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I mali della boxe: 1) Il doping

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Canelo solo l'ultimo caso

 

Inauguriamo una miniserie di articoli su cosa non va nella boxe di oggi alla luce di alcuni recenti avvenimenti. Non ci riferiamo alla boxe italiana altrimenti dovremmo scrivere un romanzo della lunghezza di uno di quelli russi dell’Ottocento ma alla boxe in generale. Cominciamo dal problema del doping che va assumendo proporzioni notevoli e sempre più gravi e che è tornato alla ribalta recentemente per la positività riscontrata a Saul “Canelo” Alvarez con conseguente squalifica che ha fatto saltare per il momento l’attesissima rivincita fra Gennady Golovkin e il Pel di Carota messicano che è stato rimpiazzato dall’inadatto Vanes Martirosyan.

Se pensate che il problema del doping sia un problema di questi due decenni di XXI secolo vi sbagliate e di grosso. Da quando esiste lo sport esiste il doping, Dorando Petri alle Olimpiadi di Londra del 1908 fu quasi stroncato dalla stricnina di cui era imbottito ma di lui si ricorda solo il pietoso finale di maratona. Il ciclismo passa per essere adesso lo sport più inflazionato dal problema doping ma già Fausto Coppi prendeva amfetamine come fossero pop corn, Roger Riviere aveva preso qualcosa che gli tolse sensibilità alle mani e gli impedì di frenare quando uscì di strada precipitando in un burrone rimanendo paralizzato, Jacques Anquetil era più dopato dei cavalli le cui corse tanto amava.  E la boxe? Una volta i pugili venivano drogati a rovescio perché perdessero un match che avrebbero volentieri vinto ma in generale si riteneva che per vincere facessero affidamento solo su cuore, pugno e tecnica.

Di droga si cominciò a parlare più sentitamente negli anni 80 del secolo scorso quando i controlli cominciarono a segnalare la positività di diversi pugili, ma si trattava soprattutto di tossicodipendenza come nei casi di Tyrrel Biggs, Pinklon Thomas, Bernardo Pinango e di parecchi altri fino ad arrivare alla tristissima farsa di Oliver Mc Call, spedito sul ring contro Lennox Lewis in una rivincita che non avrebbe mai dovuto disputare nelle penose condizioni in cui era ridotto. Però di doping per migliorare la prestazione sportiva si cominciò a parlare un po’ più tardi e questo non perché i pugili abbiano iniziato a doparsi allora ma perché le maglie dei controlli cominciarono a stringersi grazie alla politica della WADA, l’agenzia dell’antidoping. Questo senza dimenticare il caso di Evander Holyfield che importò illegalmente una ingente quantità di steroidi anabolizzanti quando decise di diventare un peso massimo e aveva bisogno di aumentare la massa muscolare. Holyfield è ricordato come un fuoriclasse, ma chi ricorda che la sfangò solo perché non si potè provare con certezza che avesse assunto quelle sostanze come se non se ne fossero visti gli effetti, che erano più evidenti della somiglianza del figlio a lungo non riconosciuto di Maradona al padre?

Ricorderete il caso della Balco e del dr Victor Conte, poi assurdamente diventato il nutrizionista di pugili di livello dopo avere passato mesi in carcere. Era quello che praticava iniezioni di EPO nell’addome di Shane Mosley il quale prese tutti per i fondelli dichiarando con finto candore che non sapeva di cosa si trattasse! Non ci risulta che nessuno abbia seriamente preso in considerazione l’idea di cancellare il risultato del suo secondo match contro Oscar De La Hoya disputato dopo quel tipo di trattamento.

Da qualche anno moltissimi pugili aderiscono a un protocollo denominato VADA CBP alle cui spalle c’è la famosa Dr.ssa Margaret Goodman, un protocollo implementato per garantire i pugili dai pericoli delle sostanze dopanti così come garantire l’integrità dello Sport. Questo protocollo è cosa buona giusta ma come mai numerosi pugili aderenti sono stati trovati positivi?  C’è qualcosa nei controlli antidoping che non funziona trovando positività in realtà inesistenti? Nulla di più falso, la verità è che chiamarsi fuori da una adesione poteva essere di per sé stesso dannoso e nello stesso calderone sono finiti pugili puliti e non.

Leggere le scuse di chi è stato “pizzicato” è divertente tanto come leggere quei libretti chiamati Stupidario medico che erano di moda un decennio fa o come la famosa storia che raccontava Enzo Biagi di una ragazza non sposata e incinta ma che diceva di esserlo “solo un po’”.  Che il pugilato voglia davvero risolvere il problema non ci sembra proprio, prova ne sono il fatto che Alexander Povetkin continua a combattere dopo essere stato trovato positivo due volte, che alcuni pugili nemmeno sono stati sospesi e che la squalifica di Alvarez sia di soli 6 mesi e retrodatata!  Noi ricordiamo il caso di un’atleta italiana squalificata per ben 2 anni dalla WADA per essere stata trovata positiva ai metaboliti della cocaina assunta a una festa e non certo per aumentare le proprie prestazioni sportive. Alvarez invece se la cava così. Ma lui ha alle spalle la Golden Boy Promotions di Oscar De La Hoya e davanti l’opportunità di riempire le tasche proprie e altrui con montagne di dollari in ballo nella rivincita con Golovkin. Tutto il mondo è paese, e purtroppo palese.

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