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Bordo Ring

Bundu-Petrucci, è la boxe

petrucci_vs_bundu-450x232Per vincere sono disposti a tutto. La prima sfida di Roma l’ha dimostrato.

Leonard Bundu e Daniele Petrucci hanno violentato la loro natura tecnica. Ho visto Bundu trasformarsi in attaccante, andare a caccia del rivale, tagliargli la strada. E ho visto Petrucci mettere un freno alla sua irruenza, aspettare che l’altro avanzasse per piazzare il gancio sinistro. Poi, tutto è finito lasciandoci dentro un grande senso di delusione. Una testata involontaria, un bernoccolo sulla fronte del toscano che viene dalla Sierra Leone e il match si è chiuso lì. Pari tecnico. Adesso ci riprovano.

Conosco Bundu da quasi quindici anni. L’ho visto vincere il bronzo a Houston nei Mondiali del 1999, battuto di misura (5-7) dal cubano Hernandez Sierra. E' stato un dilettante di grande talento, ma non sempre ha saputo assecondare queste doti con un adeguato senso del sacrificio nella preparazione. La sua è stata una carriera ripresa più volte per i capelli. Come la vita. Alti e bassi. Paure e gioie.

Un faccione tondo, la parlantina sciolta, quel viso che quando sorride sembra trasformarsi in una maschera di felicità. Il professionismo ha cambiato il ragazzo approdato a Firenze quando aveva 16 anni, dopo una gioventù scapestrata per le strade di Freetown. Ha fatto fatica ad entrare nel cuore dei fiorentini, gente di cultura ma poco disposta a concedere la propria amicizia senza avere garanzie precise. Quando ha capito che Leonard era uno che meritava rispetto, Firenze lo ha adottato. E ora gli vuole bene come se ne vuole a un figlio prediletto. Gliene vogliono personaggi importanti che la maglia della Fiorentina, squadra del cuore, hanno indossato con onore. Toni e Mutu. Gliene vuole Piero Pelù, cantante di successo e cognato del nostro amico. Ma soprattutto gliene vuole la gente, i tifosi.

La boxe deve trovare nella semplicità le chiavi della sua riscossa. Il pugilato è uno sport che nasce dalla rivalità. Di quartiere, di città. Daniele Petrucci lo sa benissimo. Figlio di Roma, cresciuto in un quartiere popolare come San Basilio, omaggiato per la sua naturale buona sorte di un soprannome che dalle mie parti vuol dire molto. Lo chiamano “Bucetto”, ma lui la fortuna se l’è guadagnata con la forza dei pugni, dei cazzotti come si dice in borgata.

Tre anni fa l’ho visto battere Craig Waston, “il martello di Manchester”, per kot al terzo round. E ho capito che il ragazzo valeva davvero. Il match si era svolto al Tendastrisce, viale Palmiro Togliatti angolo via Perlasca, periferia romana. Perché questi sono i luoghi dove ha puntellato la sua carriera. Ostia, Ponte Milvio, San Basilio, Palazzetto BBT. E’ un fighter che viene dal popolo, Petrucci. Non ha paura, si lancia nella battaglia e va a cacciare la preda. Ma, come è accaduto al Foro Italico davanti a ottomila persone, sa anche indossare i panni dell’incontrista.

Venerdì si ritroveranno di fronte. Rivali per l’europeo dei pesi welter. E ci sarà ancora una grande folla ad applaudirli. Più giovane, più irruento, meno ciarliero Petrucci. Più esperto, più dotato tecnicamente, con la battuta sempre pronta Bundu. Pronostico incerto, grande attesa. Io credo possa finire ai punti e alla fine riesca a spuntarla Leonard, un ragazzo che il 21 di questo mese compirà 37 anni. La boxe ha dimostrato, in una bella serata del giugno romano, di avere ancora molto da dire. Vedremo chi sarà capace di ascoltare il messaggio e capire che per salvare questo splendido sport basta (semplicemente) fare le cose nel modo giusto.

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