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Tennis e Cinema: Arrival Australian open

Tennis e Cinema: Arrival Australian open

Se voi, come me, non avete impegni di lavoro e amate il tennis, a gennaio

avrete detto a parenti e amici:- Ah, vi ricordo che dal 16 io mi trasferisco sul fuso orario di Melbourne- Se, come me, amate anche il cinema, forse avrete rubato due ore al vostro sonno pomeridiano o serale per vedere Arrival, di Denis Villeneuve, da due settimane sugli schermi italiani e candidato a otto premi Oscar fra cui la miglior regia.

Riduttivo definirlo solo un film di fantascienza per l’iniziale comparsa di dodici dischi volanti (perpendicolari, non paralleli al suolo, come in tutte le guerre dei mondi e gli indipendence days ) con alieni simili a polipi eptapodi, con i quali si cerca di comunicare per capire se siano ostili. Arrival, infatti, coinvolge sin dall’inizio lo spettatore in una riflessione sul Tempo, sull’accettazione del dolore, della perdita, attraverso l’amore, la capacità di vivere, prevedere e ricordare attimi di infinito. Gli astronauti di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e di Interstellar di Christopher Nolan devono superare rispettivamente l’Infinito e un buco nero per sperimentare la circolarità del Tempo, che Luise, la protagonista di Arrival, percepisce invece sulla Terra, a contatto con gli eptapodi, dapprima come trasalimento, poi come visioni del suo futuro (che erroneamente all’inizio lo spettatore crede flash back del passato). Questa l’essenza di ogni messaggio alieno che ha come base appunto una struttura circolare le cui leggere modifiche saranno poi decodificate da lei, docente di lingue, e da Ian, matematico e futuro padre di quella loro figlia che all’inizio del film noi, però, abbiamo visto morire. Ma come Luise si lascia guidare dagli alieni nella conoscenza del loro linguaggio e della propria vita, anche noi ci affidiamo a lei, contagiati dalla sua serenità nell’accettare, per amore, la preveggenza del dolore e della perdita.

Quindi, tornati a casa, con le ore di sonno notturno che si allungano (perché le ultime fasi dell’Australian open di tennis cominciano all’alba per le semifinali femminili e alle nostre 9.30 per le due finali), ipotizziamo che forse i migliori strumenti per interpretare il primo slam dell’anno siano proprio i cerchi dei messaggi alieni di Arrival. Troppo presto negli ultimi sei mesi del 2016 si è parlato di “morte” : Federer fuori fino al 2017 per un’operazione al ginocchio, Nadal che rinuncia al “suo” Roland Garros per un infortunio al polso, e poi torna con molte insicurezze e chiude in anticipo la stagione; dei fab four era forse rimasto il solo Murray dopo la crisi esistenziale più che tennistica di Djokovic. Addirittura sui social e sulla stampa si era cominciato a parlare di “ morte” del tennis tout court per un eventuale ritiro definitivo di Roger Federer, un qualcosa che in modo ancora più intenso ricordava il sentimento di fine di un’epoca provato dai fans di John Mcenroe nel’92. Incerti tra l’elaborare un lutto e prospettare una nuova era, gli addetti ai lavori e i semplici appassionati guardavano con qualche perplessità la nextgen della campagna promozionale dell’Atp per i giovani talenti. Il futuro numero 1 del mondo (e senza punto interrogativo) titolava ad aprile la prestigiosa rivista francese Tennis Magazine, con la foto di Alexander Zverev in copertina … Ma un brivido scosse i suoi lettori, ricordando lo stesso titolo anni fa, per un Gasquet di nove anni.

Ancora più cupo sembrava l’orizzonte del tennis femminile: lo splendido oro di Monica Puig nella notte di Rio è rimasto una stella isolata; ci si chiedeva se l’annuncio del matrimonio di Serena Williams avrebbe forse preceduto quello del suo ritiro, e la sorella Venus, benché ancora numero 13 al mondo, aveva vinto il suo ultimo slam a Wimbledon nel 2008 e raggiunta la finale l’anno successivo, ma da allora si parlava di lei in fase di presentazione di uno slam, più per la malattia di Sjogren da poco diagnosticata, che per le sue probabilità di aggiudicarsi il titolo. Kerber avrebbe confermato il luminoso 2016 che l’aveva vista affermarsi a Melbourne e a New York, o avrebbe sentito la pressione della nuova numero 1? Qualcuno avrebbe mai insegnato a Simona Halep a giocare lo slice, o avrebbe continuato ad estenuarsi in una gara di corsa?

La prima settimana del 2017 pareva confermare la fiducia nella nextgen, quando alla Hopman cup il più piccolo dei fratelli Zverev batteva, per la seconda volta in 3 incontri, Roger Federer. A Doha, poi, con l’affermazione di Djokovic su Murray parevano ristabilite le gerarchie, e forse l’Australia avrebbe mostrato la determinazione del serbo a riprendersi la prima posizione del ranking E invece, a distanza di pochi giorni dall’ottava finale slam delle sorelle Williams (8 anni dopo quella di Wimbledon) e dalla conquista del diciottesimo slam di Federer, su Nadal (Roland Garros 2011 la loro ultima finale), siamo qui, oggi, ancora sorpresi, emozionati, felici, proprio della circolarità, del passato che ritorna nel presente e che dà fremiti per il futuro.

Ma giochiamo ancora un po’ con i cerchi degli eptapodi di Arrival, che vi dicevo, sono leggermente diversi uno dall’altro, cercando le novità in questo primo slam, a cominciare da quella che aveva fatto gridare al miracolo ad un Mcenroe improvvisatosi pirata in un suo spazio televisivo su eurosport: il ritorno del serve and volley puro, sia pure del solo Misha Zverev e per lo spazio di un mattino, ma quanto basta per sconfiggere il numero uno del mondo; la finale maschile, la stessa di Melbourne 2009 ma con un altro vincitore, non sarà stata anche il frutto del migliorato rovescio di Federer, più aggressivo, più d’anticipo sul dritto in top di un Nadal con meno spinta nelle gambe, meno potenza nel braccio, e forse meno fiducia in se stesso?Il bulgaro Dimitrov, poi, splendido semifinalista arresosi a Nadal dopo cinque ore, è finalmente riuscito, come aveva detto Clerici per Federer 15 anni fa, a mettere insieme i pezzi del suo tennis?

Lasciatemi però concludere ancora con una riflessione sul Tempo, ricordando la bella impresa australiana di Miriana Lucic che ha giocato la sua seconda semifinale slam dopo 18 anni e una storia di violenze paterne, fuga dal proprio Paese, di ferite rimarginate anche grazie all’aiuto del marito e alla volontà di ricominciare a giocare a tennis. Nell’intervista a bordo campo dopo i quarti, ci suggerisce di mandare al diavolo (lei ha usato un’espressione più colorita) tutti coloro che ci invitano a rassegnarci e a non inseguire i nostri sogni. Miriana non conosceva il proprio destino, ma ha continuato a crederci; Luise di Arrival lo conosceva, sapeva che avrebbe amato e perso coloro che amava, e ha scelto di realizzarlo. Ci siamo chiesti dopo il film che cosa faremmo noi se gli alieni ci avessero reso veggenti della propria vita: anche noi avremmo scelto l’amore? O forse ringraziamo di non avere avuto questa possibilità?

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