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Angel. Pugile per necessità, amante instancabile per passione...

Quarant’anni fa Angel Robinson Garcia batteva Pol Payen
e si ritirava dal pugilato. Era rimasto sul ring
per ventitré anni e 239 incontri.
Vi ripropongo la sua affascinante storia.

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La vita di Angel Garcia me l’ha raccontata Rocco Agostino, il suo manager italiano, in una lunga chiacchierata attorno a un tavolo da Zeffirino, a Genova. Trenette al pesto da applausi, un buon bicchiere di vino ed eravamo andati avanti sino a notte fonda senza stare lì a farci tante domande nè su che ora fosse, nè su quanto stessimo rivelando di noi stessi. Lui mi raccontava incredibili aneddoti, io raccoglievo notizie e confidenze. Erano altri tempi.

Angel Garcia era un cubano nato nel ’37. Aveva uno stile elegante. Così qualcuno aveva cominciato a chiamarlo Robinson. Come il mitico Sugar Ray. E quel soprannome gli era rimasto appiccato addosso.

Era un pugile di talento, ma aveva grandi vizi. Beveva, fumava e non c’era giorno che non facesse l’amore. Con una o più donne. In carriera ha disputato 239 match, combattendo in ventuno Paesi, in quattro Continenti. Era bravo, ma amava in maniera esagerata il sesso. Prima di salire sul ring, dopo il peso, a fine match, durante gli allenamenti. Sempre.

Rocco l’aveva conosciuto a Barcellona. In carcere.

Rino Tommasi voleva a tutti i costi organizzare una sfida tra il cubano e Bruno Arcari. Il manager Caballero aveva chiamato il manager, dicendogli che il suo pugile poteva uscire di prigione, a patto che lui firmasse un documento con cui si impegnava a farlo tornare in Spagna dopo due giorni.

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Rocco (foto sopra) aveva accettato ed era andato a prenderlo a Barcellona con l’aereo privato di Massimo Del Prete, che all’epoca dirigeva il Palasport di Genova. Il 28 aprile del ’67 Garcia era salito sul ring e aveva disputato un grande incontro con Arcari perdendo ai punti in 10 round. Era andato così bene che Agostino gli aveva chiesto di venire a combattere per lui una volta uscito di galera.

Un paio di settimane dopo, Angel Robinson Garcia si era trasferito in una pensione di via XX Settembre a Genova. Dormiva lì, per mangiare ci pensava Zeffirino: Luciano Belloni, appassionato di boxe e titolare di uno dei più famosi ristoranti d’Italia.

Garcia si allenava duramente, ma trovarlo dopo le otto di sera era un’impresa disperata. Era capace di andare fino a Verona solo per prendersi un caffè, di viaggiare sino a Milano per passare la notte in una discoteca. Si era fatto amici alcuni agenti della Mobile e molte delle serate le trascorreva con loro. Ma almeno tre volte a settimane erano proprio gli amici poliziotti a doverlo portare in cella.

Era un bel ragazzo, sessualmente superdotato. Non si stancava mai di mostrare quella che riteneva la sua qualità migliore. Le signorine dell’angiporto facevano a gara per averlo con loro. Ovviamente gratis. E questo non piaceva ai magnaccia che tutte le sere si mettevano a caccia di quel tizio che si divertiva con le loro donne. Il problema era che lo faceva senza pagare.

Una volta erano riusciti a metterlo alle strette. L’avevano circondato in cinque. Avevano provato ad attaccarlo tutti assieme. Ed erano finiti a terra, tutti stesi ben oltre il conteggio totale. La polizia aveva dovuto prendere Garcia a randellate sulla nuca per riuscire a fermarlo.

Solo in carcere riusciva a fare vita da atleta. Era stato anche per questo che Agostino, nel momento in cui era venuto a mancare l’avversario di Carmelo Bossi, aveva proposto Angel Robinson a Rodolfo Sabbatini.

Ma non è in prigione?”, aveva chiesto il promoter romano.

Appunto…”, aveva risposto il manager.

Era andato a prenderlo in galera alle 10 del mattino. Era dentro per avere picchiato una prostituta insistente e incontentabile. L’aveva caricato in macchina e portato a Roma. Per più giorni aveva mangiato solo piatti di spaghetti. Senza sale e senza sugo. Ma alla fine era in forma e con Bossi aveva già combattuto, e pareggiato, a Barcellona un anno prima. Per quattro riprese si era difeso alla grande, poi si era dovuto fermare alla quinta per una ferita. Era il 14 luglio del 1967.

Garcia aveva sempre fatto una vita da zingaro. Nulla lo spaventava.

Una volta era stato chiamato per un match contro Chico Morales a Santiago di Cuba. Era arrivato sul luogo del combattimento dopo un viaggio di quattordici ore in pullman. In città stavano festeggiando il Carnevale, il posto era pieno di turisti, gli alberghi non avevano neppure una stanza libera. Così lui e il maestro Richie Riesgo se ne erano andati in giro per teatri, guardando spesso lo stesso film, riuscendo a dormire per pochi minuti in ciascun cinema. Poi si erano messi a riposare su una panchina nel parco. La mattina dopo aveva fatto il peso, mangiato una robusta colazione ed assieme al maestro era tornato in quei teatri dove avevano passato parte della notte. Volevano riposarsi, erano esausti.

Quella sera Angel era stato molto bravo sul ring e aveva battuto chiaramente Morales.

Il match non risultava nel record ufficiale di Garcia, cosa che capitava assai spesso per gli incontri dell’epoca.

Ma Richie Riesgo ha sempre ripetuto la stessa versione.

Questa storia è vera dalla prima all’ultima parola.”

Angel Robinson Garcia era superstizioso. Ne racconto una per tutte. Prima di un match copriva il pavimento della stanza d’albergo di candele votive accese. L’aveva fatto anche alla vigilia dell’incontro di Milano contro Eddie Perkins. Era finita che l’armadio aveva preso fuoco.

Quel match l’aveva perso. E con la borsa aveva dovuto risarcire il proprietario dell’albergo.

Era un autentico globetrotter. Aveva vissuto per un periodo di tempo a Cuba, Milano, Genova, New York, Las Vegas, Barcellona e Parigi. Aveva combattuto ovunque collezionando 138 vittorie (55 per ko), 80 sconfitte (solo tre prima del limite) e ventuno pari. Aveva affrontato quindici campioni del mondo, aveva incontrato Roberto Duran, Josè Napoles, Carlos Hernandez, Wilfredo Benitez, Saoul Mamby, Esteban De Jesus, Ken Buchanan.
Era rimasto sul ring dal 1955 al 1978, oscillando dai leggeri ai welter.

Era stato amico di Jean Paul Belmondo e Alain Delon.

Aveva vissuto sempre sopra le righe, godendo ogni giorno oltremisura. Alcool e sesso ne avevano compromesso carriera e salute. Fegato e reni ne avevano sofferto. Chissà dove sarebbe potuto arrivare se solo avesse fatto scelte meno pericolose.

Su di lui è stato scritto un libro: “Angel” di Alain Philippe Coltier e una canzone: “Angel Robinson Garcia” di Francois Thévenou-Philippe Luttun.

È morto povero e solo l’1 giugno del 2000 all’Havana, lì dove era nato sessantré anni prima. Sempre in viaggio, combatteva dovunque ci fosse una borsa che potesse toglierlo per qualche giorno dai guai.

Un vagabondo del ring che non aveva mai rimpianto le sue scelte.

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