sono i grandi, i normali, i mediocri e i “negati”, con l’aggiunta e l’aggravante che alcuni sono pure disonesti.
Il principio che vale per gli atleti non si vede perché non debba valere per chi ha l’enorme responsabilità di stringere in mano il destino degli atleti stessi.
Il pugilato sarà pure un gioco, ma è un gioco serissimo e talvolta persino drammatico; se oggi, specialmente in Italia, è simile ad una barchetta di carta al largo di Capo Horn, il minimo che si può fare è pretendere che coloro che scelgono gli sfortunati marinai siano persone in grado di farlo e in possesso di quelle conoscenze e doti morali che consentono di individuare i migliori.
Altrimenti la barchetta affonderà. Affonderà per tutti.

 

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