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Psiche e Pugilato secondo Valeria Imbrogno, pugile e psicologa

Urlo

Joyce Carol Oates, scrittrice americana che si è occupata più volte di pugilato, nel suo libro "On boxing" scrive: “I pugili rendono visibile ciò che in noi non lo è”

Questo invisibile di cui parla è costituito dalla naturalità  primordiale che appartiene all'uomo in quanto animale, mai superata nonostante la civilizzazione, che la lotta lascia emergere.

Non è dunque un caso che la disciplina del pugilato sia appellata “nobile arte”: il suo valore conoscitivo  rende il pugile una sorta di artista che si serve del proprio corpo e del corpo dell'altro per immergersi negli abissi della propria istintualità ed elevarsi quindi in tal modo, alla luce delle proprie pulsioni arcaiche, ad un sapere e ad una conoscenza lucidamente razionale di se stesso e della propria persona.

Ma come avviene tutto cio’ a livello mentale?

Tutti noi sappiamo che l’incontro di pugilato nasce da un accordo (match, in inglese) tra due atleti che si espongono consensualmente l’uno ai pugni dell’altro. E’ proprio questa disponibilità reciproca ad essere colpiti che costituisce il riscatto morale del pugile.

Sul ring, infatti, le normali dinamiche verbali degli individui divengono gesti visibili: viene poco a poco acquisita la consapevolezza di quei confini, non solo fisici ma soprattutto psicologici, valicati i quali un intruso deve essere comunque considerato un aggressore, anche se solo su un piano simbolico e dialettico. Il soggetto impara a riconoscere dentro di sè quali sono quei limiti che non è disposto a lasciar superare. Proprio questi limiti, che si vuole siano invalicabili, sono segnalati dai pugni sul quadrato e dall’atteggiamento e l’eloquio nella vita. I modelli relazionali acquisiti, assimilati e sviluppati nella pratica del combattimento, verranno ad essere perciò generalizzati a tutte le situazioni conflittuali della vita.

Il combattimento diventa una metafora del confronto dialettico, in cui le tecniche di confronto sostituiscono il linguaggio verbale con lo scopo, reciprocamente dichiarato, di non subire, di non soccombere, di fronteggiare e di dominare.

Ecco perchè dunque un viaggio nella boxe è un viaggio nella psiche, quella vera, dove certamente c'é violenza, ma anche intelligenza ed eleganza. Si arriva ad un’analisi di tutte  quelle componenti che come l’ansia, il confronto, la paura, la timidezza, la violenza, il rispetto, l’umiltà, la gioia, la tristezza e l’amicizia appartengono proprio a questa metafora dialettica che è il pugilato, ma che sono ovviamente anche  parti integranti di tutti noi pugili e determinano la  parte piu’ profonda del nostro Io.

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