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Cinquant’anni fa… Benvenuti seduce la grande America

dario

17 aprile del ’67: batte Griffith al Garden nel mondiale medi. Il racconto di quella magica notte

 

“Dimmi, James: li ricordi, tu, i bei giorni andati?”
“Ogni anno che passa, sempre di più”
(John Hurt e Kris Kristofferson, I cancelli del cielo)

 

Lunedì 17 aprile 1967, Nino Benvenuti batte Emile Griffith al Madison Square Garden e conquista il mondiale dei medi. Lunedì 17 aprile 2017, Rai Tre manda in onda dalle 15:10 uno speciale con le fasi più importanti del match. In studio Nino Benvenuti, Maurizio Stecca, Davide Novelli, Andrea Fusco e Dario Torromeo. Replica la sera su RaiSport+ dalle 23:20.

Mercoledì 26 aprile, nel Salone d’Onore del Coni a Roma dalle 18:30 “L’oro dei Cinquanta”, evento organizzato da Anita Madaluni a mezzo secolo dall’impresa. Interverranno atleti, giornalisti, scrittori e artisti. Parleranno il presidente Giovanni Malagò, Gianni Rivera, Gianni Minà, Dario Salvatori e Mario Alì.

 

Un silenzio assoluto. L’oscurità attenuata da flebili luci. Un uomo disteso sul lettino dei massaggi, attorno a lui poche persone. Davanti alla porta dello spogliatoio un altro uomo. Lo chiamano il guardiano della serenità, è qui per evitare che qualche scriteriato spezzi la concentrazione del campione.
Nino sta per vivere la notte più importante della vita, ha bisogno di ogni stilla di energia.
È nella pancia sacra del Madison Square Garden, lì dove nasce ogni grande avventura. Su questo ring hanno combattuto Joe Louis, Sugar Ray Robinson, Jake LaMotta, Rocky Marciano. L’arena ha più volte cambiato indirizzo, ma l’anima è rimasta sempre la stessa. Benvenuti è solo, come ogni pugile sa di essere alla vigilia della sfida decisiva.
Il dottor Harry Kleimann controlla le pulsazioni, sono 56 al minuto. Esce chiedendosi se quel ragazzo sia incosciente o troppo sicuro di sé.
Un silenzio assoluto riempie la penombra del camerino.

Griffith

 

Nino vuole isolarsi dal resto del mondo e allo stesso tempo esserne parte integrante. Cerca quello che da tempo chiama il suo Nirvana. Vuole salire sul ring leggero, nella condizione migliore per dare il meglio di sé. Davanti avrà Emile Griffith, un grande campione.
È la notte di lunedì, 17 aprile 1967.
Il mondiale dei medi è ancora un sogno.
C’è un silenzio assordante nel camerino del Madison.
Il massaggiatore ha finito il lavoro. È quasi arrivato il tempo di andare. Benvenuti si sente finalmente leggero, avverte però un peso che deve riuscire a trasformare in una grande spinta.
Da quando è arrivato a New York ha incrociato centinaia di italiani che gli hanno dato una pacca sulle spalle, hanno voluto una foto con lui, gli hanno ricordato cosa significherebbe avere uno di loro campione del mondo. Benvenuti non ha lottato per scacciare quei pensieri, ci si è adagiato dentro, si è fatto cullare da quelle parole.


Quattro charter di tifosi sono volati dall’Italia per essere qui a incitarlo. L’America degli anni Sessanta è qualcosa di molto lontano per noi. Cosa sappiamo? I libri ci raccontano la storia di quel popolo, ma sono in pochi a conoscere l’America moderna. Dicono: vado lì, qualcosa accadrà. Venire trasportati a New York, anche se solo via radio, vuol dire essere nel mondo nuovo, partecipare direttamente all’evento.
Abbiamo letto drammatici reportage dagli inviati in Vietnam, crediamo di sapere tutto su quel Paese in fiamme. Scopriremo negli anni di sapere assai poco su cosa sia accaduto a sud del diciassettesimo parallelo. Lì dove vietcong e truppe regolari vietnamite hanno sconfitto il gigante americano.
Gli Stati Uniti sono una nazione assai più distante delle migliaia di chilometri che la separano dall’Italia. Ci sono sembrati lontani anni luce quando hanno dato voce agli incappucciati del Ku Klux Klan che chiedevano il rogo per i Beatles. L’intellighènzia italiana non ci ha aiutati a capire il fenomeno, ha preferito osservarlo da lontano. Quando Nino attraversava l’Oceano i settimanali politici di casa nostra già sentenziavano la fine del gruppo inglese che aveva osato sfidare il conformismo del tempo. Eppure i Beatles l’anno prima avevano realizzato Revolver, un capolavoro. E nel ’67 avevano replicato con Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band. L’anno dopo avrebbero pubblicato The Beatles (noto universalmente come l’album bianco) e l’anno dopo ancora Abbey Road. Finiti? Ma fateci il piacere.


Nino ci prende per mano e ci porta tra le strade di New York, grattacieli che evocano un mondo diverso, un universo in cui tutto sembra possibile. Ci siamo dentro e non è stato il cinema ad aiutarci, le storie che passano sullo schermo sono senza tempo. Non sono stati neppure certi giornali che vedono una verità distorta. Grazie a un campione di boxe stiamo vivendo in presa diretta la grande avventura. C’è l’Italia intera sulle gradinate del Madison Square Garden. Non ci sono ancora aerei super veloci e il costo del biglietto non è tassa che molti possano permettersi. Il racconto degli States resta spesso affidato a libri e film. Quindi, in gran parte, alla fantasia.

griffith_benvenuti

In questi anni le nostre case si sono riempite di rumori e di luce. Un salto in avanti nel tempo rispetto al grigiore degli anni Cinquanta. L’elettricità ha ridisegnato le abitazioni. I giradischi sono diventati strumenti indispensabili per i ragazzi, nove milioni di italiani hanno comprato un televisore. E quelli che ancora non ce l’hanno, si radunano in casa degli amici più fortunati. Venti milioni di telespettatori per la finale di Canzonissima, altrettanti per l’ultima serata del Festival di Sanremo. Ma c’è ancora chi pretende di pensare per noi.
Il Governo italiano vieta la trasmissione in diretta televisiva del mondiale. Teme che gli italiani, restando in piedi sino all’alba (il match comincia alle 22:00 di New York, le 04:00 del mattino a Roma) non si presenteranno domani al lavoro. È stata concessa, in via eccezionale, la radiocronaca. In cinquemila, solo a Milano, prenotano la sveglia telefonica per le 03:00. In diciotto milioni ascolteranno la voce di Paolo Valenti, abile narratore della grande avventura. Una nazione intera spinge Nino, vuole accompagnarlo sul tetto del mondo.
È il momento di andare.
Bruno Amaduzzi, Libero Golinelli e Benvenuti lasciano il silenzio irreale dello spogliatoio e si incamminano nel tunnel che porta all’arena. Il rumore cresce lentamente, quando passa sulla testa provoca un frastuono infernale. Le urla del Madison Square Garden travolgonoil terzetto.
«Ni-no, Ni-no, Ni-no, Ni-no!»
C’è da impazzire.


Sono in tanti a ritmare quel nome. Uomini arrivati quaggiù pieni di speranze, paisà che cercano riscatto attraverso la vittoria di uno come loro, signori che all’America (come dicono in molti) hanno fatto fortuna. Incitano, urlano, sognano. È in quel preciso momento che Nino avverte una strana sensazione. Scopre di sentirsi protetto. Quella gente è con lui.
Tanti italiani, tante bandiere tricolori. È difficile rimanere calmo, ma lui ce la fa. È in un altro mondo, isolato da tutto. Nel resto della carriera non riuscirà mai più a sentirsi così. Solo nella folla. Non c’è tensione nell’animo. Può essere pericoloso non sentire quella carica agonistica che la tensione sa regalarti. Ma Nino stavolta non ne ha bisogno. Sa esattamente quello che farà. Subito dopo il gong sarà lui a tirare il primo pugno. E andrà avanti su quella strada, sino alla vittoria.

 

Il match è duro, spietato.
Un montante destro al secondo round e Griffith va giù. Emilio si ferma un attimo, Nino quasi lo spinge. L’americano si aggrappa al suo guantone nell’estremo tentativo di rimanere in piedi, ma Benvenuti riesce a liberarsi dalla morsa e l’altro finisce al tappeto. L’italiano sa di averlo preso perfettamente, è un colpo che ha studiato a lungo in palestra. Qualcuno dei suoi sparring partner è anche finito knock down. L’ha provato con i guantoni grossi, funzionava. E funziona anche nel match per il titolo.
Ma Emilio quel colpo terribile riesce ad assorbirlo. Lo accusa, ma non perde conoscenza. Si rialza immediatamente. Nino prova ad accelerare per vedere le sue reazioni. E scopre che non è ancora arrivato il momento di forzare.
Poi, è lui ad andare giù nella quarta ripresa. Perde l’equilibrio, il colpo gli arriva all’orecchio. Cade dritto, neppure si piega. Nella testa ha un solo pensiero, la paura di non essere più in grado di rimanere in piedi. Non è suonato. Purtroppo capisce tutto. Sente un fischio all’orecchio, realizza che l’equilibrio è diventato instabile, deve far passare il tempo. Sfrutta gli otto secondi di conteggio, gliene servono altri tre o quattro per recuperare. Ce la fa. Ma il pericolo è sempre lì, a meno di un passo da lui.

11

 

Nino continua a chiedersi: e adesso cosa succederà? Non perde i sensi, rimane presente a se stesso. È sempre lui, quello che vuole vincere. Ha appena attraversato il momento più brutto del match ed è riuscito a superarlo. Nella vita ci sono dei passaggi obbligati, ti sembrano ostacoli insormontabili, ma sono proprio quelli i momenti in cui ti senti un predestinato. A Griffith sarebbero bastati un paio di colpi in più in quella ripresa e avrebbe vinto.
Negli ultimi due round Nino compie un piccolo miracolo. Combatte a mani basse, portando dei montanti al corpo. Quando mai farà ancora cose del genere? È nelle condizioni ideali, può permettersi quell’atteggiamento. Riesce ad attingere a ogni risorsa del suo corpo. Accade poche volte in una vita intera.
Si sente imbattibile.
Alla fine il verdetto lo premia.

Nino Benvenuti-Middleweight Boxing Champ September 25, 1967 X 12341 / X 12527 credit: Herb Scharfman/Tony Triolo

Nino Benvenuti è il nuovo campione del mondo dei pesi medi. Ha conquistato il titolo quaggiù, in America. Suonano le sirene delle navi ancorate al porto di New York. Gli emigranti tirano fuori mille bandiere italiane, finalmente possono sfidare i compagni di lavoro («Sì, sono italiano, come il campione del mondo»). Molte coppie, negli anni, racconteranno a Benvenuti di avere fatto l’amore proprio questa notte e di avere chiamato Giovanni il bambino nato nove mesi dopo. Gente che non ha mai toccato vino, beve fino a ubriacarsi. Anche chi normalmente va a letto alle dieci di sera fa mattina senza stancarsi.
Questo 17 aprile del ‘67 è sicuramente una serata magica.


Nino non riesce a percepire subito il valore dell’impresa che ha compiuto. I primi segnali arrivano il giorno dopo. La gente lo ferma per strada per dirgli: «Adesso possiamo andare ad affrontare le fatiche di tutti i giorni dicendo che siamo italiani come Nino Benvenuti». Magari il giorno prima in fabbrica li prendevano in giro: «Vedrai come le becca dal negretto». E invece ha vinto lui, il “bianchetto”. No, non capisce subito cosa sia riuscito a fare. Poi, ne rimane quasi spaventato.
L’Italia impazzisce, ma anche l’America viene conquistata da quel bel ragazzo con un’incredibile capacità di comunicare. La Paramount gli offre 100.000 dollari per dare il nome a una catena di ristoranti. Si chiameranno Nino’s. La prestigiosa rivista Life gli dedica la copertina. In qualunque strada del Paese passeggi, Nino è costretto a fermarsi almeno dieci volte. Stringe mani, firma autografi, si lascia fotografare.
E ancora una volta, dopo aver lanciato uno sguardo al cielo, dice «Grazie».
Mamma Dora è sempre lì, nel suo cuore.

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