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Parker affronta CoJanu. Joshua e Wilder in futuro

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Il rumeno sostituisce lo sfidante ufficiale Hughie Fury, chiamatosi fuori per un infortunio

di Matteo Biancareddu

 

A una settimana dall’esaltante sfida tra Anthony Joshua e Wladimir Klitschko, che hanno riportato la boxe all’attenzione delle masse dopo decenni di relativo anonimato, la prima difesa del titolo WBO di Joseph Parker (22-0-0, 18 KO) rischia di passare sotto silenzio per varie ragioni, tra cui la mancanza di una copertura televisiva internazionale. Lo sfidante, il trentenne rumeno Razvan Cojanu (16-2-0, 9 KO), è quattordicesimo nell’ultimo ranking dei massimi stilato dalla WBO, e non è considerato appetibile dalle emittenti televisive, che giustamente non pagano per un confronto dall’esito scontato. Ben altra storia sarebbe stata la sfida tra Parker e l’imbattuto inglese Hughie Fury, cugino ventiduenne del rientrante campione lineare Tyson. Era questo, in origine, l’incontro che sarebbe dovuto andare in scena domani – sabato – a Manukau City, Nuova Zelanda, nel pomeriggio italiano. Fury è infatti lo sfidante ufficiale di Parker, essendo al primo posto del ranking, e avrebbe senz’altro attirato le dovute attenzioni mediatiche, specialmente dal Regno Unito. Ma la sfida è saltata per la defezione dell’inglese, che ha comunicato all’ente di essersi infortunato e ha quindi rinunciato all’incontro ad appena due settimane dalla data. Il clan di Parker, ovviamente, si è subito adoperato per reperire un sostituto che permettesse non solo la disputa del match, ma anche la messa in palio del titolo: in questo senso, l’avversario doveva essere uno dei quindici inseriti nel ranking, ed è stato individuato in Cojanu. Un pugile discreto, ma non paragonabile a Fury e senza fondate ambizioni di vittoria. Va da sé che, con tali presupposti, il match non potesse suscitare il dovuto clamore mediatico.

La rinuncia di Hughie Fury alla sfida con Parker ha un che di sospetto, perché l’inglese aveva già causato lo slittamento del match – inizialmente previsto per il 1° aprile – sforando la scadenza per la firma dei contratti. Qualunque sia la verità, sta di fatto che Parker ha perso diversi mesi nell’attesa e si ritrova ora con un match di scarso significato, destinato a svanire nell’ombra della maestosa battaglia combattuta da Joshua e Klitschko sabato scorso. Non avremo quindi l’occasione di apprezzare l’entità degli eventuali progressi compiuti da Parker, un pugile che aveva destato non poco interesse e finanche entusiasmo nella sua ascesa al titolo, salvo inscenare alcune prove balbettanti nei tempi più recenti. Il venticinquenne neozelandese, tuttora imbattuto, era stato inizialmente salutato come una piacevole novità nel panorama dei massimi, essendo un pugile che privilegia tecnica e velocità in luogo della fisicità ormai dominante. Parker è alto 193 centimetri e sa boxare: ha un jab eccellente, un destro notevole e doppia i colpi con fluidità. Le sue caratteristiche tecniche e fisiche suggeriscono per lui una boxe da tecnico aggressivo, basata sullo scambio a media distanza. Il problema, però, è che Parker non è abbastanza abile e veloce nell’uscita dalla guardia del rivale dopo aver portato una combinazione, cosicché finisce spesso per esporsi alla replica altrui. Ecco perché il suo allenatore Kevin Barry ha pensato di convertirlo in un tecnico puro, di quelli che lasciano l’iniziativa all’avversario e colpiscono di rimessa, in costante movimento sulle gambe. Ma il nuovo abito tecnico di Parker, esibito anche nel match con il californiano Andy Ruiz Jr per il vacante titolo WBO, non ci convince affatto e non sembra restituire i riscontri sperati: con Ruiz, pugile aggressivo e veloce di braccia ma impresentabile sotto l’aspetto fisico, Parker ha vinto solo ai punti e di stretta misura, subendo la pressione del rivale per lunghi tratti della sfida. Tenere una smile condotta con pugili come Joshua e Deontay Wilder sarebbe quasi un suicidio, anche perché tecnici puri si nasce, non ci si inventa dall’oggi al domani. E il neozelandese, del tecnico puro, non ha la resistenza organica, le capacità aerobiche, la mobilità e – non ultima – la morfologia fisica, essendo il più basso degli attuali campioni di sigla e dei migliori “contenders”.

Un dato significativo, inoltre, è l’aumento di peso che Parker ha fatto registrare negli ultimi tempi: un incremento nell’ordine dei quattro chili rispetto a un anno e mezzo fa. Le oscillazioni del suo peso, d’altra parte, non sono una novità: dal match con Kenny Lemos, datato dicembre 2014, a quello con Joell Godfrey, disputato meno di un anno dopo, Parker perse la bellezza di undici chili: da 123 a 112 (!). In questo, crediamo sia vittima dei suoi geni samoani e neozelandesi piuttosto che di negligenze alimentari, perché appartiene a popoli e culture che vivono il sovrappeso come una condizione normale e persino positiva. Fatto sta che il suo peso attuale mal si sposa con la volontà di boxare da fuori e in costante movimento sulle gambe. Il suo titolo WBO è già finito nel mirino di Wilder, che intende annetterlo al WBC per poi proporre a Joshua uno storico incontro di riunificazione totale del titolo mondiale: un evento mai verificatosi nell’era delle quattro sigle. In prospettiva di simili appuntamenti, Parker deve fugare ogni dubbio e dimostrarsi pronto. Già a partire dal match con Cojanu, sabato a Manukau City.

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