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Tennis: From Paris with love

Nella stessa settimana re Juan Carlos di Borbone abdicava dal trono di Spagna e il suo “suddito” Rafael Nadal riconquistava quello tennistico di Francia.

F1 2014/ Lotta Mercedes - Ferrari, ma attenzione alle sorprese

Rivoluzione. Questa è la parola d’ordine della Formula 1 2014 che con un ampissimo cambio regolamentare ha cancellato, quasi completamente, tutte le certezze di piloti e scuderie. Sebastian Vettel, vincitore degli ultimi quattro titoli Mondiali, già adesso sa che non riuscirà a difendere il titolo. Chi sarà il suo successore? Ancora nessuno può dirlo.

Il ritorno dei motori turbo ha costretto tutte le scuderie a creare delle vetture nuove. I piloti, che si sono pure dovuti mettere a dieta e, che dovranno accelerare e frenare in modo molto diverso, nel prossimo weekend correranno a Melbourne, dove si apre il Mondiale 2014.

Favoriti per la prima gara non ce ne sono. Perché tutte le scuderie nei test di Jerez e del Bahrain hanno lamentato grossi problemi di affidabilità. E in un coro unanime praticamente tutti hanno detto che la prima gara sarà ad eliminazione, e chi giungerà al traguardo di sicuro porterà a casa dei punti.

Red Bull e Lotus, prima e quarta negli ultimi due campionati, sono nei guai. Perché la Renault non è riuscita a progettare un motore perfetto, come quello ha permesso a Vettel di vincere sempre e che ha permesso alla casa francese di superare la Ferrari come numero di vittorie in Formula 1. Red Bull e Lotus corrono il rischio, assai concreto, di vedere entrambi i suoi piloti ritirati nella prima gara.

Chi ha fatto le cose come si deve, a livello di motori, è la Mercedes. La casa di Stoccarda punta al titolo Mondiale. Hamilton e Rosberg se non avranno problemi tecnici si giocheranno il successo tra loro. Ma nemmeno la Mercedes nei test è stata immune, entrambi i piloti si sono dovuti fermare per vari contrattempi. Motorizzati dalla Mercedes sono pure la McLaren, per l’ultimo anno, la Williams, per la prima volta, e la Force India, ancora della ricerca della prima vittoria della sua storia. Tutte queste tre scuderie hanno in Australia una chance colossale ed i piloti di McLaren, Williams e Force India sognano in modo concreto il colpo grosso, ma per loro anche un podio sarebbe eccezionale.

E poi c’è la Ferrari che vuole tornare a vincere e per questo schiera due campioni del mondo: Fernando Alonso, vincitore nel 2005 e nel 2006, e secondo con la Ferrari nel 2010 e nel 2012, in entrambi le occasioni perse il titolo all’ultima gara, e Kimi Raikkonen l’ultimo campione del mondo in rosso. Vedendo la loro storia e vedendo la storia della Ferrari è probabile, per non dire certo, che soprattutto all’inizio in condizioni normali lo spagnolo e il finlandese non potranno puntare alla velocità massima, e di conseguenza alla pole position. Entrambi, però, in gara danno il massimo e la Ferrari punta sulla loro classe e sulla loro capacità di gestione di gomme e vettura. Se l’affidabilità ci sarà e il Mondiale partirà bene, la scuderia di Maranello potrà riprendersi il titolo Mondiale.

Tennis: Cherchez la femme

Chi è stato l’ultimo cavaliere a rendere omaggio alla propria dama?

Champions League 2014/ Il meraviglioso Gruppo F

Luciano De Crescenzo nel suo film più famoso ‘Così parlo Bellavista’, che ebbe otto nomination ai ‘David di Donatello’ del 1985, ad un variegato gruppo di adepti provava a spiegare, a modo suo, la filosofia. Il Professore a loro disse che gli uomini si dividevano in due categorie: gli uomini d’amore e gli uomini di libertà. La stessa divisione si poteva effettuare per i popoli e le nazionali europee. Questa stessa distinzione si può fare nel calcio, dove esistono squadre d’amore e squadre di libertà. Le squadre di libertà sono quelle che tradizionalmente vincono in continuazione come il Manchester United, il Bayern Monaco, la Juventus, il Real Madrid o la Germania; che si contrappongono alle squadre d’amore, che magari non vincono tanto, ma che entusiasmano la gente come la grande Olanda di Cruyff, che non è riuscito a vincere né i Mondiali né l’Europeo, ma è una delle squadre più amate di tutti i tempi. In questa edizione di Champions League sono state inserite nello stesso gruppo quattro squadre d’amore, che si somigliano in un modo impressionante: tutte e quattro sono sospinte da un pubblico meraviglioso, che vive in simbiosi con la propria squadra e tutte queste squadre giocano un calcio allegro e divertente.

Arsenal – Da diciassettenne anni Wenger guida i ‘Gunners’, che con il tecnico alsaziano sono passati dall’essere il ‘boring Arsenal’ (cioè il noioso Arsenal) ad una delle squadre più belle, e forse più perdenti, d’Europa. L’alone che si è creato attorno alla squadra londinese ha l’aura della misticità. Perché l’Arsenal è una squadra capace di tutto nel bene e nel male tanto in Inghilterra quanto in Europa, dove spesso è riuscita a battere la squadra che poi ha vinto la Champions. Lo scorso anno in Coppa di Lega i ragazzi di Wenger subirono quattro gol nella prima mezz’ora con il Reading, che fu rimontato e battuto ai supplementari per 7 a 5! Nel turno successivo i ‘Gunners’ persero, ai rigori, con il Bradford, una squadra di quarta Divisione! Lo spettacolo che si vede sul campo e sugli spalti generalmente vale il prezzo del biglietto, se vincessero un po’ di più i londinesi sarebbero perfetti, ma forse poi diventerebbero una squadra di libertà.

Borussia Dortmund – Lo scorso i giallo-neri hanno stupito e deliziato tutti in Champions League. La banda di Klopp ha iniziato la manifestazione sperando di andare il più avanti possibile ed hanno chiuso il trofeo sfiorando il successo. Con un gioco spettacolare il Borussia si è fatto apprezzare ed amare da tanti appassionati neutrali, colpiti anche da quella splendida tifoseria, che con delle coreografie magnifiche è diventata una delle più popolari d’Europa.

Olympique Marsiglia – Delle quattro squadre del Gruppo F l’OM è l’unica squadra che è riuscita a vincere la Coppa dei Campioni. Il merito di quel trionfo fu di Bernard Tapie, un personaggio al quanto controverso, che allestì una squadra strepitosa che dopo aver perso la finale nel ’91, vinse due anni dopo a Monaco di Baviera contro il Milan. Ma quello straordinario successo, che resta l’unico trionfo francese in Champions, i meravigliosi tifosi del Marsiglia se lo sono goduti poco. Perché poche settimane dopo si scoprì che Tapie si era comprato una partita di campionato. Risultato: retrocessione in Ligue 2 per il Marsiglia. Squadra d’amore d’origine controllata.

Napoli – Parlare, e scrivere, dei partenopei è facile. Perché pensando a Maradona vengono in mente parole come fantasia, genio, calcio spettacolo e grandi successi. Pensando alla splendida cavalcata che gli azzurri hanno fatto due stagioni fa viene in mente il contagioso entusiasmo del presidente, dei calciatori, dello staff tecnico dell’epoca e dei fantastici tifosi, che per primi in Europa hanno cantato dal primo all’ultimo secondo l’inno della Champions League, con annesso boato finale, che è stato capace di spaventare giocatori abituati a mille battaglie.

La Grande Bellezza e lo squallido grigiore

Un paio di giorni fa mi è capitato di vedere in tv la semifinale del Roland Garros tra Sara Errani e Serena Williams, partita  dominata da quest’ultima in lungo ed in largo dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che nello sport moderno grazie ad  un’ imbarazzante superiorità atletica e fisica su un avversario/i  meno strutturato fisicamente si possono determinare partite squilibrate  nonostante sulla carta entrambi i contendenti siano tecnicamente e per talento puro dei campioni alla pari, mi pare il caso dell’ Errani nonostante il “cappotto” subito, mentre un ottimo atleta  o un team non baciato dal talento puro, ma dotato di una potenza fisica notevole, può assurgere a vette non pronosticabili alla vigilia facendo leva sulla intensità, sull’ atletismo e sull’ ars agonistica. In sintesi quello che è accaduto in questa edizione della Champions, con i due estremi: il talentuoso, almeno per 7/11 della formazione base  a livelli altissimi, ma ammaccato(come il suo  leader Messi del resto..) Barcellona disintegrato prima atleticamente e poi tecnicamente dal Bayern con un complessivo 7-0 e dall’ altra il Borussia meno dotato di talento calcistico complessivo  ma più affamato e raziocinante tatticamente che elimina l’ennesimo Real deludente( stile ultimo Mou) e per un’ inerzia gli outsider di Dortmund  non realizzano un’ impresa simile a quella del ’97 compiuta nello stadio di Monaco, ma guarda il destino, quando  i loro fratelli maggiori ribaltarono il pronostico che strizzava l’occhio alla Juve detentrice e favorita dal trono  battendola con un secco 3-1.

Champions League/Io tifo per Tito e Jupp

Le passioni sportive di ognuno di noi si dice che spesso, soprattutto quando non nascono in tenera età, sono figlie anche di una sorta di affinità che si prova con i propri idoli. Io, che non credo esistano campioni e squadre perfette, penso di aver capito perché non faccio il tifo per Federer o per il Barcellona. Troppo perfetti, impeccabili, bellissimi da vedere, per molti rappresentano quanto di meglio i rispettivi sport abbiano mai avuto. Le parole espresse per il Barcellona, negli ultimi cinque anni, da qualche mese vengono spese allo stesso modo per il Bayern Monaco. I bavaresi sono fortissimi, invincibili, giocano un calcio splendido, finalmente fanno divertire i propri tifosi, in più sono tedeschi e quindi (almeno sulla carta) non dovrebbero sgarrare né in campo né fuori. Il Barcellona, il Bayern, il Borussia Dortmund e il Real Madrid sono le quattro squadre che si giocano la Champions League 2012/2013. Personalmente non ho nulla contro il Real e il Borussia, però sarei contento che la Champions la vincesse uno tra Heynckes e Tito Vilanova, due bravi allenatori, con alle spalle storie molto particolari e molto diverse che devono convivere con l’ombra di Pep Guardiola.

La missione di Tito – Quando Guardiola nell’estate del 2008 divenne l’allenatore del Barca scelse come suo vice il fraterno amico Vilanova. Con loro in panchina il Barcellona ha vinto una marea di trofei. Pep è diventato una sorta di divinità. Nell’ambiente blaugrana molti hanno sempre sostenuto che Vilanova abbia dato tanto dritte al suo capo allenatore. Per questo lo scorso maggio, quando Guardiola salutò la compagnia, Vilanova divenne allenatore del Barcellona. La scelta fu in certo senso sorprendente, ma il presidente Rosell disse che Tito, oltre ad essere un tecnico valido e preparato, era il braccio destro di Guardiola ed era molto apprezzato da tutti i calciatori. Fino a quel momento di lui si ricordavano soprattutto due momenti, due storie completamente diverse. Nella gara di ritorno di Supercoppa di Spagna, agosto 2011, Mourinho, nervosissimo, infilò un dito nell’occhio al povero Vilanova, che qualche mese dopo finì alla ribalta, suo malgrado, per colpa di un tumore alla ghiandola parotide.

Nel girone di andata il Barcellona, con Tito in panchina, ha vinto 18 partite su 19 (l’unico pareggio con il Real di Mourinho). Purtroppo una settimana prima di Natale a Vilanova fu diagnosticato un altro un tumore alla ghiandola parotide. L’allenatore operato con successo a New York, dove adesso vive l’amico Pep Guardiola, ritornò a tempo di record in panchina. Ma il 3 febbraio Tito ha dovuto lasciare la panchina della squadra più forte del mondo a Jordi Roura, il suo vice. Vilanova a New York si è sottoposto a durissime cure.

In quelle settimane il Barca ha sbandato, ha perso con il Real Madrid due volte in tre giorni, ma è riuscito ad eliminare il Milan in Champions League. Tito in quelle settimane segue comunque la squadra. I suoi collaboratori gli inviano tutti i giorni i dvd degli allenamenti, poi su Skype tutti assieme discutono del Barca e dell’avversario di turno. Tramite sms Tito Vilanova guardando le partite in tv dava dritte preziose al suo vice. Il 2 aprile Tito è tornato in panchina. Ma né prima né dopo le partite l’allenatore ha rilasciato interviste. La Liga è a portata di mano, sarà vinta forse la settimana prossima. La Champions è difficile da conquistare anche se a Wembley, dove si giocherà la finale, il Barcellona ha già trionfato nel 1992 e nel 2011.

Lo stano destino di Jupp – Vedendo Jupp Heynckes in pochi potrebbero immaginare che quel signore piccolino, abbastanza distinto, con gli occhialini, sia stato uno dei più grandi bomber della Bundesliga. Heynckes è stato un calciatore del Borussia Moenchengladbach, che in quegli anni battagliava con il Bayern di Beckenbauer. Assieme i due vinsero il Mondiale ’74 e l’Europeo del ’72. Ma i calciatori di quelle squadre non erano certo amici.

Dopo aver guidato per otto stagioni il Moenchengadbach, Heynckes nel 1987 passò al Bayern, con cui vinse la Bundesliga nel 1989 e nel 1990. Nel 1991 Uli Hoeness, tutt’ora dirigente principe del Bayern, portò fuori a cena il suo amico Heynckes. I due mangiarono, bevettero sicuramente un paio di birre, poi iniziarono a giocare a carte. Tra una mano e l’altra Hoeness comunicò ad Heynckes l’esonero!

L’allenatore proseguì la sua carriera. Jupp nell’estate del 1997 prese il posto di Capello che, attratto da Berlusconi, lasciò il Real Madrid per il Milan. Heynckes con il Real Madrid nella stagione 97/98 vinse la Champions League, in finale fu sconfitta la Juve per 1 – 0, gol di Mijatovic in fuorigioco. A Madrid il tedesco riportò la coppa che mancava da 32 anni. La stampa, però, non amava il suo calcio poco spettacolare. Così Heynckes fu mandato via!!
La sua carriera continua fino al 2004 quando Heynckes decide di fermarsi. Tre anni dopo il suo Borussia Moenchengladbach è in grande difficoltà e chiama Jupp, il miracolo non riesce. Heynckes torna a fare il pensionato.

Nell’aprile del 2009 il Bayern licenzia Klinsmann. I tedeschi devono raggiungere assolutamente la qualificazione alla Champions. Heynckes viene richiamato, il Bayern vince tutte le partite.Jupp non viene confermato (qual è la novità?), ma continua ad allenare. L’esperto tecnico passa al Bayer Leverkusen, con cui disputa due ottime annate. Hoeness, Rummenigge e Beckenbauer lo richiamano nell’estate del 2011.

Il Bayern vuole vincere la Champions, anche perché la finale del 2012 si gioca a Monaco di Baviera. Heynckes parte forte, ma poi forse sbaglia la preparazione invernale. Il Bayern perde la finale di Coppa di Germania, arriva secondo in campionato e perde ai calci di rigore la finale di Champions League con il Chelsea.

Jupp, detto ‘Osram’, perché quando è teso il suo viso si accende come una lampadina, viene confermato. La stagione 2012/2013 in Bundesliga è stata trionfale. Il Bayern, finora, ha vinto 27 partite ne ha pareggiate 3 e ne ha persa solo una. Tutti i record della Bundesliga sono stati frantumati. Mueller e soci sono in semifinale di Champions ed in finale di Coppa di Germania. Ma Heynckes il prossimo anno non sarà sulla panchina del Bayern, che ha già ingaggiato per la prossima stagione Pep Guardiola.

I tre punti cardine

Questo sarà un articolo un po’ diverso dal solito,poichè attingendo da qualche appunto scritto in questi anni più che fare solo cronaca parlando dell’ andata dei quarti di finale di questa edizione di Champions League (con una postilla finale sull’ Europa League) farò alcune personalissime valutazioni e riflessioni su  vittorie e sconfitte di una o più squadre, club e nazionali, che si intersecano in questi ultimi 5 anni diciamo dal primo successo spagnolo, passando per il  Barca di Messi in Champions e soffermandomi su Bayern-Chelsea, quasi a formare un mosaico a prima vista disomogeneo però con tre punti cardine nel discorso.

Andy Murray vince a Miami

Andy Murray batte David Ferrer (2 – 6 6 -4 7 – 6) e vince per la seconda volta il torneo di Miami. Grazie a questo successo lo scozzese supera in classifica mondiale Roger Federer. Davanti a Murray ora c’è solo Djokovic.

Haas elimina Djokovic negli ottavi – Il torneo di Indian Wells sta cercando di scavalcare il torneo gemello di Miami. In California, quest’anno, erano presenti tutti i big. In Florida, invece, non si sono presentati né Federer né Nadal. Al via c’erano, comunque, il numero uno del mondo Nole Djokovic e il numero tre Andy Murray. Gli organizzatori sognavano di vederli in finale come nel 2009. Ferrer, testa di serie numero tre, dei big era quello con meno appeal. Quando negli ottavi lo spagnolo ha sfidato Nishikori in parecchi speravano di vedere vincente il giapponese, dalla muscolatura fragile. Non è stato così. Sempre nel quarto turno c’è stata la clamorosa eliminazione di Djokovic, sconfitto in due set da Tommy Haas, che ha mostrato, oltre a tutta la sua classe, l’esperienza dei suoi trentacinque anni. La contemporanea vittoria di Gasquet su Almagro ha fatto festeggiare gli esteti della racchetta, che dopo tante stagioni hanno visto sugli scudi quelli che giocano con il rovescio ad una mano. Murray, senza brillare, nei primi turni ha fatto fuori Tomic, Dimitrov e Seppi.

Gasquet e Haas si arrendono in semifinale - Nei quarti Haas ha dato una lezione di tennis a Gilles Simon, Murray ha sconfitto Cilic. Mentre Gasquet, a sorpresa, ha superato Berdych. Ferrer battendo il ‘pazzoide’ Melzer è stato il primo a qualificarsi per le semifinali. L’austriaco dopo aver vinto il primo set aveva fatto sperare Djokovic, Federer e Murray, perché lo David qualificandosi per le semifinali avrebbe scavalcato in classifica Nadal, che scivolando al numero cinque nei ‘1000’ sul rosso, al Roland Garros e a Wimbledon potrebbe incrociare le racchette con uno dei suoi grandi rivali già nei quarti di finale. Qualcuno parlando delle semifinali sembrava parlasse di guerre di religioni. Perché gli uomini dal meraviglioso rovescio ad una mano dovevano sfidare Ferrer e Murray. Nella prima sfida Haas parte forte, ma il tedesco sente il peso dell’età, e sotto gli occhi della moglie e della sua bambina, cala alla distanza e cede a David. La seconda semifinale ha avuto un copione identico. Gasquet delizia con il suo rovescio, ma dura solo un set. Murray si qualifica per la finale. Coloro che speravano in una finale tra Haas e Gasquet parlando della finale, dicevano che dopo aver visto i rovesci di Tommy e Richard tutto il resto è noia.

La finale – Murray per molti è nettamente favorito, ma i confronti diretti dicono che lo scozzese è avanti solo 6 a 5. Andy conquista subito due palle break nel primo game, ma non le sfrutta. Ferrer tiene il servizio, strappa due volta la battuta all’avversario e vola sul 5 – 0. Il primo set termina dopo meno di quaranta minuti. Lo scozzese nel secondo set ottiene il break nel terzo gioco e sembra avviato verso la vittoria quando ha la palla del cinque a due. Ferrer, però, è uno che non molla e, riaggancia l’avversario. Sul quattro pari allo spagnolo forse trema il braccio. Murray si riprende il break e chiude 6 – 4. Il terzo set è pazzesco. Il servizio diventa un optional. Nei primi sei game ci sono sei break. Nel nono gioco Murray strappa il servizio allo spagnolo e va a servire per il match. Tutto finito? Assolutamente no. Murray sembra non avere più benzina, David con personalità prende in mano il match riprende il rivale, tiene il servizio, sogna il successo e giunge al matchpoint. Il potente diritto di Andy sembra lungo a Ferrer, che si ferma e chiama il falco. La palla è buona. Murray, scampato il pericolo, allunga il match al tie break, che non ha storia. Murray lo vince per 7 punti a 1 e vince per la seconda volta il torneo di Miami.

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