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I mali della boxe. 4) Le sigle mondiali

CINTURE Mondiali

Una situazione avvilente e ridicola

 

Molte volte abbiamo sentito citare il grande Rino Tommasi a sproposito, soprattutto in qualche commento televisivo. Negli stessi commenti mai abbiamo ascoltato una citazione della frase di Rino Tommasi che suonava esattamente così: “Lo scandalo non è che ci siano tanti titoli mondiali nella stessa categoria ma che ce ne sia più di uno”. Purtroppo quando c’è da vendere il tappeto (questo lo scrivemmo noi suscitando un mezzo vespaio) le televisioni chiudono entrambi gli occhi così come organizzatori, manager e pugili, ma lo scandalo delle sigle mondiali rimane e qualcuno a casa nostra farebbe bene a chiedersi se nella crisi del pugilato italiano non c’entri anche il fatto che il pubblico un po’ non ci capisca più niente e un po’ si senta preso per i fondelli. Compilando la classifica dei professionisti italiani ci siamo accorti di come troppi pugili usino per esempio il titolo italiano come un taxi, lo si conquista e poi via alla conquista di un titolo del Mediterraneo contro Pinco Palla, o meglio magari Pinko Pallas, che magari è finlandese e come è noto la Finlandia è bagnata dal Mediterraneo…

Le sigle mondiali, ironicamente definite Alphabet Organizations dai liberi commentatori di lingua inglese per via dei loro acronimi, non sono certo una novità degli ultimi anni. Chi scrive ha approfondito la questione nel libro “Fix!” facendo notare come per esempio negli anni 30 per un certo periodo la categoria dei pesi medi ebbe tre campioni del mondo contemporaneamente. La differenza era che allora non si trattava di associazioni private ma di federazioni statali all’interno degli Stati Uniti oppure nazionali di stati europei come l’Inghilterra o la Francia. Negli Stati Uniti in quel periodo esisteva la NYSAC (esiste tuttora come commissione statale) che era talmente potente che pur rappresentando solo lo stato di New York era più importante della NBA che rappresentava un certo numero di altri stati all’interno degli USA. Questa potenza, che proveniva dal controllo della più popolare arena del mondo e cioè il Madison Square Garden, era tale che quando si ritirò Joe Louis, Ezzard Charles che aveva conquistato il titolo vacante dei pesi massimi contro Jersey Joe Walcott, fu considerato campione sì dalla NBA ma solo da essa, e la NYSAC e un gran numero di appassionati lo riconobbe come tale solo quando Louis tornò sul ring e fu battuto dallo stesso Charles.

Le sigle come le conosciamo oggi sono una eredità degli anni 60 quando nacque prima la WBA e poi il WBC. La “scusa” era uguale e cioè sottrarre il pugilato all’egemonia statunitense in difesa del pugilato centroamericano. In realtà si trattava di imprese famigliari basate in paesi come Messico e Panama con la dinastia dei Sulaiman da una parte e dei Mendoza dall’altra. Non è il caso di fare qui una cronistoria che ho già fatto appunto altrove e che porterebbe via troppo spazio ma dagli anni 60 il pugilato ebbe spessissimo due campioni del mondo, uno WBA e uno WBC: Solo il titolo dei pesi massimi e quello dei medi tentarono una “resistenza” alla divisione dovendo poi comunque soccombere. Il colpo di grazia, a nostro avviso, fu l’incredibile, allora, decisione del WBC di assegnare il titolo mondiale dei pesi massimi a un pugile, Ken Norton, senza farlo combattere e solo perché Leon Spinks diede la rivincita ad Ali invece che incontrarlo.

Abbiamo poi avuto la IBF, successivamente la WBO, poi altre sigle, addirittura due WBU che si contesero l’acronimo in una battaglia tristemente ridicola. Il passo successivo fu la divisione dei titoli, opportunamente da noi chiamati solo di sigla come suggerì a suo tempo un altro grande giornalista, Roberto Fazi, in titoli super, normali, ad interim, silver, della Pace ( ma che cavolo vuol dire?)youth e quant’altro. Il tutto corredato da orripilanti cinture consegnate ai pugili direttamente sul ring e dai pugili stessi n realtà pagate anche se nessuno glielo dice. Senza contare le loro classifiche dalle quali sono esclusi campioni delle concorrenti e nelle quali pugili compiono misteriosamente balzi in avanti da gigante senza nemmeno avere combattuto per giustificare una sfida cosiddetta "mondiale".

Queste organizzazioni cercano di darsi una rispettabilità parlando di medicina sportiva, di controlli, regolamenti in difesa dei pugili, a voi il giudizio se si tratti di realtà o di fuffa. Forse è opportuno ricordare che il WBC non è andato a gambe all’aria solo perché Graciano Rocchigiani, pugile tedesco di origini italiane, vinse una causa miliardaria accettando poi però una transazione. Sapete cosa gli avevano fatto? Avendo Roy Jones lasciato vacante il titolo dei mediomassimi, Rocchigiani se lo era regolarmente aggiudicato vedendosi poi privato del titolo perché Jones, che era molto più bravo e rappresentativo, ci aveva ripensato! Queste organizzazioni hanno i loro giudici e i loro arbitri e sanno come fare una intensa attività lobbystica tanto da bloccare i tentativi effettuati presso il Congresso statunitense per metterle fuorilegge o quantomeno limitarle.  Certo è che il pugilato sopravvive nonostante le sigle soprattutto perché è uno sport di popolo, lo pieghi ma non lo spezzi. Sperando che un giorno si trovi modo, o forse il coraggio, di cancellare questa indecenza, magari con l’aiuto, come scriveva Marotta ne “L’Oro di Napoli” di un omerico e napoletanissimo “pernacchio”.

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