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Bordo Ring

"Pro": l'Italia è fuori dal mondo!

fragomeniCon 68 titoli di sigla a disposizione, da tre anni non abbiamo una cintura. Cresce l'età media dei professionisti, dal dilettantismo non arrivano ricambi. Il serbatoio si sta svuotando.

Giacobbe Fragomeni (nella foto) è stato l’ultimo italiano campione del mondo, ha perso il titolo il 21 novembre del 2009. Tre anni fa. Silvio Branco è stato l’ultimo a conquistare il titolo all’estero, il 28 aprile 2007. Cinque anni fa. Questo prendendo in considerazione le quattro sigle riconosciute dalla Federazione Pugilistica Italiana (World Boxing Council, World Boxing Association, International Boxing Federation e World Boxing Organizzation). Sessantotto titoli di sigla in palio e non riusciamo ad averne uno da tre anni. In questi anni abbiamo disputato molti incontri per la cintura, perdendo quasi sempre e in alcune occasioni (ad esempio, Alberto Colajanni e Alberto Servidei) in modo vergognoso.

Attualmente sono venti le nazioni in possesso di un titolo di sigla. Ci sono tra le altre anche Panama, Indonesia, Filippine, Thailandia, Nicaragua, Sudafrica. Ma non c’è l’Italia. Ci siamo talmente abituati che non ci facciamo più caso. Il pugilato professionistico di vertice non esiste più. Nelle classifiche mondiali di Boxeringweb figura un solo italiano (Boschiero, ottavo nei superpiuma).

Nelle classifiche ufficiali dei quattro enti il numero sale a nove, ma il conto è fatto su un totale di sessanta pugili per categoria (15 per ogni sigla), per un totale di 1020 atleti (all’Italia va dunque la miseria dello 0,88%).

A rendere più drammatica la situazione c’è l’età media dei nove: 35 anni e due mesi (l'unico under 30 è il 24enne Luca Giacon).

E dal dilettantismo non viene più nessuno. Anche lì si pone il problema del ricambio generazionale. Escono, carichi di medaglie e di applausi, Cammarelle e Picardi. Passano nel nebbioso mondo del professionismo Aiba sia Russo (alla sedicesima stagione di pugilato con oltre 220 match alle spalle) che Valentino (stesso numero di incontri, con due stagioni in meno). Restano con la maglia azzurra Mangiacapre, Cappai e Parrinello. Nel professionismo vero, non quello delle WSB o delle APB, non approda nessuno. Da Londra 2012, come accade ormai da più Olimpiadi, il mondo che regala immagine, popolarità e futuro allo sport della boxe non ha ricevuto né riceverà alcuna linfa.

E’ un serbatoio che lentamente si sta svuotando e continuerà a farlo fino a quando non avrà più niente al suo interno. L’attuale gerenza federale si è affidata totalmente alla gestione dell’Aiba, di cui ho ampiamente parlato più volte (il dissenso, tanto per essere chiari, è da più parti del mondo non solo dall’Italia: Stati Uniti e paesi sudamericani in testa), quindi non ci si può attendere nessuna novità. Non resta che aspettare, nell’attesa che qualcosa cambi e si torni a vivere momenti di esaltazione grazie alle imprese dei professionisti di casa nostra.

Il 19 gennaio, ora è ufficiale, si voterà. Dalle urne uscirà un nuovo presidente. Tre i candidati: i due attuali vice Antonio Del Greco e Alberto Brasca, l’ex consigliere (dimissionario nel 2009) Gualtiero Becchetti.

Per il vincitore si presenta un compito molto difficile, mi permetto di dire “quasi impossibile”. Fare rinascere il pugilato professionismo italiano, in agonia dopo anni di dilettantismo di Stato.

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