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Bordo Ring

Hatton, anche i guerrieri vanno ko

hatton3 copyA Manchester notte di grandi emozioni. Vince Senchenko. The Hitman lascia la boxe: “Non mi sottoporrò più a una tortura come questa". Una sola vergogna: un giudice aveva il britannico avanti di quattro punti…

 



E’ difficile parlare oggi di Ricky Hatton. L’ho visto battersi per se stesso e per le ventimila persone che invocavano il suo nome. L’ho visto marciare come ai bei tempi e poi (con il passare delle riprese) perdere ritmo, misura, potenza, solidità e match. L’ho visto piangere dopo la sconfitta. E quando leggo su qualche blog inglese che l’ha fatto solo per guadagnare qualche altro milione, mi viene da pensare che un colpo al fegato lo meriterebbe chi tratta in questo modo il pugilato.

Ha sfidato il tempo. E’ rimasto fermo per tre anni e mezzo.  Ha consumato qualsiasi percorso di perdizione: droga, alcool, depressione, istinti suicidi. E in una notte circondata da una magica atmosfera, è tornato sul ring. Ha voluto Vyacheslav Senchenko come rivale. Uno che fino a sette mesi fa era campione del mondo, imbattuto in dieci anni di carriera e 31 match.

E’ difficile parlare di Ricky Hatton perché non lo posso fare affidandomi esclusivamente a un’analisi tecnica. Sul ring di Manchester sono salite anche le emozioni, sentimenti forti che la boxe sa spesso regalarci. Ma a bordo ring sedevano tre giudici e uno di loro aveva quattro punti di vantaggio per l’inglese (78-74). E allora io mi chiedo se sia giusto avere ancora una visione romantica di questo sport. La faccia di Ricky Hatton raccontava un match diverso da quello che aveva visto quell’uomo. Il suo cartellino andrebbe mostrato in uno show televisivo. Tutti dovrebbero capire come sia stato possibile travisare in un modo così volgare la realtà. Quel giudice ha sporcato la nobiltà del gesto del fighter britannico. Un gancio al fegato, un colpo tirato dalla corta distanza, una specialità di casa Hatton (vero paradosso!), ha messo fine a tutta la storia. E’ stato un pugno che ha fatto pulizia sullo sporco che stava per tirarci in faccia ancora una volta un giudice. Ancora una volta in Inghilterra, come era accaduto più volte pochi mesi fa a Londra 2012.

Non sono d’accordo neppure con gli altri due giudici (per entrambi Hatton era avanti 77-76), io avevo in vantaggio Senchenko di due punti. Ma qui si tratterebbe più semplicemente di discutere, cercando di capire quale sia stato il percorso che ci ha portato a cartellini diversi. Quattro punti per The Hitman sono invece, a mio avviso, una vera bestemmia pugilistica.

Coraggio, temperamento, commozione. Ricky ci ha regalato tutto in una sera in cui il pugilato è stato esaltato. Ha scelto il più forte che potesse scegliere per un test spietato. Doveva sapere, dopo tre anni e mezzo, se poteva ancora considerarsi un pugile di prima fascia, un potenziale candidato alla sfida mondiale. Doveva capire, lo doveva prima di tutto a se stesso. Il suo volto a fine match era una tragica maschera della disperazione. La risposta era chiara a tutti, anche a lui. Ma faticava tremendamente ad accettarla. Lividi sulla faccia, una pena infinita nel cuore. Il guerriero usciva così dall’arena di Manchester.

Aveva guadagnato altri soldi, era anche l’organizzatore della serata. Aveva intascato un’altra buona borsa. Ma aveva perso la sfida più importante.

La boxe è uno sport spietato, i colpi dritti di Senchenko non avevano fatto male solo al corpo di Hatton. Avevano segnato profonde ferite anche e soprattutto nel suo orgoglio. Era andato giù su un gancio sinistro e in una frazione di secondo aveva capito che era finita. Era rimasto al tappeto per assorbire la botta. No, non solo per il dolore. Ma per quello che il ko appena subito avrebbe significato per la sua vita futura.

Da Manchester in poi cambierà tutto per Ricky Hatton. Uscirà di scena. “Ho cercato di trovare una risposta alle mie domande, di capire se potessi ancora essere un pugile di livello mondiale e ho avuto le mie risposte. Non posso. Avevo bisogno di un ultimo match per sapere se avessi ancora dentro la forza di un tempo. Non ce l'ho. Un pugile sa, ed io so che non ho più spazio per agire. Non mi sottoporrò più a una tortura come questa. Finisce il pugile, continua l'uomo. Non è la fine per Ricky Hatton!"

Lo ha punito un sinistro di Senchenko, l’ucraino ci ha evitato la vergogna di un altro verdetto ingiusto. Per farlo ha dovuto mettere ko l’uomo per cui ventimila innamorati hanno cantato tutta la notte una canzone che portava il suo nome. Ha rubato il loro amore. Ma l’ha fatto da campione, da signore del ring.

E’ stata una grande notte di boxe, per fortuna.

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