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Tennis: Piccoli maestri

Tennis: Piccoli maestri

“Sono maestrini  loro, ma sono forti” . Così Capitan Toni  presenta alla sua brigata partigiana gli studenti universitari appena arrivati,  nel film Piccoli Maestri (1997) di Daniele Luchetti  tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Meneghello.

 Ma questo è stato anche il senso dei commenti sull’ultimo atto  della stagione tennistica  prima della coppa Davis: la vittoria del bulgaro Dimitrov sul belga Goffin, qualificati per le finals  di Londra  rispettivamente con il ranking di 6 e 8 del mondo.

I tornei nella loro storia possono cambiare nomi, spesso dettati dagli sponsor, ma credo di interpretare un sentire comune continuando a chiamare The Masters (il nome della prima edizione del 1970 resta fino all’89)  la settimana di novembre in cui i primi otto giocatori del mondo si scontrano, dapprima divisi in due gironi e poi, dalle semifinali, ad eliminazione diretta. Scorrendo l’albo d’oro   leggiamo i nomi dei fuoriclasse che hanno scritto la storia di questo sport nell’era open, da Borg, a McEnroe, a Lendl, a Becker, Edberg, Sampras, Agassi, Federer, Djokovic, e l’anno scorso Murray conquistò il titolo e il primato del ranking. Gli unici vincitori  del Masters   ma non di slam, prima di Dimitrov, furono Corretja nel 1998, Nalbandian (2005) , Davydenko (2009).

Il supplente” titolava la rivista Matchball del dicembre 2005, con in copertina la foto di  Nalbandian con il trofeo dell’allora Tennis Masters cup. La metafora scolastica era molto appropriata perchè Federer, indiscusso numero uno, vincitore di 11 tornei fra cui Wimbledon e l’Usa open, infortunatosi a fine settembre, saltò tutta la stagione autunnale europea, sconfisse l’argentino nel  round robin del torneo che allora si giocava a Shangai, ma dovette cedere al quinto set della finale. David Nalbandian, invece, aveva vinto  un solo torneo minore, a Munich, e si era piazzato ai quarti  a Melbourne, a Wimbledon e agli Usa open, ma in quell’ultima partita dell’anno, l’aver rimontato due tie break persi al numero 1 del mondo e averlo battuto in quello finale gli consegnò un trionfo meritato.

Nella settimana londinese quest’anno l’immagine del piccolo maestro si adatta bene al finalista, David Goffin, che nel profilo ufficiale dell’Atp dichiara di essere alto 1.80, ma che effettivamente, forse anche per l’esile figura, sembra più basso. Biondo, occhi chiari, ricorda l’attore Jacques Perrin nel film Cronaca Familiare (1962), ma come anticipo sui colpi e eleganza del rovescio a due mani lungolinea evoca un altro tennista biondino, quell’Yevgeny Kafelnikov che proprio vent’anni fa incantò critica e pubblico prima di cedere a Sampras nell’Atp finals del 1997. L’impresa del belga  (perché con Federer prima di Londra aveva perso in tutti i loro  sei incontri) di battere il campione elvetico nella semifinale dopo un primo 1-6, ha suggerito titoli su David contro Golia, ma penso che per comprendere la maturità del gioco di Goffin, anche dal punto di vista tattico, più che le partite della settimana del Masters bisogna rivedere le sue due vittorie contro Pouille e Tsonga,  cinque giorni dopo, nella finale di Davis.

“Piccolo “ maestro agli occhi degli appassionati, mi pare sia stato giudicato anche il vincitore dell’Atp finals 2017, il bulgaro Grigor Dimitrov, non perché qualcuno possa mettere in dubbio la sua superiorità tecnica, atletica, mentale, dimostrata battendo 2 volte Goffin (addirittura umiliato nel round robin ), Thiem, Carreno Busta e Sock, ma perché le aspettative del pubblico erano  altre: nell’anno dei miracoli, con la “risurrezione” di Nadal e Federer, che si sono divisi gli slam e occupano le prime due posizioni mondiali, si sperava in una resa dei conti definitiva a Londra (come Murray- Djokovic nel 2016) anche se dopo l’assenza a Bercy lo svizzero aveva ormai perso la possibilità di guidare il ranking. Invece Nadal si è ritirato per il riacutizzarsi del dolore al ginocchio dopo il match con Goffin, perdendo così la possibilità di scrivere il proprio nome sull’albo d’oro dei Masters, anche se sinceramente pochi, dopo 5 sconfitte consecutive con  Federer, in un’ipotetica finale, avrebbero puntato sullo spagnolo. Vedere poi lo stesso Federer duellare  insolitamente nervoso durante tutta la settimana e poi cedere dopo un primo set vinto con irrisoria facilità con Goffin, ha lasciato tutti sconcertati.

Come curioso, in quest’anno così imprevedibile ancora dodici mesi fa, è stato che  i “piccoli maestri” del 2017 appartengano ad una generazione tennistica ritenuta ormai bruciata, non in grado di impensierire i fab four: i ragazzi del’91-92, come Dimitrov, Goffin e Sock sono stati, fino all’ultima settimana, un po’ sottovalutati dai media, concentrati più nel sostenere la campagna di lancio della next gen ammirata nelle finals di Milano. Molto deludente, invece, è stato l’unico rappresentante degli under 21, quell’Alexander  Zverev vincitore nei master 1000 di Roma e di Montreal, ma qui apparso inadeguato, o forse solo stanco e frastornato nell’affrontare i “grandi”, e lo si è visto sfogare la sua frustrazione, nel match contro Sock, facendo le “birichinate” come slacciare le stringhe delle scarpe all’arbitro Bernardes, reo di averlo richiamato a suo dire ingiustamente.

Che ne sarà dei piccoli Maestri di Londra nel 2018 con il ritorno di Djokovic, Wawrinka e Murray? Il 2017 sarà ricordato come il canto del cigno per Federer e Nadal o li troveremo ancora a lottare come ragazzini e contro i ragazzini? Queste e altre domande affollano la testa degli appassionati di tennis, che ora, come i loro beniamini, si concederanno un po’ di riposo,  anche se una parte di noi, forse, vorrebbe già essere a gennaio e trovare risposte.

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