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Il femminismo "pugilistico" secondo Valeria Imbrogno, pugile e psicologa

PortacartelliRoundE’ vero, questo articolo inizia con l’idea che il lettore sia un femminista. Cosa significa in realtà essere femminista? Semplicemente essere sostenitore dell'idea che che gli uomini e le donne siano uguali e pertanto debbano avere gli stessi diritti legali e sociali.

Le stesse femministe sono in disaccordo su tante cose. Mi sembra corretto sottolineare che non esiste una definizione univoca della parola “femminismo”; ci sono diversi orientamenti teorici e politici del femminismo legati a storie e culture differenti. La definizione a cui mi piacerebbe far riferimento è quello di femminismo paritario, che deriva dalla prima ondata del movimento delle donne:  quello dell’emancipazione suffragista.

L’ideologia corrente nella società occidentale, che ha fatto propri gli assunti delle femministe, vorrebbe che i ruoli fossero nati da un’appropriazione, da parte del maschio, di compiti importanti e gratificanti: all’uomo la caccia, i commerci, le esplorazioni, lo scontro, la politica, l’arte e la cultura del piacere; per la sua compagna, invece , gli incarichi più subordinati, poveri, ripetitivi, scarsamente gratificanti. Il dolore e i rischi della procreazione, l’impegno continuo e costante dell’allevamento dei figli e le incombenze domestiche, noiose e umilianti.

Dopo gloriose battaglie, la donna si è conquistata l’uguaglianza e la parità, in tutti i campi: nel lavoro, dentro e fuori dalla casa, nei rapporti sessuali e affettivi, nella politica e nella società. Finalmente, alle soglie del terzo millennio, anche il piacere, appannaggio solo dell’uomo, è entrato nella vita quotidiana della donna.

Oggi la donna è uguale all’uomo, ha i suoi stessi diritti e compiti, s’inserisce nelle stesse attività del sesso forte, s’impegna in maniera egualitaria nella casa, sceglie se avere o no dei figli e quale ruolo esercitare nella loro educazione. Se guardiamo attentamente, però, queste recenti conquiste hanno risolto alcuni comportamenti dimenticandone altri. I problemi che per esempio oggi esistono nel rapporto di coppia, nella mediazione di separazione e divorzio, nell’educazione all’affettività, raccontano di un’ emancipazione ancora incompleta.

Questa emancipazione incompleta si riflette, a mio avviso, anche nell’ambito sportivo. La donna nello sport è sempre stata vista per molto tempo come anormale perché andava a contrapporsi all’immagine di donna curata e dedita alla famiglia. Ciò a portato così ad identificare la donna sportiva come un qualcosa di diverso dall’ordinario. Non a caso lo sport nasce per mettere in evidenza ed esaltare la virilità e la forza, da sempre riconosciute come qualità propriamente maschili. Scontato dire che i corpi maschili e i corpi femminili tendono ad avere differenze fisiche importanti: i primi sono più alti, più pesanti e più ampi dei corpi femminili, i livelli di testosterone maggiori, una capacità polmonare più ampia, una massa ossea più grande. Inutile sottolineare che il corpo maschile, con le sue caratteristiche, conferisce un vantaggio atletico.

La conseguenza di queste differenze è descrivere, ancora oggi, la donna che pratica sport come una donna virile che l’allontana dal concetto classico di femminilità , raffigurandola come un qualcosa di anormale. A questa conseguenza concreta s’aggiunge l’immagine di donna ideale veicolata dalla televisione, dalle riviste e dai media in generale, ancora troppo lontana dal modello di donna sportiva femminile forte e tenace a cui poco interessa l’apparire. Basta pensare ai concorsi di bellezza in cui lo stereotipo di femminilità proposto è, a mio avviso, ormai superato.

La verità quasi impercettibile ma condivisa è che negli ultimi vent’anni le abilità atletiche delle donne sono cresciute: basta guardare il basket, la pallavolo, il nuoto o lo stesso calcio. Penso sia necessario evidenziare questi cambiamenti anche attraverso la comunicazione, adeguandone i modelli femminili di riferimento. Ma perché ciò avvenga la società attuale ha bisogno di un gran numero di donne, unite nella convinzione che sia necessario un cambiamento del modello proposto.  Nel nostro ambiente pugilistico, per esempio, potremmo contribuire proponendo dei modelli maschili al posto del solito clichè della sculettante "numerina" portacartelli tra un round e l'altro. Che ne dite donne pugili?

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