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I KO delle meraviglie

Benny Lynch: una storia piena di Ko

Lynch Benny  PICA100 anni fa nasceva  uno dei più importanti pesi mosca mai esistiti

 

Di Marco Bratusch

 

Il distretto di Gorbals è un sobborgo che si trova nella zona sud di Glasgow, subito al di là del fiume Clyde. Durande l’inizio del XX secolo, e in seguito  fino alla seconda Guerra Mondiale, quest’area è stata la meta di un continuo flusso migratorio da parte di lavoratori attirati dalle possibilità offerte da una delle grandi capitali industrializzate del Regno Unito. Fu proprio in questo contesto, esattamente un secolo fa, che iniziò la incredibile quanto drammatica storia di uno dei più grandi pesi mosca mai esistiti.

Benjamin John Lynch, detto Benny, nacque il 2 aprile del 1913 nella Florence Street appunto di Gorbals, in condizioni non certo agiate. Il padre John fu l’uomo che sin dall’inizio fece pesare in casa le sue passioni, quella per la boxe – vissuta sempre solo da spettatore – e quella per la bottiglia. Quasi sempre instabile e irascibile, in poco tempo costrinse la moglie Lizzie a cedere alle attenzioni di un altro uomo, cosa che si risolse in breve tempo con la scelta della donna di andare via da casa. Vista la precaria situazione famigliare, i due figli James e Benny vennero affidati alle cure dei due zii, persone affidabili ma che dovevano affrontare la sfida quotidiana di sfamare ben sette figli in una casa che non disponeva neppure di una cucina propria ma che poteva utilizzarne una in comune con le altre famiglie del blocco. Nonostante questo, però, la situazione famigliare migliorò sensibilmente, grazie all’indole allegra e positiva della zia. Fuori da casa invece i problemi erano all’ordine del giorno: la maggior parte dei suoi compagni di strada erano ragazzi provenienti dall’Irlanda e dall’Europa dell’est, cosa che faceva nascere continui contrasti religiosi tra cattolici e protestanti che sfociavano in zuffe tra bande.

Lynch Benny  PICA  VerticaleUn ragazzo cresciuto a Gorbals in quegli anni poteva scegliere tra due strade per non tornare a casa la sera pieno di lividi: essere svelto di mente oppure esserlo con i pugni. Il piccolo Benny capì subito di sapersela cavare molto meglio nel secondo caso, e di saperlo fare come pochi altri. Anche suo fratello maggiore James aveva un talento simile, ma scelse ben presto di sfruttarlo in maniera socialmente accettata iniziando a frequantare il St.John Boxing Club, aperto con scopi sociali come quello di sottrarre una piccola parte dei giovani alle insidie della strada. Per sua sfortuna, però, le cose per James non andarono bene e il ragazzo morì in seguito a un infortunio sul lavoro nell’industria presso la quale lavorava, pare per un colpo in testa. La strada per Benny fu quindi sempre più in salita, e il ragazzo iniziò a mettersi nei guai con la legge per alcune risse da strada che solo grazie alla sua giovanissima età si risolsero con delle multe. Decise quindi di iniziare a praticare pugilato, una valvola di sfogo che in qualche modo lo faceva sentire più vicino al fratello scomparso. In questo nuovo contesto, però, avvenne qualcosa che diede una nuova speranza alla vita di questo giovane demonio.

Un bookmaker ‘di strada’, dal nome Sammy Wilson, lo vide allenarsi un pomeriggio in palestra e decise di prenderlo sotto la propria protezione. Nonostante la professione piuttosto dubbia, Wilson era un uomo onesto che godeva di ottima considerazione, e che si affezionò realmente al ragazzo tanto da cercare in tutti i modi di strapparlo al proprio destino. Oltre questo, Wilson era un grande conoscitore di boxe in tutte le sue forme. Sottopose Benny a un intenso allenamento giornaliero per irrobustirne il suo fisico esile. Tutte le mattine lo faceva correre per sei miglia in collina, tra salite e discese nel freddo clima scozzese, mentre il pomeriggio in palestra ne seguiva personalmente lo sparring che arrivava anche a venti riprese quotidiane. Le usanze del tempo, poi, parlano di un pescatore del posto che ogni pomeriggio portava in palestra un barile di salamoia nel quale i ragazzi immergevano le mani per ispessire la pelle e curare piccole lesioni. Altri tempi, senza dubbio.

L’esordio nel professionismo del giovane Lynch avvenne pochi giorni dopo il compimento del diciottesimo anno, quando diede inizio ad una impressionante serie di incontri. Nei restanti otto mesi del 1931, difatti, Benny combattè ben ventidue volte. Trentotto furono invece le contese nell’annata successiva, quasi tutte vittorie condite da qualche pareggio e rare sconfitte ma sempre alla distanza. Le tre sfide contro un pugile esperto come Jock Aitken, e in prticolare la vittoria su un pugile con oltre cento vittorie nel record come Bert Kirby, fecero capire a Wilson che i tempi erano maturi per opporre il suo pupillo al campione scozzese dei pesi mosca, passando per una sfida contro il milanese Carlo Cavagnoli.

Nel 1934, a tre anni dall’esordio, Lynch sfidò quindi Jim Campbell in due match disputati a cinque settimane di distanza l’uno dall’altro, ed entrambe vinti ai punti in 15 riprese. Sul finire dello stesso anno, poi, stessa sorte toccò prima al campione nazionale francese e poi a quello spagnolo, che si chiamavano Valentin Augelmann e Pedro Ruiz. Ormai lanciato, le sconfitte nel record di Lynch iniziano gradualmente a sparire e gli avversari a diventare di caratura intercontinentale. Buona parte del merito andava di certo anche a Sam Wilson, che oltre a offrire una costante e valida guida tecnica rappresentava per il ragazzo anche un punto fermo affettivo e una persona sulla quale contare in qualsiasi momento. Si racconta inoltre di come per diversi anni il manager-allenatore non avesse preteso un centesimo dalle borse del suo pupillo. Difatti, dopo aver affrontato e vinto contro un avversario difficile come Bobby Magee, fu proprio Wilson a consigliare a Benny di ‘andarci piano’ nella sfida senza titolo in palio con il campione inglese e del mondo per la NBA, Jackie Brown.

Il consiglio, dato per indurre il campione a concedere poi una sfida ufficiale al suo assistito, ne fece scaturire quindi un primo verdetto di parità, ma anche la tanto sperata occasione mondiale, andata in scena alla King’s Hall di Manchester l’11 settembre del 1935 (secondo altre fonti era il 9 settembre). Questa volta Lynch diede sfogo a tutte le sue energie sin dall’inizio e l’incontro si concluse con una perentoria vittoria alla fine della seconda ripresa, con Brown messo al tappeto la bellezza di otto volte prima del computo finale. L’evento segnò inoltre una vera e propria ‘invasione’ scozzese nel nord dell’Inghilterra, con migliaia di persone accorse alla King’s Hall per sostenere ‘Our Benny’ (“il nostro Benny”). Tornato in patria il giorno dopo, i giornali dell’epoca parlano di una folla di circa 100.000 persone che si presentò ad accoglierlo alla stazione centrale di Glasgow, nonstante le istituzioni cittadine avessero negato al campione festeggiamenti ufficiali. Benny Lynch venne salutato quindi come il primo campione del mondo scozzese, ma c’è da dire che la definizione è forse inesatta visto che il suo pari peso di Leith, Johnny Hill, nel 1925 era diventato campione del mondo superando a Londra il grande Newsboy Brown. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

Quello che importa è invece che a questo punto le cose iniziarono a prendere una piega amara. Come spesso succede, nel giro di pochi anni Benny era passato dall’essere quasi completamente solo ad avere sempre più amici, buona parte dei quali aveva un occhio sempre rivolto al suo portafoglio. Questi cosiddetti amici lo convinsero che le sue borse, nonostante fossero tra le più ricche di sempre per quei pesi, non fossero all’altezza e che qualcuno si stesse arricchendo alle sue spalle. Oltre a questo, va detto che una volta raggiunto il titolo il diradarsi degli incontri invece di giovare al ragazzo divenne per lui un problema. Quando si trattava di combattere anche due o tre volte al mese Benny era sempre in palestra, ora invece le fasi di riposo diventavano sempre più lunghe e l’improvvisa notorietà lo portò a una vita meno regolare e non di rado a contare le prime ore dell’alba nei pub. Da questa situazione scaturirono alcune discussioni e infine la rottura con Wilson, che venne fatto allontanare dal suo angolo. Forse a questo si deve la sconfitta del marzo 1936 contro Jimmy Warncock, in un match senza titolo in palio. Per via della relativa inattività o più probabilmente per la mancanza del suo abile uomo d’angolo, Benny non seppe opporre una tattica adeguata a un pugile scorbutico come il mancino nordirlandese. Tornò poi alla vittoria due mesi dopo sul ring di Newcastle contro un ottimo avversario come Mickey McGuire, messo fuori combattimento in quattro riprese. La cintura mondiale venne invece difesa a settembre contro l’inglese di Battersea Pat Palmer, liquidato in otto round. La vittoria dell’anno successivo sul filippino ‘Small’ Montana, ottenuta ai punti sul ring di Wembley, Londra, gli consegnò anche la porzione NYSAC del titolo mondiale, divenendo così il primo campione del mondo unificato dei pesi mosca dal ritiro del grandissimo Fidel LaBarba circa dieci anni prima. Ma è una vittoria che non basta a nascondere i sempre più evidenti problemi personali di Lynch, sempre più avvezzo al consumo del famosa bevanda e orgoglio nazionale, il whisky. I problemi emersero in tutta la loro evidenza pochi mesi dopo, nel match contro Len Hampston. Le prime riprese furono un calvario per il talento di Gorbals, che dovette subire cinque atterramenti su altrettanti colpi al corpo del rivale, che evidentemente era ben consapevole che i colpi ‘sotto’ rappresentano un tallone d’Achille per qualsiasi pugile in netto ritardo di preparazione. Alla quinta ripresa un membro dello staff di Lynch entrò nel ring per protestare per i presunti colpi bassi di Hampston, facendo così squalificare il suo pugile ma togliendolo volontariamente da una situazione imbarazzante. Tre settimane dopo, comunque, un Benny Lynch in forma migliore ebbe la meglio sullo stesso avversario con un KO alla decima e ultima ripresa.

Non bastò invece una prova coraggiosa per avere la meglio del solito mancino Warncock, sua bestia nera, sul ring del Celtic Stadium di Glasgow, davanti a 16.000 spettatori. Tuttavia, un fuoricalsse mantiene sempre un’ultima grande prestazione anche al tramonto della carriera, e per Lynch questa avvenne contro Peter Kane, un giovanissimo inglese che si presentava imbattuto in 42 incontri. Lynch fu grande e battè il rivale davanti a 40.000 persone con un KO alla tredicesima frazione. Per un attimo questa vittoria mise a posto le cose, ma la realtà tornò chiara cinque mesi più tardi nella rivincita contro Kane, fissata allo stadio di Anfield Road, Liverpool, quando Lynch si presentò sovrappeso e dovette cedere parte della borsa, ma un verdetto di parità gli perimise di conservare temporaneamente il titolo. Ma la cosa durò ben poco, e già nel match successivo contro Jackie Jurich, nonostante la vittoria, venne destituito a tavolino del titolo dal Board britannico, che lo rese vacante. Per la cronaca, fu Peter Kane a fare suo il titolo con una vittoria proprio su Jurich. Tornando al nostro campione, invece, la situazione iniziò a precipitare. Due mesi dopo venne battuto ai punti da un ottimo pugile come ‘KO’ Morgan, un mancino di origini italiane che in verità si chiamava Andrea Esposito e che in carriera non perse mai prima del limite. Pochi giorni dopo, però, subì l’onta della prima sconfitta anzitempo e in 3 soli round contro Aurel Toma, un pugile di cui pochi anni prima si sarebbe fatto beffe. Fu così che gli venne anche ritirata la licenza per la poca serietà con cui conduceva la professione, e a soli 25 anni dovette ritirarsi.

Sempre più difficile proseguì la sua vita fuori dal ring, ormai preda di un avversario terribile come l’alcolismo. Per rimettersi in piedi tentò varie strade tra cui quella di recarsi dai monaci di Mount Melleray, in Irlanda, che per un periodo riuscirono ad alleviare i suoi dolori fisici regalandogli sprazzi di serenità. Ma appena tornato nella sua terra cadde irrimediabilmente nelle vecchie debolezze. Paradossalmente, tutti coloro che gli volevano bene e facevano a gara per offrirgli un bicchiere con una affettuosa pacca sulla spalla furono coloro che lo rovinarono, parlando comunque sempre di una personalità tormentata che doveva cointinuamente fare i conti con i propri demoni personali oltre che con i rimpianti di una carriera in parte buttata. Anche il suo matrimonio con Anne, compagnia di una vita, si risolse con una separazione. Benny Lynch morì pochi anni dopo, esattamente all’età di trentatre, per un arresto cardiaco dovuto a uno stato di grave malnutrizione.

Negli anni della Grande Depressione, questo folletto con il volto da bambino offrì motivo di svago e gioia a decine di migliaia di lavoratori della sua terra, ma non riuscì a mantenere una gestione razionale e oculata di quanto la natura gli avesse donato. Se si osservano i suoi match, impressiona la grande vitalità che riusciva a sprigionare tra le sedici corde. Un ‘all-action’ fighter, come dicono dalle sue parti, dall’azione continua e dalla incredibile reattività di gambe e braccia. L’impostazione di guardia, come ancora molti pugili della sua epoca, vedeva i polsi spesso poco più alti della vita. Non certo un tecnico sopraffino, insomma, ma un campione che vinceva con l’esplosività, il colpo d’occhio e il ritmo. Se volessimo azzardare un paragone, si potrebbe definire un Jake LaMotta in miniatura, che con il suo stile incessante e la scarsa attenzione alla difesa infiammava il pubblico. Probabilmente non era dotato di un pugno pesantissimo, ma il suo destro largo portato con tutta la spalla poteva essere risolutivo. Pugile inoltre di grandissima solidità, come abbiamo visto perse per KO solo l’ultimo dei suoi incontri nonostante già da tempo combattesse con una preparazione fisica perlomeno sommaria.

Benny Lynch chiuse con un record di 88 vittorie (34 per KO), 17 pareggi e 14 sconfitte (1).

Se si considera che questi numeri sono stati ottenuti in soli 7 anni di attività professionistica non si può escludere il talento di Gorbals dai più grandi della sua categoria. Forse non al livello del leggendario Jimmy Wilde, ma inquadrabile sullo stesso piano di pugili del valore di Pancho Villa, Fidel LaBarba, David Montrose (alias Newsboy Brown), Frankie Genaro, Pascual Perez, Miguel Canto, Ricardo Lopez. Ognuno con le proprie caratteristiche tecniche e umane.

Dal 1998 la International Boxing Hall of Fame di Canastota lo ha inserito con pieno diritto tra i più grandi di sempre, e sulla sua vita nel 2005 è stato girato un controverso film oltre ad alcuni libri scritti negli anni da autori nazionali.

Oggi Florence Street non esiste più da tempo, ma alcuni mesi fa un noto allenatore scozzese, Joe Ham, ha deciso di riaprire una palestra di boxe nel sobborgo di Gorbals, chiamandola Hayfield Boxing Club, dove mancava da molti anni. In poco tempo, alcuni dei più promettenti pugili nazionali dilettanti, tra i quali alcuni campioni scozzesi, hanno deciso di venirsi ad allenare da quelle parti.

Perché della tradizione, così come dei Grandi del passato, non ci si deve dimenticare. Mai. 

Marco Bratusch

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