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Guillermo Rigondeaux: quando una sconfitta sul ring lo é pure nella vita

Rigondeaux

Di Guillermo Rigondeaux si sono perse momentaneamente le tracce. Sembra quasi che la poco onorevole sconfitta subita per mano di  Vasyl Lomachenko nello scorso 9 Novembre abbia avuto effetti a “scoppio ritardato”, come uno di quei colpi da ko che colpiscono il fegato e solo “dopo” un attimo di “sospensione” costringe alla durezza del tappeto.

Scomparso dai teleschermi, dai giornali, dalle manifestazioni. Un malinconico silenzio circonda oggi il campionissimo cubano che probabilmente non si è reso conto, mentre si trovava tra le sedici corde per quello che universalmente era stato definito il “match dell’anno”, a che cosa avrebbe portato la sua sconcertante mancanza di grinta, di voglia di vincere, di paura dinanzi alla sofferenza.

La mano sinistra gli doleva? Non gli doleva? Le supposizioni sono varie e opposte, ma è palese che a “El Chacal” più della mano ha ceduto il cuore. Il pubblico (per primo quello della sua Cuba) l’ha sempre ricoperto giustamente di immensa ammirazione e rispetto. Ma è inevitabile che chi sale altissimo eppoi cade, faccia un grande fragore.

Un fragore moltiplicato dal “modo” in cui la caduta è avvenuta.

Immortali campioni sono stati sconfitti e talvolta anche brutalmente (Clay, Frazier, Benvenuti, Foreman, Arguello, Gomez, Moore, Klitsckho, “Chocolatito”, Napoles, Pryor, ecc.), ma gli appassionati perdonano tutto e arrivano persino a porre il ricordo della disfatta tra le cianfrusaglie abbandonate in soffitta. Lo fanno per rispetto, per amore, forse persino inconsciamente come accade quando ci si butta alle spalle le cose brutte della vita.

Però devono essere sicuri e convinti che il loro idolo abbia fatto il possibile e l’impossibile prima di crollare e che la sconfitta sia arrivata perché, prima o poi, arriva per tutti…

Guillermo Rondeaux, quella strana e maledetta sera, non ha combattuto. Era già sconfitto in hotel, nello spogliatoio, sulla scaletta che conduceva al ring. Non ha combattuto, ecco la sua imperdonabile colpa. L’avesse fatto, pur nella peggiore delle disfatte ora il mondo della Noble Art sarebbe intento ad esaltare la grandezza di Lomachenko e a ricordare il valore di uno straordinario fuoriclasse ginuto al capolinea della carriera, perché il tempo presenta sempre il conto.

Adesso, abbastanza sommessamente e nel malinconica e pressoché totale indifferenza di quel popolo che l’ammirò -senza “se” e senza “ma”-, il suo staff parla di una passaggio alla categoria superiore delle 126 libbre, rispetto alle consuete 122 libbre dei supergallo. Il suo allenatore Pedro Diaz l’ha “coperto” oltre i limiti del possibile, assumendosi ogni responsabilità di quanto accaduto e preannunciando l’eventuale ripartenza di Rigondeaux verso le alte vette.

Si dice che cadere al tappeto non è una tragedia e che l’importante è rialzarsi. Verissimo.

Ma Guillermo Rigondeaux  al tappeto c’è finito come peggio non si poteva e il suo silenzio, la sua latitanza assomigliano tremendamente ad un nascondersi per la vergogna.

Nulla sarà più come prima. Questo è certo. E per lui, vada come vada, rimettersi in verticale sarà molto, molto difficile e forse ormai non importerà niente a nessuno.

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