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Cinquantuno anni fa. Muhammad Ali, il Vietnam, Zora Folley e poi...

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di Roberto Gentili

Nel febbraio 1966 Muhammad Ali viene dichiarato ineleggibile all'esame di ammissione dell'esercito statunitense e ironicamente dichiara: "Ho detto che ero il più grande, non il più intelligente."
Un mese dopo, con una nuova classificazione e con un qualcosa che non è mai stato chiarito del tutto, viene ritenuto idoneo per la guerra in Vietnam. I giornalisti accorrono a Miami, dove vive, ansiosi di avere una risposta che non tarda ad arrivare.
"Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro."
Ali diventa oggetto di migliaia di messaggi offensivi e di minacce di morte, mentre molti cittadini si chiedono: "Se un povero ragazzo come me, o come mio figlio, deve arruolarsi, perchè non può farlo anche Ali? Cosa lo rende cosi speciale?".

I detrattori di Ali potranno vendicarsi "tramite" Zora Folley.

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Il 22 marzo 1967, al Madison Square Garden, Ali (28-0 all’epoca) affronta il veterano Zora Folley (74-7-4) che è sul viale del tramonto, ma ha avuto il suo picco battendo Eddie Maghen (due volte), George Chuvalo ed Oscar Bonavena.
L'incontro vede Folley andare bene nei primi round, anche se si ha l'impressione che Ali stia affrontando il match come una sessione di sparring. Nel quarto round però decide di premere il piede sull'accelleratore e Folley finisce al tappeto.
Il match si conclude alla settima ripresa, quando Herbert Muhammad, il manager di Ali, dice al suo pugile di "smettere di giocare". Ali vince l’incontro e comincia a pagare per le sue decisioni.
Il 25 aprile, tre giorni prima del giorno in cui si sarebbe dovuto arruolare nell'esercito, vede svanire la possibilità di affrontare Floyd Patterson a Las Vegas poichè il Governatore del Nevada dichiara che il match darebbe una brutta immagine del Nevada. Tre giorni dopo Ali si reca a Houston per il programmato arruolamento nelle Forze Armate. Chiamano il suo nome e lui si rifiuta per tre volte di farsi avanti. Un ufficiale lo avverte che sta commettendo un reato punibile con cinque anni di carcere e una multa di 10.000 dollari. Lui si rifiuta ancora una volta e viene arrestato.
Nello stesso giorno la Commissione Atletica dello Stato di New York gli revoca la licenza da pugile.
Il 20 giugno 1967 la Corte d'Appello condanna Ali dopo essersi riunita per soli ventuno minuti. Successivamente la condanna viene ribadita dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Una volta fuori dal tribunale si rivolge ai giornalisti dicendo: "Sono il campione, posso sconfiggere chiunque. Non mi interessa se tolgono il mio nome da alcuni pezzi di carta, rimango comunque campione nella mente e nei cuori della gente. Se avessi pensato che partendo avrei portato libertà, giustizia e uguaglianza per ventidue milioni di neri sarei partito subito."
Consapevole della reazione pubblica, rimane fermo nelle sue decisioni diventando uno dei principali esponenti della rivendicazione dei diritti civili e, sopratutto, dei diritti degli afroamericani dopo gli omicidi di Martin Luter King Jr e Malcolm X.
Il sentimento d'opposizione alla guerra in Vietnam inizia ad avere un seguito più forte e la posizione di Ali viene rivalutata. Inizia cosi a tenere discorsi nei college, luoghi dove sta crescendo lo stesso sentimento sopratutto tra i movimenti studenteschi.

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Nel 1970, nel processo che passerà alla storia come "Ali vs Stati Uniti" la Corte Suprema annulla la condanna e la Commissione degli Stati Uniti gli restituisce la licenza. Il 28 giugno dello stesso anno torna sul ring sconfiggendo Jerry Quarry e Oscar Bonavena.
Il successivo incontro, valido per il titolo mondiale dei pesi massimi, è contro il campione in carica "Smoking" Joe Frazier, che ha vinto la cintura durante la pausa forzata di Ali.
Frazier lo mette al tappetto nel quindicesimo round, Ali riesce a rialzarsi, ma perde comunque ai punti incappando così nella prima sconfitta della carriera. Vincerà entrambe le rivincite.

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