logo facebook

SEGUICI SU FACEBOOK

Top News

Questi uomini hanno esaltato la nostra boxe Ecco le loro storie …

o4

Olimpiadi e Mondiali. Statistiche, record, aneddoti, carriere dei protagonisti italiani. Un libro online da non perdere

 

di Dario Torromeo

Il 27 ottobre 2018 il Grand Hotel Terme&Spa di Castrocaro ospiterà il primo evento legato a una folle e affascinante idea, la realizzazione della Hall of Fame del pugilato italiano.

Nino Benvenuti, Patrizio Oliva, Maurizio Stecca e Giovanni Parisi saranno i primi a entrare nella Casa della Gloria, un luogo che al nostro pugilato è sempre mancato.

Boxeringweb.net è un sito in cui operano diversi professionisti del settore.

Professionisti che per pura passione prestano gratuitamente la loro opera. Il compenso che ricevono è la gioia di parlare di qualcosa che li appassiona, la boxe.

Abbiamo discusso a lungo di un’idea che avevamo in testa da più di un anno. Ci abbiamo lavorato duro e alla fine siamo riusciti a trovare i partner giusti, quelli che hanno reso possibile la realizzazione del progetto.

Il primo appuntamento sarà una serata di gala in cui celebreremo con un trofeo gli unici quattro pugili italiani che nella storia di questo sport siano riusciti a vincere sia l'oro olimpico che il mondiale professionisti.

Conoscere il passato aiuta a capire il presente, a immaginare il futuro. Ne siamo sempre stati convinti. La memoria storica è un valore importante. Serve a ricordarci da dove siamo venuti.

Ci siamo chiesti cosa e come avremmo potuto onorare i grandi campioni della boxe italiana e abbiamo trovato una risposta in quello che accade da tempo in altre nazioni e da noi invece era colpevolmente assente.

Sette innamorati persi del pugilato hanno messo assieme le loro forze e hanno spinto nella stessa direzione, aiutati da partner d’eccezione.

I requisiti per entrare nella cerchia ristretta dei premiati sono: valore tecnico, titoli conquistati, popolarità, segno lasciato nell’epoca in cui il pugile ha combattuto, riconoscimenti internazionali.

Ogni anno la commissione composta dai sette fondatori nominerà i nuovi eletti seguendo questi principi base.

Noi di boxeringweb.net accompagneremo passo dopo passo il progetto. Sul sito troverete notizie, informazioni, approfondimenti, articoli sui vincitori, statistiche e altro ancora. 

Sarà una grande festa del pugilato, celebreremo i campioni che lo hanno reso popolare, appassionante e magico.

1. continua

Una pazza idea, nata dalla passione di sette innamorati della boxe

Per la prima e ultima volta parliamo di noi.
Siamo quelli che hanno avuto la pazza idea di dare corpo a un sogno. 
L’abbiamo realizzato seguendo i comandamenti della disciplina che amiamo. Il pugilato insegna che per raggiungere un obiettivo devi avere costanza nel sacrificio, coraggio, qualità, personalità, buoni compagni di viaggio. E un po’ di fortuna.

Siamo stati messi in difficoltà da promesse non mantenute, da accordi raggiunti e poi cancellati, da appuntamenti dati e non rispettati, da lungaggini burocratiche, dalla crisi economica che attanaglia questo Paese. Ma alla fine abbiamo trovato le persone giuste. Sono state loro a darci l’aiuto determinante per realizzare il sogno.

Il 27 ottobre si svolgerà al Grand Hotel Terme&Spa di Castrocaro il primo atto della Hall of Fame del pugilato italiano. Nino Benvenuti, Patrizio Oliva, Maurizio Stecca e Giovanni Parisi entreranno nella Casa della Gloria per meriti acquisiti sul ring, per capacità di influenzare la loro epoca, per risultati ottenuti.

Noi di BoxeRingWEB siamo orgogliosi di lavorare a questo progetto che vuole dare al nostro pugilato un contatto diretto con la propria storia, per restituire a questo sport la dignità e il rispetto che merita.

Due parole sui sette membri del Consiglio Direttivo (in rigoroso ordine alfabetico).

Questi gli uomini che hanno creduto nel sogno.

Gualtiero Becchetti

Affiliato alla Fpi dal 1985. Fondatore della Pugilistica Padana di Ferrara, di cui é stato presidente sino al 2001. Consigliere federale dal 2001 al 2009, anno in cui si dimissionò a seguito della sparizione di un'ingente somma dalle casse federali. Collaboratore di Stadio dal 1972, della Gazzetta di Ferrara dal 1988 e tuttora del Resto del Carlino, dal 1992. Direttore dell'organo ufficiale della Fpi,  Boxe Ring, dal 2002 al 2009. Autore di vari libri sul pugilato. Articolista della testata on-line Boxeringweb.   

Flavio Dell’Amore
Ex direttore di banca, ha scritto per I nostri risparmi, Guerin Sportivo, Boxe Ring, Il Resto del Carlino. È stato direttore responsabile delle emittenti televisive Teleromagna e Nuova Rete (1988-2000) e direttore artistico del Circuito letterario Librincontro (1992-2011). Dal 2004 al 2013 è stato co-autore e direttore dell’Annuario della Boxe Italiana. Ha pubblicato: Pugilato in Romagna (1985), Prima Pagina (1989), Marciano (1991), Nonna Tina racconta (1993), Era la boxe (2010), Italiani sul ring, insieme a Pietro Anselmi (2014), A modo mio, Simona Galassi: storia di pugni e passioni (2015) con Dario Torromeo. Nel 2007 ha vinto un Oscar del Pugilato. Ha fondato nel 2004 ed è l’attuale editore del sito BoxeringWeb.net.

Franco Esposito

Napoletano doc, residente a Grosseto. Insegnante di pugilato negli anni Sessanta, il più giovane d’Italia, docenti ed esaminatori Natalino Rea e Armando Poggi. Procuratore di pugili professionisti, abilitato all’esercizio della professione da una commissione con Umberto Branchini e Gigi Proietti. Libraio titolare di libreria in un’altra vita. Giornalista professionista con la qualifica di inviato speciale al Mattino di Napoli e al Corriere dello sport-Stadio. Testimone dei più importanti eventi pugilistici in tutto il mondo dal 1965 al 2000. Autore di sedici libri, alcuni di argomento pugilistico. Premio Coni 2011. Vincitore quattro volte del Premio Selezione Bancarella Sport. Penna Coni-Ussi alla carriera nel 2016.   

Alessandro Ferrarini

Matchmaker a livello internazionale. Ha lavorato come giornalista di pugilato dal 1999 al 2005, scrivendo per Boxe Ring e per il sito americano Fightnews. Laureato in filosofia, si è inizialmente occupato di formazione aziendale. Ha successivamente insegnato filosofia e psicologia, per poi dedicarsi totalmente alla boxe. Ha guidato la carriera di molti pugili: tra gli altri, Paolo Vidoz dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti. Oggi lavora con le maggiori organizzazioni mondiali.

Davide Novelli

Nasce a Roma nel 1963. Nel 1981 inizia la carriera di giornalista presso l’Agenzia O.P.. Collabora con l’Agenzia Ansa e i quotidiani Avvenire, Il Mattino, Il Giornale di Brescia e Il Tempo per poi approdare alla Rai-Tv. Ha seguito e segue i grandi eventi dello sport, ha raccontato da inviato speciale cinque Olimpiadi e sei Mondiali di sci. Dal 2009 è il responsabile del pugilato per l’Ente di Stato. È stato il telecronista della boxe ai Giochi di Rio 2016, ha commentato campionati italiani, europei e mondiali a livello professionistico. Pratica il pugilato amatoriale nella palestra Fiermonte Boxe di Roma.  

Vittorio Parisi
Di professione direttore d'orchestra, ha cominciato fin da piccolo a interessarsi di pugilato, ma ne scrive dall'inizio del Secolo quando ha cominciato a collaborare con Boxe Ring per poi fondare il sito Nonsoloboxe, successivamente confluito in Boxeringweb per cui scrive articoli di cronaca e storici. Ha collaborato con Sportitalia come spalla tecnica e lo stesso ruolo ha ricoperto per Dahlia TV ai mondiali dilettanti AIBA a Milano nel 2009. Ha pubblicato tre libri presso la Bradipolibri, della cui collana di pugilato è responsabile: Gong, storia dei pesi medi e massimi, I re senza Corona e Fix!, dedicato ai rapporti fra mafia e pugilato . Ha fatto parte del Championship Panel di The Ring Magazine e attualmente è chairman del Transnational Boxing Rankings Board che si occupa della compilazione di classifiche indipendenti dalle sigle mondiali di pugilato.

Dario Torromeo
Firma storica del Corriere dello Sport, ha seguito da inviato speciale dieci Olimpiadi e più di 150 mondiali. Per due anni è stato telecronista per la boxe a Stream dove ha curato, assieme ad Antonio Creti, anche la rubrica settimanale Bordo Ring. Ha commentato per Italia 1 i Mondiali dilettanti di Milano 2009. Ha collaborato con Rete 4 e Sportitalia. Per due volte gli è stato assegnato l’Oscar del Pugilato, ha vinto il Premio Selezione Bancarella Sport con “Anche i pugili piangono” sulla vita di Sandro Mazzinghi; il Premio al Concorso Nazionale per il racconto sportivo; il secondo posto al Premio Coni per la narrativa con Dodici Giganti, storia dei pesi massimi; il premio Giorgio Tosatti, il Premio Nazionale Coni per costume e inchiesta, l’Italian Sportrait Awards 2017 Miglior Libro Sportivo dell’anno con “I miei Giochi”. Ha scritto quindici libri che hanno come tema il pugilato tra cui Meraviglioso, Monzon il professionista della violenza, Stanley Ketchel. Ha collaborato con Il Messaggero ed Epoca.

 

 2. continua

Tutti i campioni italiani nella storia olimpica e mondiale

di Dario Torromeo

L’Italia è una delle nazioni protagoniste nella storia della boxe mondiale. Ha vinto molto a livello assoluto nel dilettantismo. Quarta nel medagliere generale dei Giochi con quindici ori, sei titoli mondiali tra gli uomini, quattro tra le donne. 
Sono entrati nella nostra storia dilettantistica campioni come Carlo Orlandi, Franco De Piccoli, Roberto Cammarelle, Clemente Russo.
Hanno primeggiato sia da dilettanti che da professionisti atleti del calibro di Nino Benvenuti, Patrizio Oliva, Maurizio Stecca e Giovanni Parisi.
Trentasei gli italiani che hanno conquistato un titolo tra i pro', quattro le italiane. Per il settore femminile il discorso è semplice. 
Simona Galassi su tutte. Ha vinto tre mondiali prima di passare professionista, ne ha vinti due dopo. 
Per gli uomini il discorso è più complesso.
Provo a spigarlo con i numeri, prima però alcune precisazioni.
Chiunque salga sul ring merita rispetto, bisogna avere coraggio per farlo. Un applauso va a chi un titolo lo ha conquistato, ha comunque dimostrato di avere qualità. Detto questo, è indubbio che il peso dei mondiali sia diverso a seconda del contesto in cui sono stati vinti.
Fino al 1913 si combatteva divisi in otto categorie di peso e il campione era uno solo per categoria. Oggi siamo arrivati a diciassette categorie e ci sono quattro o cinque sigle maggiori che governano il panorama (Wbc, Wba, Ibf, Wbo, Ibo). In pratica si è passati da otto campioni ad almeno sessantotto titolari di un titolo.
Per questo credo sia opportuno parlare di campioni del mondo e campioni di sigla. Ci muoviamo in una giungla, bisogna avere il coraggio di rimanere nei confini dell'obiettività sportiva se si vuole avere credibilità.
Non è colpa dei pugili se oggi devono gestirsi in un mondo che fa fatica ad aver regole certe. 
In questo articolo faccio dei riferimenti storici.
Ho messo in fila l’escalation delle sigle che governano la boxe, l’aumento delle categorie. Ma ho anche, con piacere, indicato con nomi e brevi appunti statistici quegli/quelle italiani/e che sono riusciti/e a conquistare un titolo. Per farlo hanno messo assieme sacrificio, qualità, coraggio e costanza nella preparazione e nei sacrifici. Per questo meritano tutto il nostro rispetto.
La Boxing Hall of Fame Italia premierà i primi quattro campioni a fine ottobre, all’interno di una serata di gala che si terrà in Romagna. 
Seguiteci, noi di BoxeRingWEB siamo pronti.

cinture

IL PROFESSIONISMO

LE SIGLE MONDIALI

1913 IBU (International Boxing Union)
1920 
IBU, NYSAC (New York State Athletic Commission)

1921 IBU, NYSAC, NBA (National Boxing Association)
1962 World Boxing Assocation (WBA)
1963 WBA, World Boxing Council (WBC)
1983 WBA, WBC, International Boxing Federation (IBF)
1988 WBA, WBC, IBF, World Boxing Organization (WBO), International Boxing Organization (IBO)
1995 WBA, WBC, IBF, WBO, IBO, World Boxing Union (WBU)
OGGI WBA, WBC, IBF, WBO, IBO

carnera sharkey sharp1 530x317

CATEGORIE DI PESO FINO AL 1913

Mosca                  50,802 kg

Gallo                    53,525

Piuma                  57,153

Leggeri                61,235

Welter                  66,678

Medi                    72,574

Mediomassimi     79,378

Massimi               oltre i 79,378

zoff6 

CATEGORIE DI PESO OGGI

Paglia                  47,627 kg (primo mondiale 14 giugno 1987)

Minimosca           48,988 (primo mondiale 4 aprile 1975)

Mosca                  50,802 (primo mondiale 15 gennaio 1910)

Supermosca         52,163 (primo mondiale 2 febbraio 1980)

Gallo                    53,525 (primo mondiale 11 dicembre 1877)

Supergallo           55,225 (primo mondiale 3 aprile 1976)

Piuma                  57,153 (primo mondiale 23 marzo 1886)

Superpiuma         58,967 (primo mondiale 18 novembre 1921)

Leggeri                61,235 (primo mondiale 27 novembre 1877)

Superleggeri        63,503 (primo mondiale 30 gennaio 1923)

Welter                 66,678 (primo mondiale 2 giugno 1887)

Superwelter        69,850 (primo mondiale 17 ottobre 1962)

Medi                    72,574 (primo mondiale 7 gennaio 1873)

Supermedi          76,203 (primo mondiale 28 marzo 1984)

Mediomassimi    79,378 (primo mondiale 29 agosto 1899)

Massimi leggeri  90,892 (primo mondiale 8 dicembre 1999)

Massimi               oltre  90,892 (primo mondiale 29 ottobre 1877, primo mondiale con i guantoni 7 settembre 1892)

CAMPIONI DEL MONDO 

loi 

UOMINI

Primo Carnera
 


25 ottobre1906 / 29 giugno1967. 
Mondiale massimi NYSAC 1933-1934.
Record: 88-14-0 (71 ko).

Mario D’Agata

29 maggio 1926 / 4 aprile 2009.
Mondiale gallo 1956-1957. 
Record: 54-10-3 (22 ko).

Duilio Loi

19 aprile 1929 / 20 gennaio 2008.
Mondiale superleggeri 1960-1961.
Mondiale superleggeri Wba 1962. 
Record: 115-3-8 (26 ko)

M


Sandro Mazzinghi

3 ottobre 1938.
Mondiale Wba, Wbc superwelter 1963-1965.
Mondiale Wba, Wbc superwelter 1968.
Record: 64-3-0 (42 ko).

Tore Burruni

11 aprile 1933 / 30 marzo 2004.
Mondiale Wba, Wbc mosca 1965.
Record: 99-9-1 (33 ko).


Nino Benvenuti

26 aprile 1938.
Mondiale superwelter Wba, Wbc 1965-1966.
Mondiale medi Wba, Wbc 1967
Mondiale medi Wba, Wbc 1968-1970.
Record: 82-7-1 (35 ko).

Sandro Lopopolo

18 dicembre 1939 / 26 aprile 2014
Mondiale superleggeri Wba, Wbc 1966-1967
Record: 58-10-7 (20 ko).

arcari

Bruno Arcari

1 gennaio 1942.
Mondiale superleggeri Wbc 1970-1974.
Record: 70-2-1 (38 ko).

Carmelo Bossi

15 ottobre 1939 / 23 marzo 2014.

Mondiale Wba, Wbc superwelter 1970-1971.
Record: 40-8-3 (10 ko)

Franco Udella

25 febbraio 1947.
Mondiale Wbc minimosca 1975.
Record: 37-5-0 (18 ko).

Rocky Mattioli

20 settembre 1953.
Mondiale superwelter Wba, Wbc 1977-1979.
Record: 64-7-2 (51 ko).

Vito Antuofermo

9 febbraio 1953.
Mondiale medi Wbc 1979-1980.
Record: 50-7-2 (21 ko)

Loris Stecca

30 marzo 1960.
Mondiale Wba supergallo 1984.
Record: 55-2-2 (37 ko)

Patrizio Oliva

20 gennaio 1959.
Mondiale Wba superleggeri 1986-1987.
Record: 57-2-0 (20 ko).

Gianfranco Rosi

5 agosto 1957.
Mondiale Wbc superwelter 1987-1988.
Mondiale Ibf superwelter 1989-1994.
Record: 62-6-1 (18 ko).

sumbu kalambay campione mondiale dei pesi medi nella seconda meta degli anni 80 2045459

Sumbu Patrizio Kalambay

10 aprile 1956.

Mondiale medi Wba 1987-1989.
Record: 57-6-1 (33 ko).

Maurizio Stecca

9 marzo 1963.
Mondiale Wbo supergallo 1989.
Mondiale Wbo piuma 1991-1992.
Record: 49-4-0 (22 ko).

Francesco Damiani

4 ottobre 1958.
Mondiale massimi Wbo 1989-1991.
Record: 30-2-0 (24 ko).

Valerio Nati

11 aprile 1956.
Mondiale supergallo Wbo 1989-1990-
Record: 46-5-4 (28 ko).

Kamel Bou Ali

26 dicembre 1958.

Mondiale Wbo superpiuma 1989-1992.
Record: 45-5-3 (31 ko).

Massimiliano Duran

3 novembre 1963.
Mondiale Wbc massimi leggeri 1990-1991.
Record: 19-6-0 (8 ko).

Mauro Galvano

30 marzo 1964.
Mondiale Wbc supermedi 1990-1992.
Record: 30-8-2 (7 ko).

parisi

Giovanni Parisi

2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009.

Mondiale leggeri Wbo 1992-1994.
Mondiale superlegger Wbo 1996-1998.
Record: 41-5-1 (29 ko).

Silvio Branco

26 agosto 1966.
Mondiale medi Wbu 1996-1998.
Mondiale supermedi Wbu 2000.
Mondiale mediomassimi Wba 2003-2004.
Record: 63-11-3 (37 ko).

Vincenzo Nardiello

11 giugno 1966.
Mondiale supermedi Wbc 1996.
Record: 34-7-0 (19 ko).

Alessandro Duran

5 febbraio 1965.
Mondiale welter Wbu 1996-1997.
Mondiale welter Wbu 1997-1998.
Record: 51-12-0 (16 ko).

Luigi Castiglione

8 aprile 1967.
Mondiale supermosca Wbu 1997-1998.
Mondiale supermosca Wbu 1999.
Record: 22-4-0 (5 ko).

Michele Piccirillo

Michele Piccirillo

29 gennaio 1970.
Mondiale welter Wbu 1998-2000.
Mondiale welter Ibf 2002-2003
Record: 50-5-0 (29 ko).

Agostino Cardamone

1 dicembre 1965.
Mondiale Wbu medi 1998-1999.
Record: 33-3-0 (15 ko).

Vincenzo Cantatore

22 febbraio 1971.
Mondiale super cruiserweight Wbu 1998-1999. 
Record: 33-5-1 (27 ko).

Stefano Zoff

17 marzo 1966.
Mondiale leggeri Wba 1999.
Record: 43-12-3 (17 ko).

Antonio Perugino

30 settembre 1973.
Mondiale medi Wbu 1999-2000.
Record: 23-0 (8 ko).

Cristian Sanavia

27 febbraio 1975.

Mondiale supermedi Wbc 2004.
Record: 49-6-1 (15 ko).

Giacobbe Fragomeni

13 agosto 1969.
Mondiale massimi leggeri Wbc 2008-2009.
Record: 36-5-2 (14 ko).

Emiliano Marsili

11 agosto 1976
Mondiale leggeri Ibo 2012.
Record: 36-0-1 (14 ko)

Giovanni De Carolis

21 agosto 1984.
Mondiale supermedi Wba 2016.
Record: 26-9-1 (13 ko).

simona galassi 22 

DONNE

Stefania Bianchini

4 novembre 1970.
Mondiale mosca Wbc 2005-2008.
Record: 17-4-3 (2 ko).

Simona Galassi

27 giugno 1972.

Mondiale mosca Wbc 2008-2011.
Mondiale supermosca Ibf 2011-2012.
Record: 23-5-1 (4 ko).


Emanuela Pantani

19 aprile 1971.

Mondiale supergallo Wba 2008.
Record: 10-0 (2 ko).

Vissia Trovato

25 gennaio 1983.
Mondiale supergallo Ibo 2016.
Record: 11-1-0 (5 ko).

IL DILETTANTISMO

Orlandi 

OLIMPIADI

UOMINI

Carlo Orlandi

23 aprile 1910 / 29 luglio 1983
Oro pesi leggeri Amsterdam 1928

Vittorio Tamagnini

28 febbraio 1910 / 10 gennaio 1981

Oro pesi gallo Amsterdam 1928

Piero Toscani

28 luglio 1904 / 23 maggio 1940
Oro pesi medi Amsterdam 1928

Ulderigo Sergo

14 luglio 1913 / 20 febbraio 1967
Oro pesi gallo Berlino 1936

Ernesto Formenti

2 agosto 1927 / 5 ottobre 1989
Oro pesi piuma Londra 1948

Aureliano Bolognesi

15 novembre 1930 / 30 marzo 2018
Oro pesi leggeri Helsinki 1952

Nino Benvenuti medaglia doro alle Olimpiadi del 1960

Nino Benvenuti

26 aprile 1938
Oro pesi wleter Roma 1960
Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi

Franco De Piccoli

29 novembre 1937
Oro pesi massimi Roma 1960

Francesco Musso

22 agosto 1937
Oro pesi piuma Roma 1960

Fernando Atzori

1 giugno 1946
Oro pesi mosca Tokio 1964

Cosimo Pinto

14 marzo 1943
Oro pesi mediomassimi Tokio 1964

oliva

Patrizio Oliva

20 gennaio 1959
Oro pesi superleggeri Mosca 1980
Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi

Icio

Maurizio Stecca

19 marzo 1963
Oro pesi gallo Los Angeles 1984

Giovanni Parisi

2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009
Oro pesi piuma Seul 1988

cammarelle

Roberto Cammarelle

22 marzo 1980
Oro pesi supermassimi Pechino 2008

MEDAGLIERE OLIMPICO

Pos

Nazione

   O    A    B    T

1

 Stati Uniti d'America

54

25

38

113

2

 Cuba

37

19

17

73

3

 Regno Unito

18

14

24

56

4

 Italia

15

16

17

48

5

 Unione Sovietica

14

19

19

52

7

 Russia

10

6

15

31

6

 Ungheria

10

1

9

20

8

 Polonia

8

9

26

43

9

 Kazakistan

7

7

7

21

10

 Argentina

7

6

11

24

11

 Francia

6

9

10

25

12

 Sudafrica

6

4

9

19

13

 Germania Est

5

2

6

13

14

 Germania

4

7

9

20

15

 Bulgaria

4

5

9

18

16

 Thailandia

4

4

6

14

17

 Ucraina

4

3

7

14

18

 Uzbekistan

4

2

8

14

19

 Corea del Sud

3

7

10

20

20

 Canada

3

7

7

17

21

 Cina

3

3

6

12

22

 Jugoslavia

3

2

6

11

23

 Cecoslovacchia

3

1

2

6

24

 Irlanda

2

5

9

16

25

 Messico

2

3

7

12

26

 Corea del Nord

2

3

3

8

27

 Finlandia

2

0

13

15

28

 Giappone

2

0

3

5

29

 Romania

1

9

15

25

30

 Danimarca

1

4

5

10


* in corsivo le nazioni (o le squadre) non più esistenti. 

DONNE

Il pugilato femminile è stato ammesso ai Giochi nel 2012, a Londra.
L’Italia non ha conquistato medaglie né a Londra 2012, né a Rio de Janeiro 2016.

MEDAGLIERE OLIMPICO

INGHILTERRA                             2   0   0

STATI UNITI d’AMERICA             2   0   1

FRANCIA                                      1   1   0

IRLANDA                                      1   0   0

CINA                                             0   2  3

RUSSIA                                         0   2   1

OLANDA                                        0   1   0

KAZAKISTAN                                0   0   2

BRASILE                                       0   0   1

COLOMBIA                                   0   0   1

FINLANDIA                                  0   0   1

INDIA                                          0   0   1

TAGIKISTAN                                0   0   1

russo

MONDIALI

UOMINI

Tommaso Russo

31 agosto 1971

Oro pesi medi Mondiali Sydney 1991

Roberto Cammarelle

22 marzo 1980
Oro pesi supermassimi Mondiali Chicago 2007
Oro pesi supermassimi Mondiali Milano 2009

Clemente Russo

27 luglio 1982
Oro pesi massimi Mondiali Chicago 2007
Oro pesi massimi Mondiali Almaty 2013

Domenico Valentino

31 agosto 1971
Oro pesi leggeri Mondiali Milano 2009

mesiano

DONNE

Simona Galassi

27 giugno 1972
Oro pesi mosca Mondiali Scranton 2001
Oro pesi mosca Mondiali Antalya 2002
Oro pesi mosca Mondiali Podolsk 2005

Alessia Mesiano

7 dicembre 1991
Oro pesi piuma Mondiali Astana 2016

 

3. continua 

L'Italia ai Giochi Olimpici. Da Anversa 1920 a Roma 1960

Musso De Piccoli Benvenuti mtqal9wz5i2g1tkeqvojgak1r7pc4ab5zd4ogqmby8

 

di Gualtiero Becchetti

776 a.C. 
L’anno in cui le Olimpiadi ebbero inizio per poi dormire a lungo, prima che il barone francese Pierre de Coubertin, nel 1896, le ridestasse ad Atene, in Grecia, la la terra dove erano nate.  
Il pugilato, una delle colonne portanti dei sacri Giochi, dovette però attendere fino St.Louis (Usa) 1904 prima di essere riammesso. L’Italia salì per la prima volta sul ring olimpico ad Anversa 1920.

Garzena

ANVERSA 1920
Garzena, bronzo, prima medaglia azzurra

Era un altro mondo, quello; fatto di pionieri, di drappelli di atleti che da tante parti raggiungevano tra mille traversie e l’indifferenza di molti, la sede olimpica. 
Basti pensare che i sei pugili italiani partirono in treno in terza classe per il Belgio addirittura il giorno in cui i Giochi cominciavano. E arrivati là, s’accorsero di non essere stati iscritti! Solo con lo spirito d’improvvisazione del nostro popolo riuscirono a risolvere per “vie traverse” il problema e a portare, con il piuma milanese Edoardo Garzena (foto sopra), la prima medaglia all’Italia, seppure soltanto di bronzo e battendo il belga  Vinken e sconfitto al secondo turno da un assurdo verdetto contro il francese Fritsch.
Da allora, il pugilato italiano ha conquistato 15 ori, 16 argenti e 17 bronzi, per un totale di 48 medaglie; un “forziere” che lo pone al quarto posto tra le grandi potenze della Noble Art, dietro solo a Stati Uniti, Cuba e Gran Bretagna.

bernasconi

PARIGI 1924
L’Italia si ritira dal torneo

Nelle successive Olimpiadi di Parigi 1924, la nostra Nazionale fu addirittura ritirata per le nefandezze dei giudici nei riguardi soprattutto del gallo Domenico Bernasconi (foto sopra), futuro campione europeo a torso nudo e stella dei ring di mezzo mondo, e del massimo Bertazzolo.

tamagnini

AMSTERDAM 1928
Tamagnini, Orlandi e Toscani d’oro

Poi, finalmente nel 1928 ad Amsterdam, ecco le prime tre medaglie d’oro, un esaltante record eguagliato solo a Roma nel 1960 e impreziosito dal primo posto nella classifica per nazioni, a fianco del Sudafrica. 
Le conquistarono il diciottenne gallo civitavecchiese Vittorio Tamagnini (foto sopra) e il leggero milanese di Porta Romana, il sordomuto Carlo Orlandi, (entrambi destinati ad una luminosa carriera professionistica culminata con la cintura europea) e il medio mancino Piero Toscani, anch’egli milanese, il quale purtroppo scomparve presto dalle ribalte pugilistiche e dalla vita, ad appena trentasei anni d’età.

Rovati Luigi

LOS ANGELES 1932
Due argenti che hanno il profumo di una vittoria

Nei Giochi di Los Angeles 1932, l’Italia vinse 12 medaglie d’oro, 12 d’argento e 12 di bronzo e la boxe contribuì con i bronzi del piuma Alessandri e del leggero Mario Bianchini, entrambi di Roma, e con gli argenti (molto punitivi…) del mediomassimo piacentino Gino Rossi e del massimo di Cinisello Balsamo, Luigi Rovati (foto sopra). Ma di questi valorosi atleti non sono rimaste purtroppo profonde tracce.

Sergo

BERLINO 1936
Ulderigo Sergo è una delle star del torneo

Nelle grandiose Olimpiadi berlinesi del 1936, rese mitiche dalle imprese di Jesse Owens e dal celeberrimo documentario della regista Leni Riefenstahl, il mosca sassarese Gavino Matta fu scippato della vittoria contro il tedesco Kaiser e s’abbandonò ad un pianto disperato e il pubblico gli tributò un lungo applauso che voleva significare tutto. Appena quattro anni dopo, a Roma, venne sconfitto ai punti, per la corona europea dei professionisti, dal popolarissimo idolo di casa Enrico “Piripicchio” Urbinati. Ma Berlino riservò invece il trionfo dorato a Ulderigo Sergo (foto sopra), il gallo istriano di una Fiume allora italiana, giudicato come una delle star dell’intero torneo con la vittoria sullo statunitense Jackie Wilson. 
La vita di questo potenziale campione non fu però semplice, dal momento che l’avventura professionistica s’intrecciò con la guerra e ne mutilò gli orizzonti. Abbandonata per sempre la propria terra natale nel 1947, quando essa divenne jugoslava, arrivò da esule a Trieste e cominciò ad allenare nell’Accademia Pugilistica Triestina, dove fece in tempo a prendersi cura di un ragazzino che si chiamava Nino Benvenuti. 
Nel 1957 emigrò con la famiglia a Cleveland, negli Stati Uniti, dove si spense a soli 54 anni, con il rammarico di non avere più rivisto la sua amatissima Fiume.

Formenti 480x353

LONDRA 1948
È incredibile l'impresa di Ernesto Formenti

Nel 1948, dopo le tragedie belliche, le Olimpiadi ripresero vita a Londra. Sotto la guida di Steve Klaus e di Natalino Rea, incredibile fu l’impresa del piuma di Seregno, Ernesto Formenti (foto sopra). Era un ragazzo pallido ed esile. Aveva avuto anche problemi di salute nell’infanzia e tutto poteva sembrare, fuorché un pugile! Eppure, con l’intelligenza e con una tecnica sopraffina conquistò l’oro, dominando cinque rivali l’ultimo dei quali, il sudafricano Shepherd, sembrò uno scolaretto dinanzi al maestro. Passato professionista, il pugile lombardo non ebbe grande fortuna e pur perdendo pochi match, si ritirò dopo soli cinque anni essendosi reso conto, soprattutto di fronte a Duilio Loi che lo batté per ko, con in palio il titolo italiano, come la sua fragilità non fosse compatibile con una carriera a torso nudo di alto livello. 
Meravigliosa fu pure la medaglia d’argento conquistato dal mosca di Velletri, Spartaco Bandinelli, battuto in finale da uno dei più grandi pesi mosca della storia del pugilato dilettantistico e professionistico, l’argentino Pascual Perez, per sei anni campione del mondo a torso nudo. Spartaco pose fine appena tre anni dopo alla sua avventura esclusivamente dilettantistica, con l’incredibile record di 352 incontri, con sole 12 sconfitte.  
Anche il gallo cagliaritano Gianni Zuddas compì l’impresa di meritarsi l'argento, sconfitto discutibilmente dal magiaro Csik in finale; percorse poi una buona strada tra i professionisti, facendo propria la cintura tricolore e affrontando i tanti campionissimi dell’epoca. 
Da non dimenticare i bronzi del welter romano Alessandro D’Ottavio e del medio lucchese Ivano Fontana, che si arrese soltanto ad un formidabile mancino ungherese rimasto leggendario nella storia del pugilato europeo: Laszlo Papp, trionfatore delle altre due Olimpiadi successive ed europeo dei medi tra i professionisti.

bolognesi

HELSINKY 1952
Bolognesi, a sorpresa, sale sul podio più alto

Ad Helsinki, nel 1952, irruppe per la prima volta nella storia dei Giochi la “corazzata” Urss, lo squadrone russo che fu, sino alla fine dell’Unione Sovietica sancita ufficialmente alle ore 18 del giorno di Natale 1991, lo spauracchio di tutto il mondo. Gli azzurri arrivarono in Finlandia pieni di speranze, con atleti che si sarebbero fatti strada nel professionismo: il potente mosca cremonese Aristide Pozzali, il magnifico piuma di Civitacastellana Sergio Caprari, il grande welter-leggero spezzino Bruno Visintin, il welter-pesante di Pontedera Guido Mazzinghi. 
Ma in quel torneo, sul cui podio più alto dei medi salì lo statunitense Floyd Patterson, campione del mondo 1956/62 tra i professionisti nei massimi, e di nuovo Laszlo Papp tra i welter-pesanti, l’oro sorrise agli azzurri per merito del leggero genovese Aureliano Bolognesi (foto sopra), dotato di notevole velocità e ottima tecnica, che in finale sconfisse il polacco Antkiewitz. vincitore a Londra nel 1948. 
Era un pugile di valore, ma obiettivamente nessuno immaginava un risultato simile. Anche Caprari e Visintin portarono a casa rispettivamente l’argento e il bronzo per poi salire, a torso nudo, sul tetto d’Europa, ma le loro medaglie erano date quasi per “scontate”. Bolognesi divenne poi professionista, però fu un’avventura di appena due anni e senza lampi. 
Un incidente gli troncò le ali a 26 anni, ma gli mancò in ogni caso la “durezza” psico-fisica per rivivere i trionfi dilettantistici. Di lui, ancora oggi, si ricordano la signorilità e l’amore per la poesia, alla quale dedicò gran parte della lunga esistenza, dopo il precoce addio ai guantoni.

Franco Nenci

MELBOURNE 1956
Nenci e Bozzano danno ragione ai maestri

Assai tribolata fu la spedizione per i Giochi Olimpici di Melbourne, nel 1956. Provocò molte polemiche la decisione dei tecnici Klaus e Rea di portare in Australia il welter-pesante ivitavecchiese Franco Scisciani invece del giovanissimo Nino Benvenuti (saggia la scelta di farlo maturare!), il medio di Anzio Giulio Rinaldi invece del genovese Bruno Fortilli e degli ancora inesperti Franco Nenci (foto sopra) e Giacomo “Mino” Bozzano, rispettivamente welter-leggero di Livorno e massimo di Sestri Levante. 
Tra gli azzurri c’era anche il mosca di Alghero, Salvatore Burruni, destinato a diventare pluricampione europeo e del mondo tra i professionisti e uno dei “grandi” della storia del pugilato italiano. Fu eliminato al primo turno, a riconferma di come dilettantismo e professionismo diano spesso esiti diversi. Raggiunse l'argento l'inesperto Franco Nenci e Mino Bozzano si fermò solo al bronzo, cioè i meno accreditati della vigilia erano riusciti a salire sul podio.
Una volta tanto, i fatti dimostrarono che i selezionatori avevano visto giusto!

60

ROMA 1960
Benvenuti, De Piccoli, Musso d'oro. Un trionfo!

Ed ecco Roma 1960. Le Olimpiadi più belle! 
E non per patriottismo. 
Le ultime in cui i riflettori, i decibel, la grandiosità delle cerimonie d’apertura e di chiusura e lo sfarzo non offuscavano le imprese degli atleti. Le ultime in cui il Villaggio Olimpico non era ancora un impenetrabile lager dorato, ma una base da cui i ragazzi e le ragazze di ogni parte del mondo potevano sciamare liberamente per le strade della capitale. 
Le Olimpiadi di Cassius Clay e Livio Berruti, di Abebe Bikila e Sante Gaiardoni, di Armin Hary e Wilma Rudolph. 
Ma, per noi della boxe, le indimenticabili e forse irripetibili Olimpiadi del welter di Trieste Nino Benvenuti (oro, foto in alto. Da destra: Nino, De Piccoli e Musso), del massimo di Mestre Franco De Piccoli (oro), del piuma di Aqui Terme Franco Musso (oro), del welter-pesante di Milano Carmelo Bossi (argento, foto sopra. Da sinistra: Zamparini, Musso, Lopopolo, Benvenuti, Bossi, De Piccoli. I medagliati di Roma '60), del leggero di Milano Sandro Lopopolo (argento), del gallo di Fabriano Primo Zamparini (argento), del mediomassimo di Civitavecchia Giulio Saraudi (bronzo), del medio di Roma Luigi Napoleoni, del welter-leggero di Arezzo Piero Brandi e del mosca di Foggia Paolo Curcetti. 
Quelle in cui, con cinica competenza, Natalino Rea (aveva preso il posto di Steve Klaus) e il suo “secondo” Armando Poggi avevano fatto diminuire di peso Benvenuti e crescere Bossi perché, invertendo le categorie, Nino tra i welter avrebbe evitato lo spauracchio statunitense Wilbert McClure. 
Alla prova dei fatti, il formidabile squadrone azzurro, il più forte di tutti i tempi, non tradì le attese. E non fu semplice. Basti pensare che dopo una settimana gli italiani erano tutti in gara e i “peggiori” (si far per dire!), uscirono comunque a testa alta. Eppure la strada fu impervia. 
De Piccoli, con la sua “bomba” sinistra, eliminò tra gli altri, l’apparentemente imbattibile sovietico Abramov; Benvenuti ebbe la meglio sul francese Josselin (futuro europeo dei welter) e ill coreano Kim Ki Soo (che gli tolse da prof il mondiale dei superwelter a Seul nel 1966, per restituirlo a Sandro Mazzinghi nel feroce match di S.Siro, nel 1968); Bossi se la vide con il francese Diallo e l’uruguaiano Votta. Insomma, i nostri non salirono sul podio del PalaEur di Roma (i preliminari avevano avuto luogo nel palazzetto di v.le Tiziano) per caso, ma perché lo meritarono con il sudore e le sofferenze e Benvenuti ricevette persino la Coppa Val Barker, quale pugile più tecnico del torneo. 
Poi il domani riservò un futuro professionistico molto diverso a quegli indimenticabili ragazzi. Nino Benevenuti, Carmelo Bossi e Sandro Lopopolo vinsero tutto ciò che c’era da vincere, dal titolo tricolore, all’europeo, sino al mondiale; De Piccoli fu una rapida ma abbagliante meteora; Musso, Saraudi, Zamparini, Curcetti e Napoleoni non ebbero la fortuna che avrebbero meritato; Brandi raggiunse la cintura tricolore. Ma quel meraviglioso agosto romano di una vita fa e quegli eterni giovani con i guantoni alle mani arrampicati sulle vette d’Olimpia rimarranno impressi per sempre nella storia gloriosa del pugilato verde-bianco-rosso. 
A loro onore e per la nostra gioia.   

4. continua

L'Italia ai Giochi Olimpici da Tokyo 1964 a Rio de Janeiro 2016

Tokyo

di Andrea Bacci*

A Tokio 1964 non si è ancora spento l'eco dei grandiosi successi di Roma 1960. Si parte per il Giappone con una squadra fortissima che può ancora fare il pieno di vittorie e di medaglie.

atzori

TOKYO 1964
Doppio oro con Atzori e Pinto


Portiamo a casa due ori. Il primo con il piccolo sardo Fernando Atzori nei mosca (foto in alto con il maestro Natalino Rea e Cosimo Pinto, foto sopra con l'oro olimpico), con famosa foto del suo occhio tumefatto che fa il giro del mondo. Atzori in seguito sarà campione europeo da professionista. Il secondo successo arriva con il mediomassimo Cosimo Pinto, sconosciuto alla vigilia, che poi preferirà una serena carriera in banca ai pugni del pugilato. Medaglie di bronzo sono il welter Bertini, il medio Valle e il massimo Bepi Ros, nella cui categoria vince il formidabile americano Joe Frazier. Fa parte della spedizione il peso leggero Bruno Arcari, che però esce di scena per ferita al primo turno contro lo sconosciuto keniano Alex Oudnu. Arcari si rifarà ampiamente da professionista, vincerà il mondiale superleggeri e lo difenderà nove volte.

bambini

CITTA’ DEL MESSICO 1968
Bambini bronzo nei pesi massimi

Nel 1968 in Messico inizia il periodo di grande flessione della nostra boxe a livello olimpico. Ci scappa una sola medaglia, se la aggiudica il massimo Giorgio Bambini (foto sopra) che è bronzo. In semifinale cede senza troppa poesia a George Foreman, che vince l'oro e avrà poi una delle più incredibili carriere della storia del pugilato. Per molti anni la boxe italiana non ha nessuna medaglia olimpica con cui fregiarsi, da Monaco '72 a Montreal '76 sono edizioni grame di soddisfazioni.

oliva

MOSCA 1980
Trionfo di Oliva, oro e Coppa Val Barker

A Mosca 1980 si riprende con il botto: Patrizio Oliva (foto sopra), napoletano di Poggioreale, spinto sul ring dal fratello Mario, buon pugile dilettante, è un superleggero subito paragonato a Nino Benvenuti per il bello stile e la velocità di esecuzione, nonostante non possegga un pugno esattamente da ko. A Mosca si libera facilmente di quattro avversari e in finale trova il sovietico Konakbaev, che un anno prima lo ha battuto per l’europeo dilettanti con un verdetto ingiusto. Ma Oliva, non trema, supera l’avversario tanto da non lasciare dubbi a nessuno. Oltre alla medaglia d'oro gli viene attribuita anche la Coppa Val Barker come miglior pugile del torneo.

Icio

LOS ANGELES 1984
Maurizio Stecca guida un team magico

Nel 1984 parte per Los Angeles un vero e proprio squadrone: il peso gallo Maurizio Stecca (foto sopra), riminese fratello di quel Loris che arriverà anche al mondiale dei supergallo, il napoletano Salvatore Todisco, minimosca, il ravennate Francesco Damiani, supermassimo, due titoli europei e una vittoria nel mondiale ’82 contro Teofilo Stevenson prima di essere battuto da un verdetto scandaloso, il welter foggiano Luciano Bruno, il casertano Angelo Musone, peso massimo. 
Bruno pesca in semifinale il favoritissimo Mark Breland, cui viene pronosticata erroneamente una carriera da autentico fenomeno, rivelatasi invece non esaltante anche se alla fine conquisterà due volte il mondiale welter, ed è medaglia di bronzo. 
Musone è anch'esso bronzo fermato più dagli scandalosi cartellini dei giudici che dall'americano Tillman, che nelle qualificazioni americane aveva soffiato il posto a un sedicenne chiamato Mike Tyson. 
Todisco invece arriva in finale, ma segnato da un durissimo match contro l'africano Mwila ed è argento. Deve infati saltare l’ultima sfida per colpa di un polso fratturato. 
Va in finale anche Damiani, che non fatica più di tanto a battere il tanzaniano William Isangura e il britannico Bobby Wells, per poi trovare l’americano Tyrrell Biggs, lo stesso che gli ha portato via ingiustamente la vittoria nel Mondiale e dal quale ha perso qualche tempo prima. Damiani perde ed è argento, poi riuscirà a battere Biggs da professionista. 
Maurizio Stecca invece non suda nemmeno per superare quattro avversari e arrivare in finale, dove trova l’ostico messicano Lopez. Il match è equilibrato, anche se l’italiano si fa preferire per la sua velocità di esecuzione. Il risultato è 4-1, Maurizio è oro. 
Pensiero finale per Salvatore Todisco, scomparso in un incidente automobilistico alla vigilia delle nozze, mentre viaggiava per raggiungere uno stage dei quadri tecnici della Nazionale.

gpgp

SEOUL 1988
Parisi li stende tutti, Nardiello derubato

Nel 1988 a Seoul l’uomo di punta è il calabrese Giovanni Parisi, peso piuma, che su cinque incontri ne termina solamente due ai punti, e in finale batte per ko il romeno Dumitrescu, annientato dai terribili ganci dell’azzurro. In squadra c'è anche il romano Giovanni Nardiello che però paga gli sfacciati favoritismi che ottengono i pugili di casa: succede infatti che debba affrontare nei quarti il modesto Park Sin-Hun e lo domini facilmente per due riprese, amministrando il vantaggio nella terza. La vittoria dell’italiano è chiara come il sole, non per i giudici. Il match si rivela essere il peggior scandalo della nostra boxe olimpica. A Park Si-Hun viene addirittura regalata graziosamente la medaglia d'oro, dopo un match totalmente a favore dell'americano Roy Jones jr. A completare lo scandalo arriva l’assegnazione della Coppa Val Barker a Roy Jones. Nardiello farà una buona carriera professionistica, arrivando a conquistare il mondiale Wbc dei supermedi.

vidoz

SYDNEY 2000
Arriva il bronzo del gigante Vidoz

Dopo i Giochi in Corea, arriva una parziale involuzione del movimento azzurro, e pochissime soddisfazioni sia nel 1992 che nel 1996. Per rivedere un italiano sul podio olimpico bisogna arrivare a Sidney 2000 e al bronzo del friulano Paolo Vidoz (foto sopra, a sinistra) nei supermassimi. Vidoz, diventato famoso perché la madre non voleva facesse questa attività per non farsi male e per non farlo agli altri. Il goriziano in semifinale si inchina all'inglese Audley Harrison.

2004

ATENE 2004
Cammarelle sul podio nei supermassimi

La medaglia di Vidoz fa coppia con quella sempre di bronzo nella stessa categoria ad Atene 2004 di Roberto Cammarelle (foto sopra), fermato in semifinale dal russo Povetkin, mentre non va più in là dei quarti il gitano Michele Di Rocco, favorito alla vigilia nel superleggeri. Ma ormai la strada degli azzurri è ben segnata e per avere grandi soddisfazioni manca davvero pochissimo.

2008

PECHINO 2008
Cammarelle super, Russo argento, Picardi bronzo

A Pechino 2008 ci presentiano con addirittura tre campioni del mondo dilettanti in carica: Roberto Cammarelle (foto sopra, esultante dopo la finale olimpica), Domenico Valentino e Clemente Russo, ma attenzione perché il clima dei Giochi può fare qualche scherzetto: Valentino non entra in zona medaglia, lo fa invece il peso mosca Vincenzo Picardi che chiude con il bronzo. In finale vanno Cammarelle e Russo.
Roberto Cammarelle nei supermassimi ha di fronte il cinese Zhilei che potrebbe essere favorito dai giudici, l’azzurro decide di accelerare i tempi e l'incontro termina al terzo round con l'atleta di casa messo ko e l’oro che vola in Italia. 
Clemente Russo nei massimi fa un grande incontro con il russo Rachim Cakchiev, ma cede un pò nel finale, quel tanto che basta alla giuria per negargli la vittoria di stretta misura. Conquista l'argento, prima di avviare una fortunata carriera televisiva di pari passo a quella della boxe. 
Dopo questi risultati ci si aspetterebbe che, a partire da Cammarelle e Russo, questa grande nidiata abbia il naturale proseguimento nella boxe professionistica, invece la Federazione si coccola i suoi pupilli e azzera il ricambio.

2012

LONDRA 2012
Cammarelle solo argento, uno scandalo!

Nel 2012 a Londra la nostra boxe continua a puntare sui soliti noti, copertisi di gloria anche a livello mondiale ed europeo. La scelta paga: è vero che Valentino, oro mondiale 2009 in quel di Milano, esce ai quarti, ma nei superleggeri Vincenzo Mangiacapre è fermato solo dal cubano Iglesias in semifinale e vince il bronzo, mentre in finale vanno di nuovo Russo e Cammarelle (foto sopra, dopo lo scippo). 
Il campano conferma l'argento perché trova uno più forte di lui, il fenomenale ucraino Oleksandr Usyk, attuale detentore di tutte le cinture iridate nei massimi leggeri.
Il lombardo domina per due riprese Anthony Joshua, nel terzo e ultimo round cede leggermente. Accade però che nella ripresa finale il conteggio per il britannico sembri una mitragliatrice, che gli vengano assegnati pugni che nemmeno ci sono. Il match si chiude in parità (18-18) per numero di colpi validi. E già questo sarebbe assai discutibile. Si va al conteggio complessivo dei colpi andati a segno e Cammarelle è vittima di un verdetto a dir poco casalingo. Meritava l’oro, torna in Italia solo con l'argento. Joshua attualmente è considerato il miglior peso massimo al mondo, detiene i titoli Wba, Ibf, Wbo, Ibo.

2016

RIO DE JANEIRO 2016
Torniamo in Italia a mani vuote…

Nel 2016 a Rio de Janeiro, Valentino vorrebbe riprovarci ma non si qualifica, Cammarelle ha lasciato la boxe, c'è ancora Russo alla quarta Olimpiade, ma stavolta Clemente si ferma ai quarti per mano di Evgeny Tishchenko: il russo a cui verrà poi  regalato l'oro nella finale contro Vasily Levit, che lo aveva letteralmente dominato. Escono presto anche Mangiacapre e Carmine Tomassone, qualificatosi in un singolare torneo pre-olimpico che assegnava qualche posto ai professionisti. Tommasone perde negli ottavi ma a testa alta per mano del fenomeno cubano Iglesias, che andrà a vincere l'oro. Dal Brasile riportiamo più polemiche che vittorie, e il medagliere è per noi sconsolatamente vuoto.

L'Italia ai Giochi Olimpici. Da Anversa 1920 a Rjo de Janeiro 2016. 
2. fine (prima puntata pubblicata il 9 agosto)

Andrea Bacci scrive libri di sport da quasi vent'anni, con una decina di titoli di boxe, soprattutto biografie. I più noti sono "L'ultimo volo dell'Angelo biondo" sulla tragedia di Angelo Jacopucci, "Quell'ultima notte a Las Vegas" sul match Hagler vs Leonard, "Essere Mike Tyson", "Muhammad Ali storia di una rivoluzione", "Sei anni, sei mesi, dieci giorni" su Marvin Hagler, e i venticinque ritratti di "Prima del Limite".

5. continua

Loi, Arcari, Lopopolo. Quando i re del mondo erano italiani...

Copia di mondiali

 

di Vittorio Parisi

Un tramviere di Milano che blocca la sua vettura davanti a un bar e scende assieme a tutti i passeggeri per assistere a un match mondiale di Duilio Loi. Forse è solo una leggenda. L’importante non è che fosse vero, ma che fosse verosimile. E lo era.

Loi ortiz

DUILIO LOI (19 aprile 1929 / 20 gennaio 2008). Mondiale superleggeri 1960-1961. Mondiale superleggeri Wba 1962.  Record: 115-3-8 (26 ko). Nella foto, a destra, allo Stadio San Siro di Milano l'1 settembre 1960 batte (MD 15, 72-69, 72-72, 74-73) Carlos Ortiz e diventa campione del mondo dei superleggeri.


Vere erano invece le oltre sessantamila persone convenute allo stadio di San Siro per assistere alla rivincita fra Duilio Loi e un fuoriclasse come Carlos Ortiz, portoricano ben più giovane al quale Loi avrebbe tolto il titolo mondiale dei superleggeri, una categoria che fino ad allora appariva e scompariva come un fiume carsico dal panorama della boxe a fianco delle 8 categorie tradizionali. 
Da quei giorni sarebbe rimasta invece una presenza costante per la fortuna del nostro pugilato. Loi, figlio di un marinaio sardo, era nato a Trieste ma era diventato l’idolo pugilistico di Milano dove viveva. Era stato solo buon dilettante, aveva infatti bisogno delle lunghe distanze del professionismo per far brillare la sua boxe tecnica, veloce, avviluppante, difficile e sgradita dai suoi avversari, tutti prima o poi battuti dato che le sole 3 sconfitte Loi le vendicò tutte. 
L’America l’avrebbe voluto trattenere, ma Loi aveva capito quale sarebbe stato il prezzo da pagare. Scelse l’Italia e la famiglia. Gliela avrebbero fatta pagare nel primo match con Ortiz, battuto ma non per quei giudici, e ora a Milano era serata di rivincita. Ero troppo piccolo per vederlo combattere, ma all’epoca Loi era un simbolo non solo sportivo di una Italia che usciva dalla ricostruzione del dopoguerra, povera ma orgogliosa che camminava verso il boom economico. 
Era un piccolo grande italiano che ce l’aveva fatta. Aveva battuto tutti i suoi rivali casalinghi ed esteri, ma non era un personaggio alla Tiberio Mitri e sono convinto che l’esplosione di un Nino Benvenuti assai più personaggio di lui abbia finito per farlo dimenticare troppo in fretta ai più distratti. 
A Loi, l’uomo che era praticamente impossibile battere, non interessava molto e, finita la boxe sarebbe tranquillamente scivolato verso una vita tranquilla non fosse stato per una vicenda drammatica che non è giusto qui ricordare. Ma ai tempi delle sfide mondiali milanesi con Ortiz e Perkins, Loi era diventato un idolo. Avrebbe potuto continuare quando smise a 33 anni. Mi piace il modo scelto per uscire di scena, così come raccontò Giorgio Tosatti. Dopo la bella con Perkins che a Milano gli restituì il titolo mondiale, Loi chiese a Tosatti “Mi hanno regalato il verdetto, vero?”. Tosatti rispose affermativamente. Loi gli disse: “Scrivi che mi ritiro”. E mantenne la parola. Chapeau!

arcari

BRUNO ARCARI (1 gennaio 1942). Mondiale superleggeri Wbc 1970-1974. Record: 70-2-1 (38 ko). Nella foto, a sinistra, batte Pedro Adigue jr al Palazzo dello Sport di Roma (p. 15, 74-66, verdetto dell'arbitro) il 31 gennaio 1970 e diventa campione del mondo Wbc dei superleggeri.

Mi sono sempre chiesto chi sarebbe uscito con il braccio alzato fra i superleggeri Duilio Loi e Bruno Arcari, il laziale che tutti ricordano più come genovese per i lunghi ritiri alla corte di Rocco Agostino. 
Ho sempre avuto una grande ammirazione per questo pugile che è riuscito a salire sul gradino più alto nonostante l’estrema fragilità di sopracciglia che si tagliavano solo a guardarle e che gli costarono una Olimpiade. A quelle sopracciglia Arcari deve le due sole sconfitte di una carriera incredibile, in un periodo in cui non esisteva l’interruzione per decisione tecnica e se ti tagliavi, anche se per uno scontro di teste fortuito o malizioso non sanzionato con la squalifica, erano fatti tuoi, arrivavano medico e arbitro e perdevi il match senza tante storie. 
Arcari picchiava più del tecnico Loi, ma era soprattutto un combattente che ti portava troppo oltre il limite, uno che si beveva 15 riprese meglio degli altri e per di più era difficile come lo sono i mancini in genere. Impossibile, per chi le ha viste, dimenticare battaglie come quella di Vienna dove schiantò quell’Orsolics superprotetto idolo locale o quella di Roma che gli fruttò il titolo mondiale dopo un match terrificante contro il filippino Adigue. 
Arcari incassava le cannonate, ma era anche pugilisticamente bravissimo. Fece fatica contro uno stilista come il brasiliano Joao Henrique ma nella rivincita lo demolì in modo impressionante, passo dopo passo, al punto che il brasiliano mi fece pena. Purtroppo l’America lo vide solo una volta nel sottoclou del terzo Benvenuti-Griffith e laggiù non gli hanno dato il credito che meritava. D’altra parte già all’epoca il titolo mondiale era diviso in due fra WBA e WBC e portare Arcari nella tana dei lupi con quelle sopracciglia di carta velina era un rischio enorme, inoltre con un mancino così non c’era nessuna voglia di battersi. E non è certo colpa sua se, passato nei welter a fine carriera, persino un grande come Jose Napoles preferì evitarlo. 
Anche di lui ho un bel ricordo di fine carriera quando pareggiò, ma forse aveva vinto, contro l’astro nascente Rocky Mattioli. Quando all’ultima ripresa un esausto Arcari si difendeva dall’assalto del più giovane e fresco leone tutti i pugili presenti si assieparono al suo angolo come per dargli forza in segno di rispetto per un grande e serio atleta.

Lopopolo e Hernandez 563x353

SANDRO LOPOPOLO (18 dicembre 1939 / 26 aprile 2014). Mondiale superleggeri Wba, Wbc 1966-1967. Record: 58-10-7 (20 ko). Nella foto, a sinistra, batte Carlos Hernandez a Roma (MD 15, 69-69, 71-68, 70-67) il 29 aprile 1966 e diventa campione del mondo Qba, Wbc dei superleggeri.

Schiacciato fra questi due mostri sacri un terzo italiano fu campione del mondo dei superleggeri, Sandro Lopopolo, un milanese di origini pugliese che è stato medaglia d’argento alle Olimpiadi di Roma. Pugile definito cerebrale, sparagnino e poco spettacolare, Lopopolo era in realtà un eccellente tecnico bollato di codardia da chi non ha mai visto un ring neppure da lontano. Eppure fu lui ad avere il coraggio di salire sul ring contro uno dei più pericolosi picchiatori dell’epoca, il venezuelano Carlos “El Morocho” Hernandez che si accorse troppo tardi che quel ragazzo italiano gli stava sfilando il titolo mondiale. All’epoca tutti volevano un match fra Lopopolo ed Arcari ma l’incontro non si fece mai ed è inutile rivangare sui perché e i percome. Ma Lopopolo è stato un pugile sottovalutato e uno dei pochi, all’epoca, a diventare campione del mondo senza passare per il titolo europeo che allora era una tappa obbligata. In realtà avrebbe potuto diventare campione continentale dopo ma fu incredibilmente derubato in casa nostra dal francese Roger Zami, evento soprattutto all’epoca assai improbabile. 
Era a fine carriera Lopopolo quando diede una lezione di boxe al pompatissimo peso welter Roger Menetrey che vinse solo perché i match europei allora si disputavano sulle 15 riprese e il milanese non aveva più benzina. A me piace ricordarlo quando lo conobbi al Palalido di Milano dove arrivava accompagnando un altro grande, Carmelo Bossi, che era stato precocemente reso invalido da un ictus e che lui passava a prendere in macchina ogni volta. Avevo appena scritto un articolo su Bossi che questi aveva letto, Lopopolo mi presentò e Bossi che non poteva quasi parlare affidò il suo ringraziamento alle lacrime. Fu Lopopolo a togliere me e Bossi dall’imbarazzo della commozione con una battuta in stretto milanese. Si è campioni anche così.

6. continua

Carnera, eroe di tutti. Benvenuti e Mazzinghi, l'Italia divisa in due

 

 Prima

di Vittorio Parisi

Per molte generazioni Primo Carnera è stato un mito. Bastava essere grandi e grossi, o anche solo un bambino che voleva dare una dimostrazione di forza per essere definiti un “Carnera”. Di lui si sapeva che era stato il campione del mondo dei pesi massimi e che era stato il primo italiano a cogliere un titolo mondiale fra i professionisti, il resto era immaginazione. 
Il colosso, il massacratore, ma anche l’uomo più forte del mondo e il gigante buono. Solo chi era addentro alle cose sapeva che c’erano state molte controversie sulla carriera di Carnera, ma quest’uomo mite e buono era diventato, appunto, un mito, in un Italia povera che voleva farsi notare, e aveva scelto il modo peggiore, dal mondo intero. 
Una Nazione in cerca di un Impero rappresentata da un pugile che aveva conquistato il mondo solo perché quello era il suo lavoro, non altro. Un pugile e un uomo da scaricare appena le cose si fossero messe male come infatti inevitabilmente avvenne. Un uomo senza la dignità di Carnera e senza la sua forza, quella vera, interna, sarebbe annegato. Così non fu e quella America che gli era stata comunque matrigna l’avrebbe poi accolto e in qualche modo ricompensato.

carnera

PRIMO CARNERA (25 ottobre1906 / 29 giugno1967). Mondiale massimi 1933-1934. Record: 88-14-0 (71 ko). Il 29 giugno 1933 batte per ko 6 Jack Sharkey al Madison Square Garden Bowl nel Queens, New York, è conquista il mondiale dei pesi massimi.

Strano modo, penserete, di parlare di un campione del mondo. Il fatto è che Carnera non era il miglior pugile italiano di quegli anni, poteva esserlo un genio del ring come Locatelli, o uno dei fratelli Venturi, o il freddo Bosisio, o il focoso Jacovacci. Però è Carnera che ha messo ko Jack Sharkey togliendogli il titolo mondiale, e sarebbe ora di smetterla di sostenere che quel terribile montante destro non fosse “genuino”. 
E nessun altro peso massimo italiano ha davvero saputo ripetere ciò che il gigante di Sequals seppe fare negli anni in cui erano gli italiani ad emigrare per sfuggire alla povertà.

Copia di Nino

NINO BENVENUTI (26 aprile 1938). Mondiale superwelter Wba, Wbc 1965-1966. Mondiale medi Wba, Wbc 1967. Mondiale medi Wba, Wbc 1968-1970. Record: 82-7-1 (35 ko). Il 17 aprile 1967 batte ai punti in 15 Emile Griffith al Madison Square Garden di New York e conquista il mondiale medi Wba, Wbc.

Era molto diversa l’Italia in cui sono diventati grandi pugili Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi. Era l’Italia del boom economico, l’Italia motorizzata dalla Fiat in cui tutti o quasi avevano la 600 e i fortunati la Giulietta e la boxe viveva il suo momento d’oro. 

Medaglie olimpiche, campioni del mondo, campioni europei e i Palazzi dello Sport strapieni, i quotidiani sportivi con il pugilato spesso in prima pagina e ogni giorno comunque due pagine di notizie. Il sale dello sport, si sa, è la rivalità e se questa è casalinga meglio ancora. 
Nei 15 anni precedenti c’era stata quella epocale fra i ciclisti Gino Bartali e Fausto Coppi, specchio di due Italie diverse cresciute nei rigori del dopoguerra. Uno rappresentava l’anima cattolica, l’altro quella più di sinistra, uno era timorato di Dio, l’altro aveva sdoganato l’amante con grande scandalo. Che i due fossero poi, sotto sotto, amici, poco contava, bastava non farlo sapere. 
Amici Benvenuti e Mazzinghi non lo sono stati mai e non c’era bisogno di creare per loro ruoli diversi perché diversi lo erano già. 
Mazzinghi covava del risentimento perché era stato escluso dalla squadra azzurra a favore di Benvenuti e Carmelo Bossi prima delle Olimpiadi di Roma però era stato lui a diventare per primo campione del mondo fra i professionisti. E se Benvenuti era il giovane bello, chiacchierato, comunque protagonista, gli si costruiva una carriera a Roma, lui istriano con manager bolognese nella Roma della Dolce Vita.
Mazzinghi, toscano di campagna, era l’opposto e allora era gioco forza farlo combattere a Milano, in quella che era considerata la capitale morale e industriale, il motore economico del Paese. 
Anche sul ring i due erano diversissimi.

sandro

SANDRO MAZZINGHI (3 ottobre 1938). Mondiale Wba, Wbc superwelter 1963-1965. Mondiale Wba, Wbc superwelter 1968. Record: 64-3-0 (42 ko). Il 26 maggio 1968 batte Kim Soo Kim allo stadio San Siro di Milano e riconquista il mondiale superwelter Wba, Wbc.

Benvenuti era un tecnico incontrista con due armi letali da picchiatore nel gancio sinistro e nel montante destro. Mazzinghi un demolitore disposto a pagare qualsiasi prezzo pur di avvicinare l’avversario e stroncarlo nel tempo. Come in tutte le rivalità che si rispettino ci sono stati incontri professionistici fra Benvenuti e Mazzinghi, per l’esattezza due e sono stati una delle basi dell’amarezza del toscano che ha sempre pensato che Benvenuti fosse favorito dall’establishment. 
Il primo lo vinse Benvenuti per ko con un fulminante montante destro conquistando il titolo mondiale, il secondo sempre Benvenuti ai punti di stretta misura. Mazzinghi ritiene di essere stato costretto ad accettare il primo in un momento terribile della sua vita personale e di non aver affatto perso il secondo. 
Punti di vista naturalmente, ma ciò che più conta è che entrambi abbiano fatto la storia non solo del pugilato ma dell’intero sport italiano con una punta ciascuno di grandissima intensità e forza emotiva. 
La prima quando Benvenuti conquistò il titolo mondiale dei pesi medi al Madison Square Garden, allora unica mecca del pugilato, battendo ai punti e contro pronostico un fuoriclasse come Emile Griffith. I tifosi si attaccarono alla radio, perché il governo vietò la trasmissione via satellite perché gli italiani il giorno dopo dovevano lavorare. Il risultato fu che gli italiani interessati rimasero svegli lo stesso, rendendo mitico un incontro in realtà non bellissimo ma reso appunto tale dalla fantasia che solo la radio scatena.

CORDA PAVIA ex PUGILISponsor Hall Of Fame Italia


La seconda quando Mazzinghi riempì lo stadio San Siro a Milano per una battaglia contro il coreano Ki Soo Kim che gli riportò il titolo mondiale ma che lo costrinse a lasciare su quel ring tutto quello che gli era rimasto dentro. Dopo l’apice arriva il declino, più lento quello di Benvenuti concretatosi poi nelle disfatte contro un fuoriclasse come Monzon, affrontato quando Nino era ormai agli sgoccioli, più veloce quello di un Mazzinghi dalla boxe più dispendiosa. 
E, a riprova di due caratteri tanto diversi, Benvenuti sarebbe rimasto sempre sotto la luce dei riflettori mentre Mazzinghi, ritiratosi a vivere nella sua campagna, si è lasciato non certo dimenticare ma in un certo qual modo porre volontariamente in ombra. Ma un discorso su di loro sarebbe incompleto senza ricordare la bellissima riconciliazione alla vigilia degli 80 anni. Di gente come Sandro e Nino abbiamo un gran bisogno, sul ring e fuori.

7. continua

CORDA Cassius Pavia inserto

Oliva, Icio Stecca e Parisi, campioni sempre. Da dilettanti e da pro'

0

 

di Vittorio Parisi

Erano sedici anni che un italiano non vinceva una medaglia d’oro alle Olimpiadi, e  dodici una medaglia di qualsiasi metallo, quando Patrizio Oliva salì sul podio più alto all’Olimpiade di Mosca 1980, categoria pesi superleggeri. 
C’era stata apprensione prima del verdetto, la paura era che il 21enne pugile napoletano fosse derubato della vittoria come un anno prima era accaduto ai Campionati Europei per giunta contro lo stesso avversario, il sovietico Serik Konakbayev, che quindi combatteva in casa.

Per fortuna 4 giudici su 5 furono onesti e Oliva tornò in Italia con la medaglia più ambita e la Coppa Val Barker riservata al miglior pugile dell’intero torneo. C’erano grandi aspettative sul futuro di Oliva professionista, tutte mantenute. Oliva è stato campione italiano, campione d’Europa in due categorie, campione di sigla WBA che era il massimo che potesse ottenere.  

Ma purtroppo gli Italiani sono bravissimi a dare addosso a chi vince qualcosa. Di questa usanza, per andare nel campo del cinema, ne hanno fatte le spese nell’ordine premi Oscar come Fellini, Salvatores, Tornatore, Benigni, Sorrentino, tutti in qualche modo indicati come immeritevoli cretini da parte della critica.

sacco

PATRIZIO OLIVA (20 gennaio 1959). Mondiale Wba superleggeri 1986-1987. Record: 57-2-0 (20 ko). Il 15 marzo 1986 batte ai punti in 15 riprese Ubaldo Sacco a Montecarlo e conquista il mondiale Wba dei superleggeri.

Così Oliva passò per essere troppo cerebrale, niente affatto spettacolare, scambiando la disarmante bravura tecnica per un difetto di fronte a un campione che aveva problemi alle mani e che quando conquistò il titolo WBA di fronte all’argentino Ubaldo Sacco dovette tirare fuori tutte le riposte risorse per arrivare laddove prima di lui erano stati Loi, Lopopolo e Arcari.  

Tutto quello che successe dopo è ininfluente, Oliva era un fuoriclasse punto e basta. E sono convinto che il vero Oliva fosse meglio di quel Coggi che lo battè in 3 round e anche di Mc Girt, l’uomo che gli tolse la possibilità di conquistare fra i welter un secondo titolo di sigla quando ormai il tempo era scaduto.  Scaduto come pugile perché anche in seguito Oliva ha dimostrato di non essere uno normale diventando un grande allenatore, anche della Nazionale azzurra, e un uomo tutto d’un pezzo sia sportivamente che non, come si può anche apprendere dalle stesse pagine di boxeringweb. Avrebbe molto ancora da dare al pugilato italiano, se solo glielo consentissero.

Alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 la squadra italiana di pugilato era molto forte e avrebbe meritato di tornare a casa con due medaglie d’oro visto che Francesco Damiani aveva fatto meglio in finale dell’iperprotetto supermassimo statunitense Tyrell Biggs. Ci si dovette accontentare di una, conquistata fra i pesi gallo dal 21enne romagnolo Maurizio Stecca, fratello di quel Loris Stecca che era stato in quello stesso anno campione di sigla fra i supergallo professionisti per soli 3 mesi, vittima di un contratto capestro, di un ambiente impossibile, di Victor Callejas e della sfortuna.

Maurizio era molto diverso da Loris sia come carattere che come pugile, dotato di grande classe (non che Loris ne fosse sprovvisto…), tecnica e dedizione anche se, come Oliva, non era certo un picchiatore. Fu guidato con la solita saggezza dal grande manager Umberto Branchini che aveva instaurato ottimi rapporti con l’ultima sigla allora nata, la WBO. Fu per questa sigla che “Icio”, come era chiamato, divenne campione fra i pesi piuma battendo il dominicano Pedro Nolasco che aveva già eliminato in semifinale alle Olimpiadi, e saltando le tappe dei titoli italiano ed europeo.

icio

MAURIZIO STECCA (9 marzo 1963). Mondiale Wbo piuma 1989. Mondiale Wbo piuma 1991-1992. Record: 49-4-0 (22 ko). Il 28 gennaio 1989 a Milano batte per kot 6 Pedro Nolasco e conquista il mondiale Wbo dei piuma.

Erano anni, quelli, in cui quelle categorie pullulavano di fuoriclasse, come Louie Espinoza che gli tolse il titolo che in seguito Stecca ebbe il merito di riconquistare. E a suo merito va anche l’aver voluto conquistare, fra i superpiuma, quel titolo italiano che era l’unica gemma che mancava alla sua grande carriera che l’aveva visto anche campione europeo, sapendo poi dire basta al momento opportuno senza invecchiare sul ring. Anche Stecca ha continuato in veste di tecnico a onorare la maglia azzurra

Alle Olimpiadi di Seul del 1988, “infami” non solo ma soprattutto per il torneo di boxe, l’Italia conquistò un’altra medaglia d’oro con un altro ventunenne, il calabrese Giovanni Parisi.

In mezzo alle truffe più vergognose fu una medaglia pulitissima perché quel ragazzo vinse prima del limite sia la semifinale che la finale sfogando a suon di pugni la rabbia per i digiuni sopportati per combattere in una categoria non sua e il dolore per la recente perdita della mamma Carmela che l’aveva cresciuto praticamente da sola e il cui nome riluceva in un medaglione che da allora Parisi avrebbe sempre portato con sé sul ring.

Da professionista Giovanni Parisi è stato uno dei pugili più esaltanti che abbia visto per una combinazione di tre fattori difficile da trovare e cioè il carisma, la potenza (nonostante le mani non di ferro) e una certa fragilità. Anche lui è stato campione di sigla WBO e in due categorie, leggeri e superleggeri, anche se ammetto che mi fa un po’ impressione pensarlo tale in un periodo dominato da un fuoriclasse come era Julio Cesar Chavez, campione per altre sigle. E Parisi ha sfidato Chavez perdendo con onore e scontando nell’occasione l’abile trappola preparatagli da Don King, realizzatasi con un preavviso troppo ridotto per un match di quel livello.

giovanni

GIOVANNI PARISI (2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009). Mondiale leggeri Wbo 1992-1994. Mondiale superlegger Wbo 1996-1998. Record: 41-5-1 (29 ko). Il 25 settembre 1992 a Voghera batte per kot 1o Francisco Javier Altamirano e conquista il mondiale Wbo dei leggeri. Il 9 marzo 1996 a Milano batte Sammy Fuentes per kot 8 e conquista il mondiale Wbo dei superleggeri.

Il manager Salvatore Cherchi, cresciuto all’ombra di Branchini, lo sconsigliò di accettare ma Parisi ha sempre fatto di testa sua non ascoltando mai nessuno tranne se stesso, nel bene come nel male.  Ed era popolarissimo. Ricordo il Forum di Milano gremito per la terribile sfida del picchiatore messicano Carlos “Bolillo” Gonzalez nel 1996. Parisi fu atterrato due volte nel primo round ma rispose subito colpo su colpo e il pubblico fece a meno delle sedie per tutte le 12 riprese, intervalli compresi, tale era la tensione  che quel ragazzo sul ring comunicava.

Ricordo come subito dopo il drammatico primo round arrivò ancheggiando a bordo ring la soubrette Lory Del Santo, allora all’apice di una popolarità molto…fisica, ebbene al cospetto del dramma interpretato da Parisi non se la filò nessuno. A partire da quella sera non fu certo tutto oro nel suo declino ma il suo segno l’aveva già lasciato. Lo conobbi personalmente quando smise e mi invitò a pranzo per conoscere uno che si chiamava come lui e scriveva di boxe.

Mi chiese addirittura consiglio su una sua idea di particolare scuderia che nessuno ha più raccolto e poi ci rincontrammo pochi mesi dopo perché dovevamo girare assieme per le scuole lombarde in vista dei mondiali dilettanti AIBA di Milano 2009 di cui Giovanni era testimonial e che non fece in tempo a vedere.

Meno di un anno dopo ero a Los Angeles per una importante riunione e un giornalista di The Ring mi chiese notizie di quel ragazzo che lo aveva tanto impressionato nella vittoria americana contro Freddie Pendleton che in Italia chissà perché passò sotto silenzio.  Non voleva credere che Giovanni da quasi un anno non ci fosse più, vittima della sua passione per la velocità, lui che aveva fatto tutto di fretta guadagnandosi la stima e l’affetto dei più.

8. continua

Hall of Fame Italia il 27 ottobre a Castrocaro celebra quattro grandi campioni

Sabato 27 ottobre il Grand Hotel&Spa delle Terme di Castrocaro ospiterà la prima serata di gala della Boxing Hall of Fame Italia. Il sindaco Marianna Tonellato ha annunciato in conferenza stampa il patrocinio dell’evento da parte della città termale a pochi chilometri da Forlì. Erano presenti il direttore del Grand Hotel Terme Nicola Di Girolamo e l’assessore al turismo Liviana Zanetti. Castrocaro vanta tradizioni pugilistiche importanti, ha anche ospitato nel 1982 la difesa del titolo Europeo dei pesi gallo di Valerio Nati contro lo spagnolo Eguia.

Il sindaco Tonellato ha voluto sottolineare come l’iniziativa di BoxeRingWeb risulti essere un evento unico per il nostro Paese nella storia di questo sport e si è augurato un grande interesse sul territorio.

La Hall of Fame del Pugilato Italiano nasce dall’unità d’intenti di sette innamorati di boxe che si sono chiesti come onorare i grandi campioni. Hanno trovato una risposta in quello che accade da tempo in altre nazioni e da noi invece era assente.

Per aprire la Casa della Gloria, BoxeRingWeb (promotore dell’iniziativa) in unione con gli amici del comitato direttivo (Franco Esposito, Davide Novelli, Vittorio Parisi, Alessandro Ferrarini, Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Dario Torromeo) ha scelto quattro personaggi che nel panorama pugilistico italiano hanno fatto quello che nessun altro è stato in grado di fare.
Sono i soli che siano riusciti a vincere l’oro olimpico e il mondiale professionisti.

Per questo appuntamento inaugurale è stata dunque premiata l’unicità dell’impresa.

Il 27 ottobre saranno celebrati Nino Benvenuti, Patrizio Oliva, Maurizio Stecca e Giovanni Parisi.

Alcuni riferimenti statistici per riassumere quello che sono stati capaci di fare questi signori.

Nino Benvenuti (26 aprile 1938)
dilettante

Oro pesi welter Roma 1960

Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi
professionista
Mondiale superwelter Wba, Wbc 1965-1966.
Mondiale medi Wba, Wbc 1967
Mondiale medi Wba, Wbc 1968-1970.
Record: 82-7-1 (35 ko).

Patrizio Oliva (20 gennaio 1959)
dilettante

Oro pesi superleggeri Mosca 1980

Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi
professionista
Mondiale Wba superleggeri 1986-1987.
Record: 57-2-0 (20 ko).

Maurizio Stecca (19 marzo 1963)
dilettante
Oro pesi gallo Los Angeles 1984

Professionista
Mondiale Wbo piuma 1989.
Mondiale Wbo piuma 1991-1992.
Record: 49-4-0 (22 ko).

Giovanni Parisi (2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009)
dilettante

Oro pesi piuma Seul 1988
professionista
Mondiale leggeri Wbo 1992-1994.
Mondiale superleggeri Wbo 1996-1998.
Record: 41-5-1 (29 ko).

 

9. continua

Parisi, una rarità per la nostra boxe. Un tecnico con il pugno da ko

GP1

di Davide Novelli

A Livio Lucarno piaceva tanto quel ragazzino filiforme e taciturno. Gli piaceva perché ne aveva allenati tanti, ma nella moltitudine era il piccolo calabrese l’unico ad assimilare tutto alla prima voce. Era preciso nel portare i colpi, non ne sbagliava uno, tutti dritti nel centro delle zampe d’orso. E tutti girati. Quei colpi risuonavano secchi e potenti nella palestra di Voghera. Ben presto sarebbe diventato Flash, il supereroe del ring, con nelle mani il sapore del ferro.

Dopo l’Olimpiade, Parisi debutta da professionista nella natale Vibo Valentia contro il quasi coetaneo americano Kenny Brown. Vince per knockout al terzo round. È l’inizio di una cavalcata inarrestabile. Colleziona dodici vittorie consecutive, di cui nove prima del limite. Il tredicesimo match gli porta male. Subisce la prima sconfitta della carriera per mano del portoricano Antonio Rivera.

Il gancio sinistro del caraibico lo raggiunge al mento nella ripresa iniziale e per la prima volta Parisi finisce al tappeto. La prima, ma non l’ultima. Strana attitudine per un campione olimpico e mondiale quella dell’emozione che irrigidisce le gambe nei round iniziali. Lo si scopre per caso già nel 1988 a Seul, ma anche a Voghera, dove ormai si era trasferito con la madre, l’amata Carmela che gli aveva da subito insegnato a rispettare oltre che la vita anche il denaro, che quando si è poveri diventa una priorità assoluta.

montante

Giovanni riesce a curare l’emotività che lo rende fragile e gli procura una forte nausea in avvio di ogni match grazie alla trovata di Giuliano Ghisu, il fisioterapista, e del medico Mario Ireneo Sturla: mangiare un cracker prima di salire sul ring. La nausea svanisce, ma Parisi resta il pugile che deve carburare per almeno due riprese nelle quali basta che un pugno, anche di non grande violenza, lo centri per farlo finire al tappeto. Superato l’abbrivio però, per chi lo affronta iniziano i guai.

Parisi possiede una motricità eccezionale. È un pugile tecnico, con un repertorio completo. Mobile di gambe e di tronco. E soprattutto è velocissimo e possiede il pugno del kappao, una qualità abbastanza rara nel panorama nazionale. È in grado di atterrare qualsiasi avversario, sia con la mano destra che con la sinistra. Per un periodo della carriera deve fare affidamento solo a quest’ultima. La destra, fratturata più volte, è ridotta in brutte condizioni. Un’operazione a Lione e le capacità di Ghisu gli restituiscono la guarigione e con essa la possibilità di scalare i vertici mondiali.

Da campione italiano dei pesi leggeri affronta a Voghera il messicano Francisco Javier Altamirano per il vacante titolo mondiale Wbo. Finisce a terra in avvio, per la solita tensione emotiva, ma nessuno all’angolo ne fa un dramma. Giovanni va in crescendo e il destro secco che chiude il match entra nella cineteca di questo sport. Un colpo perfetto, fantastico.

koGP

Giovanni Parisi è campione del mondo. Arrivano i soldi e si aprono nuove strade. Difende la cintura contro l’abile inglese Michael Ayers e per l’occasione viene riaperto alla boxe il Palasport dell’Eur, il tempio pugilistico dell’Olimpiade di Roma. Altra difesa contro Rivera, l’unico che fino a quel momento era riuscito a superarlo. Batte molti dei migliori dell’epoca, compreso Freddie Pendleton in un match magistrale a Las Vegas, ma l’obiettivo principale, ambizioso e irresistibile, si chiama Julio Cesar Chavez: campione mondiale dei superleggeri per il Wbc.

Per Giovanni affrontare il messicano rappresenta l’apice della carriera. Don King gli propone il match nell’autunno inoltrato del 1993, quando JC è un fenomeno ancora imbattuto dopo novanta incontri, ma l’offerta arriva con un preavviso di soli quaranta giorni rispetto alla data del match. Giovanni giudica quel tempo insufficiente per prepararsi al meglio e rinuncia. È un errore. Chavez non è al massimo della concentrazione per problemi privati e qualche noia legale. Il miglior Parisi avrebbe potuto batterlo. Al suo posto il promoter americano sceglie Frankie Randall che nel gennaio del ‘94, contro il pronostico, vince di misura. Giovanni dovrà aspettare quasi due anni per salire sul ring contro Chavez, tornato subito re incontrastato. Ma quell’8 aprile 1995 quello che si vede sul ring del Caesar Palace di Las Vegas non è il miglior Parisi.

DS

Una lunga permanenza di ventidue giorni nell’albergo di Las Vegas, un arrivo fortemente anticipato da Don King, lo svuota delle energie che avevano fatto di lui un guerriero. Appare subito contratto, tanto da finire (come spesso gli accade) al tappeto su un jab dell’avversario nella seconda ripresa. Conclude i dodici round, ma perde nettamente ai punti.

Il ragazzo di Calabria si rimette in pista e il 9 marzo del ’96 conquista il titolo Wbo dei superleggeri contro Sammy Fuentes, messo kot all’ottavo round in quello che è stato uno dei migliori combattimenti di Parisi.

Difende la cintura cinque volte prima di cederla a Carlos Bolillo Gonzalez il 29 maggio del ’98.

Poi un finale di carriera fatto anche di scelte sbagliate, come i match che avrebbe dovuto evitare contro il portoricano Daniel Santos per il mondiale welter Wbo e l’europeo della stessa categoria con il francese Frederic Klose.

tit

Giovanni Parisi si ritira dopo quest’ultimo incontro con un record di 41 vittorie, 29 prima del limite, e 5 sconfitte di cui 3 per ko. Per la qualità spettacolare della boxe, per la velocità di esecuzione e la potenza dei colpi è certamente da annoverare tra i più grandi pugili italiani di sempre.

Muore a 41 anni in un incidente stradale a poche centinaia di metri dalla sua casa di Voghera, alle 8:30 della sera, lasciando la moglie Silvia e tre figli: Giovanni Carlos, Angel Sofia e Isabel Carmela.

Giovanni Parisi

(2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009)

Mondiale leggeri Wbo 1992-1994

Mondiale superlegger Wbo 1996-1998

Record: 41-5-1 (29 ko)

 

10. continua 

Flash Parisi illumina i Giochi di Seul. Accadeva trent'anni fa...

Seoul

di Dario Torromeo

Per vincere senza lasciare ai giudici la possibilità di cancellare i tuoi sogni, bisogna mettere knock out tutti gli avversari.

Uno dei nostri, un ragazzo di Calabria, pensa che l’impresa sia possibile.

Incontro Giovanni Parisi all’interno del Villaggio Olimpico.

Ci sediamo su una panchina, ci studiamo, senza scambiarci una parola cerchiamo di capire chi sia l’uomo che abbiamo davanti. Sembriamo due leoni che prendono tempo prima di decidere se attaccare, difendersi o fidarsi dell’altro. Poi, finalmente, cominciamo a parlare.

Sopra di noi il cielo cupo di Seul, trent'anni fa.

Giovanni ha i capelli ricci e un codino alla Camacho che ha già fatto discutere. Volevano farglielo tagliare, non ci sono riusciti.

Sul ring di solito indossa un accappatoio argentato, ma i dirigenti federali non hanno voluto che si presentasse così. È l’unica concessione che lui ha fatto al “sistema”.

È un ragazzo chiuso, solitario, timido. Solo sul ring riesce a liberarsi da qualsiasi condizionamento. Parla sottovoce, porta dentro l’anima grandi dolori. Il 10 maggio, appena quattro mesi fa, è morta mamma Carmela.

Lui è qui per dedicarle l’oro.

Viveva a Voghera con lei, la sorella Giulia e il fratello Sarino, da quando aveva un anno. Da quando i genitori si erano separati.

Un banale incidente ha rischiato di rovinargli il sogno olimpico.

Si è fratturato il secondo metacarpo della mano sinistra, un’operazione sbagliata ha reso più complicata la situazione.

È accaduto a novembre. Da allora ha combattuto poco.

Un torneo in Grecia, gli Europei a Torino.

Gio

Affronta i Giochi da peso piuma. Una categoria che non è la sua e lo costringe a una dieta pazzesca, assai vicina al digiuno.

«Serietà, volontà, capacità di sacrificio e determinazione. Ecco i segreti di Parisi» l’analisi è del coach Franco Falcinelli.

Giovanni annuisce con la testa. Chiudo il blocco, metto a posto la penna.

Andiamo tutti assieme allo stadio a vedere Francesco Panetta.

Va male.

La speranza è che Parisi possa consolarci.

Un lampo.

Il gancio sinistro scatta velocissimo, non a caso il soprannome del nostro eroe è Flash, e chiude la corsa sulla mascella di Dumitrescu. Il rumeno crolla al tappeto. Giovanni pensa possa rialzarsi, ma spera che non lo faccia.

Per il suo bene. Mi farà questa confessione a match concluso, indossando uno sguardo da duro che raramente gli ho visto.

Dumitrescu si rialza, barcolla sulle gambe.

È finita.

Sono passati centouno secondi dal primo gong. Giovanni Parisi è campione olimpico.

esulta

Fa un salto mortale per festeggiare, poi corre verso l’angolo e abbraccia Falcinelli, Petriccioli, tutti i compagni rimasti a Seul. Piange, non riesce a smettere. Non parla, quando lo fa le frasi gli escono a fatica, interrotte da singhiozzi che scuotono il torace.

«Ho realizzato il mio sogno, che non era vincere l’oro, ma prenderlo per dedicarlo a mamma. La medaglia è sua».

Entro nello spogliatoio. C’è ressa. Parliamo velocemente, lo reclamano in conferenza stampa. L’addetto coreano gli versa un bicchiere d’acqua. Il dottor Rondoni, medico al seguito della nazionale, urla.

«Non bere niente se non te lo diamo noi».

Parisi obbedisce. Deve ancora fare l’antidoping.

È stata una lunga giornata cominciata con una sveglia appena dopo l’alba.

Alle 6:30 è già al peso.

Poi un piatto di rigatoni con olio di oliva e parmigiano, due tuorli d’uovo, marmellata e un bicchiere d’acqua.

A letto e alle 9 eccolo allo stadio.

Alle 10:20 sale sul ring, dopo meno di due minuti è già tutto finito.

Ha la medaglia d’oro al collo. L’ha sognata tante volte, mi dice: «Ma sempre da sveglio, sapevo che era un sogno che si sarebbe realizzato».

primo piano

Ancora una vittoria della volontà, della capacità di sacrificarsi.

Anche il Mahatma Gandhi ne era convinto.

«La forza non deriva dalle capacità fisiche, ma da una volontà indomita».

Giovanni Parisi ci ha dato una lezione.

Quando si crede che un sogno possa realizzarsi bisogna andare fino in fondo.

Anche se questo vuol dire fidanzarsi con il digiuno, correre in pista mentre gli altri vanno a tavola, avere la bilancia come incubo.

E poi, la rabbia di vincere. È indispensabile sentirla sempre viva, un folletto che si insinua nella tua anima e ti spinge ad andare avanti.

Una vita difficile, la sofferenza di una famiglia divisa quando era ancora un bambino. L’infanzia senza il padre, il trasferimento in un’altra città. Il dolore straziante della morte della mamma.

C’è anche questo dietro il successo di un campione.

Se lo dovrebbero imprimere bene nella testa i signori della boxe.

podio

«Qui in Corea i pugili sono dilettanti, ma i giudici sono ladri professionisti» commenta il grande Rino Tommasi.

Al Palazzetto di Seul ho visto cose che voi umani non potreste neppure immaginare.

Sono rimasto disgustato, avvilito.

Il pugilato è sport di sacrificio e non merita di finire nelle mani di chi non ha neppure il pudore di porre un limite alla vergogna.

Sì, e quanti anni la gente deve vivere

Prima che possa essere finalmente libera?

Sì, e quante volte un uomo può voltare la testa

Fingendo di non vedere?

La risposta, amico, sta soffiando nel vento

TV

Bob Dylan in “Blowin’ in the wind” si pone grandi interrogativi.

I signori che dicono sempre sì e spezzano i sogni non si fanno domande.

Loro obbediscono in silenzio.

Giovanni Parisi 

(2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009)

Oro pesi piuma Seul 1988

11. continua

Maurizio “Icio" Stecca porta la Romagna sul tetto del mondo

nolasco

di Flavio Dell’Amore

Maurizio Stecca  nasce a Santarcangelo di Romagna nel marzo del 1993.
Dopo la splendida  vittoria alle Olimpiadi di Los Angeles e i complimenti  di Muhammed Ali, Hagler, Hearns e Ken Norton,Icio torna nella sua Rimini che lo aspetta per fargli festa. 
Mille impegni e riconoscimenti e il matrimonio con Roberta lo consegnano al mondo delle celebrità, ma è tempo di passare al professionismo.
L’evento  nasce adombrato da  una spiacevole  querelle  per aggiudicarsi la sua procura. Il maestro Elio Ghelfi gli aveva consigliato tempo addietro di firmare un impegno con Rocco  Agostino, ma  Branchini  vuole assolutamente il giovane campione e scende a Rimini per convincerlo a entrare nel suo team. 
Dopo polemiche e fiumi d’inchiostro si trova un accordo economico con Agostino che porta Stecca definitivamente nella sfera d’azione dei Branchini.

posa

Esordio a torso nudo il primo dicembre 1984 a Milano e vittoria contro Francis Aparicio per kot al terzo round, al limite dei pesi piuma. Umberto Branchini guida con perizia il campione olimpico  e match di routine si alternano con  test probanti e impegnativi come quello con Nourredine e con Ben Rejeb. 
Nel 1987 interessante esperienza a New York  dove Stecca batte il quotato Cleo Garcia al  mitico Madison Square Garden. La stampa non è però soddisfatta dei risultati di Stecca che al terzo anno da professionista non ha ancora conquistato titoli, i giornali non risparmiano critiche a Branchini. Umberto, che guida la Colonia Totip con molta scaltrezza, cerca  spazio ai vertici  mondiali  e  assiste interessato ad una scissione al comando della Wba.
Alcuni membri del glorioso Ente si staccanto dall’Associazione e fondano una nuova sigla: la World Boxing Organization (WBO). Branchini non si lascia sfuggire questa nuova opportunità di lavoro e in pochi mesi procura occasioni iridate a Lupino, Nati,  Damiani e Kamel Bou Ali. Oltre che, ovviamente, a Stecca.
A Milano a fine gennaio 1989 Maurizio si batte per il mondiale WBO. Avversario per il titolo dei piuma quel Pedro Nolasco già affrontato  sul ring di Los Angeles in semifinale.  
Stecca vince travolgendo Nolasco sotto una montagna di colpi in soli sei round. La prima difesa del titolo contro  il venezuelano  Mayor è  facile, ma  non riscuote abbastanza interesse dalla stampa che invece dedica spazio all’ingresso in campo pugilistico del  Gruppo televisivo Fininvest. La boxe nazionale  grazie a questo prezioso alleato raccoglie grande attenzione e Branchini naturalmente ne beneficia. Spinto anche dalla critica, il decano Umberto cede e d’accordo con Elio  Ghelfi sceglie di  opporre “Icio” a un elemento di rango assoluto. Si retiene che Lou Espinoza sia il più adatto alle caratteristiche tecniche del campione olimpico e l’11 novembre del 1989  Rimini  è pronta ad applaudire Icio. 
Ma il guerriero di Phoenix è un terribile bombardiere e demolisce Maurizio round dopo round, fino a quando al sesto assalto con un destro alla milza mette in ginocchio Stecca e gli toglie il titolo.

Stecca Maurizio 2 con Ghelfi

Si riparte da zero con più consapevolezza e meno illusioni. Quattro match vinti nel 1990 contro comprimari e nel gennaio del 1991 un nuovo tentativo  per il vacante Wbo contro Armando Reyes a Sassari.  
Il match non è piacevole per l’ostica boxe  del  giovane dominicano,  ma Stecca  indovina una splendida combinazione al quinto tempo e torna campione. Alla fine della primavera Umberto Branchini decide di ritirarsi per motivi di salute  ed Elio Ghelfi  assume la guida totale di Icio.  

benichou

A  giugno e settembre del 1991 due difese tranquille contro Ramos e Driscoll. All’inizio della successiva stagione viene accettata una sfida ben remunerata, che arriva da Londra, contro Colin McMillan. Forse per la prima volta in carriera Stecca si trova davanti un avversario più veloce di lui. Il riminese lotta con grinta e ha sprazzi  di classe, ma il verdetto e il titolo rimangono in Inghilterra.
I media sono feroci con “Icio” a cui predicono un fine carriera ormai vicino, ma  il riminese ha ancora frecce importanti nella sua faretra.
Nel dicembre del 1992 va a conquistare in terra di Francia  il titolo europeo contro Fabrice Benichou. In apertura di match Stecca va al tappeto. Poi, con il passare dei round il suo jab sinistro scatta come ai bei tempi e applausi e verdetto sono per lui.
Il 1993 risulta la stagione più bizzarra della carriera. Perde il titolo europeo in France contro Hervè Jacob in marzo per intervento medico, ma lo riconquista in maggio a Dunquerque sempre contro Jacob. Il match è illuminato da un superbo uno-due di Icio che  stende il francese al decimo round. Ma con la Francia  il discorso non è finito. A settembre  Haccoun lo batte al nono tempo, complice una ferita. 

Stecca Maurizio3 allungo

Volge  alla fine la  fantastica storia di Maurizio Stecca, ma non prima dell’ultimo colpo! 
Nel 1995 torna sul ring per conquistare il titolo italiano dei superpiuma contro Menegola: mancava proprio la corona nazionale nel palmares di un campione che ha vinto tutto.
Nel 1997 entra, chiamato da Franco Falcinelli, nel team azzurro come tecnico. Con il passare degli anni diventerà responsabile del settore Giovanile, nel 2009  otterrà la qualifica di maestro e Tecnico Aiba tre stelle. 
Il prossimo sogno è un posto per Tokyo 2020.

Maurizio Stecca

(9 marzo 1963)
Mondiale Wbo supergallo 1989.
Mondiale Wbo piuma 1991-1992.
Record: 49-4-0 (22 ko).

 

12. continua

Los Angeles '84, Icio Stecca vince l'oro. Ali e Jack Nicholson lo applaudono

1

di Dario Torromeo

Mi sembra di avere guidato da sempre questa vecchia Ford Escort verde dei primi anni Settanta e invece l’ho presa in affitto meno di una settimana fa. Prezzo buono, macchina comoda. Procedo lentamente lungo le larghe strade di una città che non ha certo problemi di spazio. Cerco di rispettare i limiti di velocità, qui con le multe non scherzano.

“La gente balla per la strada
guarda il ritmo nei loro piedi
la vita é bella, dolce e selvaggia
lascia suonare la musica
sentila nel cuore e sentila nell’anima
lascia che la musica prenda il controllo”.

Dall’autoradio esce la voce di Lionel Richie che canta “All night long”.

Mi fermo nel parcheggio dell’albergo.

Incrocio un anziano collega da giorni a disagio nella frenetica atmosfera californiana.

«Ciao, stasera ceniamo assieme?»

«Volentieri, dove ci vediamo?»

«Su Sunset Boulevard».

Rido.

L’indicazione è precisa se non fosse per il fatto che il Viale del Tramonto va avanti per trentacinque chilometri di strada. 
Mi ricorda un vecchio episodio raccontato da mia madre.
Era andata in visita ai parenti nel paese dove era nato papà.

Un’anziana signora l’aveva avvicinata e aveva posto con molta educazione una domanda.

«Ciao, è vero che sei di Roma?»

«Sì, perché?»

«Puoi salutarmi Maria?»

“Vado all’America” dicevano i nostri nonni. Ne è passato di tempo, ma per alcuni di noi questo mondo resta sempre un po’ misterioso.

match

Tre giorni dopo sono sulla spiaggia di Santa Monica. È arrivato il momento di festeggiare l’exploit del pugilato italiano ai Giochi.

Al mio fianco c’è Maurizio Stecca detto Icio.

È campione olimpico e ha la medaglia d’oro al collo.

Ha vinto il titolo nei pesi gallo, è un pugile di talento.

È un fiume in piena, non si ferma un attimo. Parla, racconta, spiega, illustra. La calata romagnola trasforma in musica tutte quelle parole.

È un talento eccezionale. Ha velocità di esecuzione, mobilità di gambe, scelta di tempo, precisione. È un po’ gracile, ma prenderlo è così difficile che quel difettuccio scompare tra mille pregi.

Ha i capelli tagliati corti, davvero corti. Sembrano quelli di Nino Benvenuti ai Giochi di Roma 1960. Stecca è nato tre anni dopo quell’Olimpiade, in California è salito anche lui sul gradino più alto.

«Dario, ho deciso come sbarcherò a Rimini».

«Icio, quando fai così mi spaventi. Come intendi presentarti a casa?»

«Come John Wayne».

«Cioè?»

«Divisa dell’Italia, cappello da cowboy e sulla spalla una sella da monta». I cavalli sono una delle sue tante passioni.

Corsera

Ha già fatto razzia di magliette, le più strane fabbricate a LA le ha in valigia. Dentro ci sono anche jeans, le mascotte dei Giochi e mille altre cose ancora. Spera che all’imbarco per l’Italia non gli facciano pagare un extra per il peso.

Mentre camminiamo sulla spiaggia vedo a pochi metri dal mare una coppia che si dà da fare. La Luna è alta nel cielo e illumina il bagnasciuga. Loro ci danno dentro senza pudore.

Eppure, mi sembra…

Ma no.

E invece sì.

Lui ha proprio qualcosa di familiare. Quando li sorpassiamo non posso fare a meno di sorridere.

Icio mi guarda sorpreso.

una spiaggia di malibu maxw 1280

Il tizio impegnato in una seduta all’aperto di sesso senza freni è un giornalista, uno che conosco bene. E fin qui tutto normale. Il fatto è che quel collega è lo stesso con cui ho avuto un curioso scambio di battute in mattinata.
Eravamo al centro stampa, io tornavo da un’intervista e lui arrivava al lavoro solo in quel momento. Mezzogiorno era passato da qualche minuto.
«Ciao, Dario».
«Ciao, cosa ti è successo?» 
La domanda mi era uscita spontanea.
Aveva la faccia stanca, i capelli spettinati, gli occhi lucidi con sotto due borse così grandi che avrebbe potuto metterci dentro la macchina da scrivere.
«Non ce la faccio più» mi aveva risposto con aria sconsolata.
«Racconta» avevo sussurrato con aria complice.
«Lo sai, la California costa, il viaggio ha un prezzo esorbitante, gli alberghi sono cari. Per convincere il giornale a mandarmi ho detto che a vitto e alloggio avrei provveduto io».
«E allora?»
«Allora quando sono arrivato qui ho cominciato a darmi da fare perché a provvedere fosse qualcun altro».
«E hai trovato questo incauto benefattore?»
«Certo. Una signora ancora giovane. Avrà una trentina d’anni».
«Bene, ma…»
«Lei mi ospita in una villa sul mare a Santa Monica. Dormo lì e la mattina mi fa trovare la colazione, ogni sera prepara la cena. Ma vuole fare l’amore tutte le notti».
«Non mi sembra poi un peso così grave da sopportare. Ti poteva andare peggio».
«Non ti ho ancora detto che la signora è veramente brutta. Ma io per rispettare l’accordo e non farmi cacciare di casa, ogni sera devo fare sesso. Ho problemi seri, non mi piace proprio. Ho trovato un’unica soluzione possibile. Lei ha un bar molto fornito. Quando arrivo in villa bevo, mi scolo mezza bottiglia di whisky, bourbon o qualsiasi altra cosa in grado di stordirmi. Così, quando faccio il mio dovere di macho in affitto, non so neppure dove mi trovi, figurati se posso capire se sto facendo l’amore con lei o con una diva del porno. Solo che poi la notte fatico a dormire e la mattina sono stanco morto. Che ne pensi?»
«Penso che forse sarebbe meglio se ti pagassi un albergo. Non sono io a dirtelo, ma il tuo fegato e il tuo cuore a chiedertelo in ginocchio».

pianto

Continuo la passeggiata con Maurizio.

Prima di entrare nella sala del ristorante, Icio chiede al gestore il permesso di fare qualche telefonata in Italia.

«Pagherò dopo».

A uno che si presenta con l’oro olimpico al collo non si può dire di no.

Maurizio sveglia mezza Rimini. Laggiù non sono ancora le sette del mattino. Servono quindici squilli prima che Loris venga a rispondere. È il fratello e ha perso un paio di mesi fa il Mondiale professionisti a Portorico contro Victor Callejas. Sta cercando di smaltire rabbia e cattivi pensieri con lunghe dormite. È contento per l’oro, un’altra puntata nell’epopea degli Stecca è stata appena scritta.

Entriamo nel ristorante.

38081688 729209750775383 5990530666888953856 n

Mentre mangiamo, Icio tocca continuamente la medaglia.

«Meglio quella o gli assegni circolari che sono in arrivo?» gli fa Giovanni Branchini, figlio di Umberto e manager di boxe anche lui.

«I soldi mi piacciono, ma adesso questa conta più di tutto» risponde Maurizio.

Ha vinto un bel torneo, ha combattuto tutti i match ad alto livello. Ha messo via quattro rivali, tutti sconfitti con giudizio unanime: l’irlandese Sutcliffe, Zulu dello Zambia, il colombiano Pitalua e l’ostacolo più complicato. Il dominicano Pedro Nolasco.

Ho ancora negli occhi la finale contro il diciassettenne messicano Hector Lopez. Gli americani si sono entusiasmati, parole di elogio gli sono arrivate anche dal telecronista Howard Cosell, uno dei più odiati giornalisti del mondo.

«Arrogante, presuntuoso, antipatico, vanitoso, crudele, verboso, esibizionista. Sono stato chiamato in tutti questi modi. Hanno ragione, sono proprio così».

Cosell ha detto di Stecca: «He’s a very, very strong fighter». È un pugile davvero davvero forte. Poi si è sbilanciato ancora di più. «Il suo gancio sinistro mi ricorda quello di Alexis Arguello». 
Boom!

Icio era proprio piaciuto a Cosell.

podio

La Memorial Sport Arena era piena di grandi personaggi. C’era anche Muhammad Ali. E poi Tom Bradley, sindaco di Los Angeles. L’attore Jack Nicholson con quell’inquietante sorriso a mezza via tra “Shining” e “Qualcuno volò sul nido del cuculo”.

Si sono tutti innamorati di Stecca.

La boxe di Icio era uno spettacolo. Portava colpi da manuale, lo faceva con incredibile ritmo, costanza, velocità. L’altro reagiva, si difendeva, tirava pugni pesanti. Una degna finale olimpica.

Questo aveva fatto Maurizio.

Questo stiamo festeggiando in un ristorante in cui non si mangia male, ma neppure benissimo. Ma a nessuno di noi importa molto.

Mi faccio una fotografia con tutte le medaglie azzurre al collo: l’oro di Icio, l’argento di Francesco Damiani e Salvatore Todisco, il bronzo di Angelo Musone e Luciano Bruno.

Mentre siamo tutti un po’ bevuti, come diciamo a Garbatella, Maurizio fa una promessa.

«Farò il bagno nudo davanti al Bagnino 28».

Si chiude con questo annuncio felliniano la notte italiana a Santa Monica.

Sylvia: «Marcello, come here! Hurry up!»
Marcello: «Sì, Sylvia, vengo anch'io! Vengo anch'io! [si toglie le scarpe e si dirige verso la fontana] Ma sì, ha ragione lei: sto sbagliando tutto! Stiamo sbagliando tutti [entra nella fontana e si avvicina all'attrice]. Sylvia! Sylvia, ma chi sei?»
Sylvia: «Listen! [invitandolo ad ascoltare lo scroscio dell'acqua nella fontana]»
Marcello: «Sylvia...»

L’Oceano non è Fontana di Trevi, Maurizio Stecca non ricorda neppure lontanamente Anita Ekberg. E, soprattutto, io non ho neppure le sopracciglia di Marcello Mastroianni.

“È l'occhio della tigre. 
È il fremito del combattimento 
Che cresce per la sfida con il nostro rivale 
E l'ultimo sopravvissuto 
insegue la sua preda nella notte”.

Così va meglio.

La voce dei Survivor mi entra nella testa, non mi abbandona, mi accompagna sul taxi lungo la strada che mi riporta in albergo.

Finalmente Los Angeles, anche se solo per una notte, sembra casa mia.

Grazie Icio.

ci

Maurizio Stecca

(19 marzo 1963)


Oro pesi gallo Los Angeles 1984

 

13. continua

Avventura nel Principato, la notte in cui Oliva si è preso il mondo

sacco

di Dario Torromeo

Avevo visto per la prima volta Ubaldo Sacco un pomeriggio di inizio marzo dell’86, era appena arrivato in Italia. Era entrato nella palestra di Sanremo che avrebbe ospitato la parte finale della preparazione per il mondiale contro Oliva. 
Aveva una faccia da schiaffi.
Un piccoletto, questa era la prima immagine che mi aveva lasciato come ricordo. Piccolo, ma pieno di voglia di vivere. Aveva scherzato, giocato, finto di allenarsi. E poi aveva sparato battute e insulti. Il tutto con un unico destinatario: Patrizio Oliva.
Eppure il giovanotto avrebbe avuto altro a cui pensare. Si portava infatti dietro due problemi che avrebbero potuto condizionare l’approccio alla sfida. Era su di peso e litigava spesso con quelli del clan, con Tito Lectoure soprattutto.
Poi, lo sbruffone aveva improvvisamente lasciato il posto all’uomo silenzioso. Dopo aver fatto il guascone per un’intera settimana l’argentino aveva scoperto di avere paura. Non di Oliva, ma del futuro. Sapeva che, in caso di sconfitta, non avrebbe avuto una seconda occasione.
Pochi però se la sentivano di indicare l’italiano come favorito. Anche i bookmaker clandestini di Napoli dicevano che il match l’avrebbe vinto il campione in carica, le quote di chiusura pagavano Patrizio a 2, Sacco a 60/100.
Oliva alloggiava all’Hotel de Paris, gli organizzatori gli avevano riservato la stessa suite che aveva ospitato Dustin Hoffman e Frank Sinatra.
L’arbitro del mondiale sarebbe stato Frank Cappuccino, un signore di 53 anni, nativo di Filadelfia ma con chiare origini italiane. Aveva ancora dei parenti a Montepaone, meno di quaranta chilometri da Catanzaro.
Per sedici volte aveva diretto un titolo mondiale, sei volte ne era stato giudice. Una garanzia di imparzialità.

patrizio oliva sul ring 138117

Oliva non aveva bisogno di aiuti, ma solo di un arbitro che non lo danneggiasse.
Ho conosciuto Patrizio a Fiuggi nel 1978, in quello che all’epoca era il ritiro della nazionale azzurra. L’ho seguito lungo tutta la carriera dilettantistica. Di quel periodo, più che i tanti bei ricordi, ho fisso nella mente un momento buio.

Il furto di Serik Konakbaev agli Europei di Colonia del 1979. Oliva aveva vinto quella finale e solo dei giudici incapaci gli avevano negato la medaglia d’oro.
Avremmo dovuto festeggiare in una pizzeria italiana. Quella serata, comunque onorata, era stata di una tristezza infinita. Quasi come quella volta quando, appena finito un match ai Giochi del Mediterraneo di Spalato ’79, ero andato nello spogliatoio e l’avevo trovato con la testa fra le mani e un’espressione di sconforto negli occhi.
«Mi fa male l’orecchio, sento qualcosa di strano, come se qualcuno mi fischiasse dentro in continuazione.»
Era l’inizio di un’odissea che sembrava non dovesse mai finire. Una microlesione al timpano dell’orecchio sinistro ne aveva messo a rischio la partecipazione all’Olimpiade di Mosca. Ma alla fine ce l’aveva fatta e in quei Giochi aveva vinto la medaglia d’oro nei superleggeri battendo in finale proprio Konakbaev, conquistando anche la Coppa Val Barker come miglior pugile del torneo. Poi, era passato professionista.
Eravamo diventati amici.
Lui vinceva e gli altri scrivevano che valeva poco. Diventava campione italiano e scrivevano che non aveva fatto niente. Conquistava la corona europea e raccontavano di come in fondo non avesse battuto nessuno.
Era stato in quei giorni che avevo fatto un patto con lui.
La proposta era partita da Patrizio.
«Dario, io il campionato del mondo lo vinco. Te lo prometto. E dopo, quando tutti se ne saranno andati, ci faremo una foto. Tu, io e la cintura mondiale. Alla faccia di quelli che non hanno mai creduto in me.»
La notte del 16 marzo 1986 il rito si era compiuto. Oliva aveva sconfitto Sacco in un match drammatico, di grande spessore emotivo.
Urla, applausi, lacrime.
Piangevano tutti, non conoscevano altro modo per festeggiare.

3

Anche Patrizio piangeva, aveva aspettato quel momento per sei anni. Anzi, per una vita.
Rocco, il papà, saltava sul ring. Neppure la furia dei gendarmi monegaschi riusciva a fermarlo. Patrizio urlava il nome di Ciro. Quello di suo figlio, ma soprattutto quello del fratello morto quando era ancora un ragazzo. Urlava mamma Catena a bordo ring: aveva urlato per tutto il match e ora poteva sfogare la gioia. Giovanna, la sorella, invece non aveva resistito. La crisi era arrivata quasi subito, al secondo round. Era dovuta scappare fuori, aveva bisogno di prendere aria. Poi era tornata. E aveva pianto, pianto sino alla fine. Quando Patrizio era stato portato in trionfo, lei era svenuta. Un leggero collasso, per fortuna niente di grave.
Oliva aveva tenuto tutti col fiato sospeso per l’intero incontro. Sembrava dovesse essere una cavalcata trionfale.
E tale era stata per dieci riprese, ad eccezione della quarta. Il sinistro del napoletano scattava preciso e veloce. Sacco se lo trovava davanti ogni volta che abbozzava un attacco. Neppure la tracotanza con cui aveva cercato di mascherare le preoccupazioni poteva aiutarlo. Davanti a lui aveva un campione vero, uno che accettava gli scambi, prendeva colpi duri e ripartiva. Pugni che i suoi denigratori pensavano non sarebbe mai riuscito ad incassare. E a quei signori che dicevano che il ragazzo della Stadera era solo uno che scappava, Patrizio regalava una lezione di boxe. Era un professore che picchiava, indietreggiava, rientrava e sfruttava ogni arma in suo possesso.
All’undicesimo round però tutta quella mole di lavoro aveva chiesto un’indispensabile pausa. Ed era stato a quel punto che era uscito fuori Sacco, il pugile che in tanti avevano descritto come un atleta incapace di reggere la distanza. Il giorno dopo qualcuno avrebbe parlato di un campione a ritmo ridotto, di uno che aveva difeso il titolo solo a metà. Pietose bugie.
Nel finale del match Oliva aveva tirato fuori anche il cuore. All’angolo Rocco Agostino per scuoterlo gli aveva urlato parole terribili.
Bruno Arcari gli aveva semplicemente detto che il campione era lui e che quella corona non poteva lasciarla all’argentino. E così Patrizio aveva stretto i denti, aveva pensato al fratello ed era tornato al centro del ring.
Alla quattordicesima ripresa, quando sembrava che la rimonta di Sacco fosse inarrestabile, Oliva aveva tirato fuori dal cilindro la sua classe. E con il magico sinistro aveva ripreso a martellare di colpi la faccia del gringo.
Quel jab il buon Sacco se lo sarebbe sognato per parecchie notti. Sarebbe stato un incubo che lo avrebbe accompagnato per molto tempo.
Poi, finalmente, il verdetto.

cintura

Forse in Arkansas il pugilato si giudicava al contrario: vinceva chi incassava più colpi. Era l’unica spiegazione per il folle cartellino del giudice McKowack che vedeva Sacco vincitore con cinque punti di vantaggio.
Era il primo verdetto ad essere letto. E gelava la sala.
Poi, una pausa che sembrava infinita. Mario Mattioli, il ring announcer di quella notte, leggeva gli altri due cartellini: Sung Yung 147-144, Hill 145-141. Dannazione, ma in favore di chi?
«Per… il nuovo campione del mondo.»
Festa, urla, lacrime. E ancora risate, applausi, abbracci.
Poi, solo silenzio. Lo Stade Louis II era tornato ad essere vuoto.
Avevo trasmesso il servizio al Corriere dello Sport, raccolto la mia roba e mi ero incamminato lentamente verso lo spogliatoio. Il collega Massimo Tecca aveva curato le interviste, avevo così avuto più tempo per gustarmi il trionfo. La boxe è sport che regala emozioni forti, se poi sul ring c’è un tuo amico quelle emozioni rischiano di travolgerti. Un giornalista non dovrebbe lasciarsi coinvolgere così tanto, ma non sempre si può gestire quello che l’anima detta.
E poi, quella vittoria la sentivo un po’ anche mia. Per carità, non avevo fatto niente. Non avevo preso pugni, né mi ero sacrificato in allenamento, non avevo sudato nel footing del mattino, non avevo sofferto la fame per rientrare nel peso, non avevo sentito il dolore dei colpi di Sacco, né di quelli che l’avevano preceduto. Non avevo messo sul piatto né talento, né coraggio. Ma avevo scommesso la mia reputazione sul mio amico e i fatti ci avevano dato ragione.
Mi ero incamminato lentamente nei corridoi ormai vuoti dello stadio, arrivato davanti alla spogliatoio avevo spinto lentamente la porta.

vabene

Patrizio mi aspettava seduto sulla panca appoggiata alla parete più lunga della stanza. Indossava ancora gli abiti da combattimento coperti da un accapatoio color oro. Con lui c’era Nilia Sole, la compagna della vita. Oliva le dava un bacio, poi mi guardava sorridendo.
«Finalmente, pensavo non arrivassi più. Temevo ti fossi dimenticato della promessa.»
Aveva un occhio nero, gli zigomi segnati dai colpi dell’argentino, chiazze rosse attorno all’occhio destro.
Ma era felice.
Aveva alzato in alto la cintura e aveva chiesto a Nilia di farci una fotografia.
«Io la promessa l’ho mantenuta. Peccato per chi non ci ha creduto.»
Poi sarebbero venute le difese contro Brian Brunette e Rodolfo Gonzalez, la sconfitta con Juan Martin Coggi. Il ritiro, il ritorno sul ring da peso welter e l’europeo conquistato battendo Kirkland Laing, le difese con Errol McDonald e Antoine Fernandez. Il 25 giugno del ’92 l’ultima sfida, mondiale Wbc dei welter in palio contro Buddy McGirt, un grande match, una sconfitta ai punti. Il saluto alla vita da pugile.
Ma il ricordo di quella notte monegasca non potrà mai essere cancellato, andava a sugellare una carriera da campione assoluto: titolo italiano, argento europeo (scippato dell’oro), oro olimpico e Coppa Val Balker da dilettante. Cintura italiana, europea (in due categorie) e mondiale da professionista.
Sì, Patrizio le promesse le ha mantenute tutte. 
“Peccato per chi non ci ha creduto”.

figura

Patrizio Oliva
(20 gennaio 1959)

Mondiale Wba superleggeri 1986-1987.
Record: 57-2-0 (20 ko).


14. continua

Oliva, da via Stadera al trionfo di Mosca. Storia di un predestinato

kop

di Franco Esposito

Olimpiadi di Montreal, 29 luglio 1976.

Finale del torneo di pugilato, categoria superleggeri. Sul ring, per la medaglia d’oro, lo statunitense Ray Leonard e il cubano Andrés Aldama. Papà Rocco e i figli con gli occhi incollati al televisore, nella casa al secondo piano della palazzina in via Stadera, a Napoli, tra il mattatoio, il cimitero e il carcere di Poggioreale, non il posto più bello del mondo.

Gli Oliva vengono da Polistena, Calabria. Papà Rocco e mamma Catena, sei figli. Due maschi tirano di boxe. Mario, il primo, campione d’Italia dilettanti; il minore, Patrizio, sedici anni, promette bene. Il pugilato nel sangue, è mosso da grande fanatica ambizione. Si nutre di sogni.

Sul ring di Montreal lo statunitense Ray Leonard e il cubano Andrés Aldama. “Voglio vincere la medaglia d’oro all’Olimpiade e il titolo di campione del mondo dei superleggeri”.

Promessa e giuramento pronunciati a voce alta, mentre l’arbitro solleva il braccio di Ray Leonard.

Olimpiadi di Mosca 1980, quattro anni dopo.

La lista dei pretendenti all’oro è gonfia di boxeur titolati. In bella vista il sovietico Serik Konakbayev, l’idolo di casa, il grande favorito. Una vecchia conoscenza di Patrizio, e il piacere sincero di ritrovarlo. Si rivedono in finale.

L’italiano Patrizio Oliva conquista l’approdo all’atto conclusivo nel momento in cui, ai quarti finale, doma lo jugoslavo Ace Rusevski, medaglia di bronzo a Montreal 1976. Un feroce aggressore dalle mani pesanti, un toro. A Spalato, nel ’79, ha vinto l’oro dei Giochi del Mediterraneo, ma lo scontro previsto con l’italiano non c’è stato. Patrizio costretto a lasciare il torneo dopo aver battuto il tunisino Ibrahim Sohoui. Lesione del timpano e otturazione dell’orecchio. Lunga e complessa la ripresa, supportato da Franco Falcinelli, nuovo ct della nazionale.

mosca

Una corrida. Il toro macedone carica, Pat fa l’espada. Vince lui, a capo di una faticaccia. Il successo gli garantisce il passaggio alla semifinale; lo sbarco in finale poi conquistato di prepotenza.

“A noi due Serik, abbiamo un conto in sospeso”.

Colonia 1979, campionati europei, finale della categoria superleggeri. Konakbayev è un kazako dalla tecnica sublime, un campione vero. Patrizio, venti anni, ne offusca l’arte e lo batte in maniera chiara. Il verdetto però premia l’altro. La mafia del ring ha colpito ancora.

A Mosca l’arena è tutta per l’idolo di casa, in ottomila contro Patrizio.

Il primo round lo porta a casa lui, autorevole, determinato a centrare l’abbraccio col sogno. Ma la seconda ripresa è del sovietico, come se Pat avesse smarrito all’improvviso la limpida linea tecnica esposta nel round precedente.

All’angolo, durante l’intervallo, Falcinelli lo scuote con un’espressione forte.

“Fallo per Ciro”.

Sì, per Ciro, il fratello amato che Patrizio ha perso giovanissimo, stroncato da un male imparabile.

“Fallo per Ciro”, e lui lo fa.

La terza ripresa a tutta manetta, Patrizio va contro natura, via il fioretto, tira di sciabola. Tre minuti confusi, non limpidi. Konakbayev si smarrisce sotto gli attacchi dell’italiano, l’arena diventa muta. Ma non è che i giudici si comporteranno come a Colonia?

Non succede.

coppa

L’arbitro tedesco non fa neppure in tempo a sollevare il braccio di Patrizio genuflesso in mezzo al ring, il bacio al tappeto, la dedica per Ciro. Il sorriso del campione olimpionico: il sogno è diventato realtà, impreziosito da uno zaffiro. La commissione tecnica gli attribuisce la Coppa Val Barker. Il trofeo destinato al pugile migliore dell’Olimpiade. Prima di lui, l’alto onore aveva baciato un solo italiano. Nino Benvenuti ai Giochi di Roma.

“Tu mi somigli, ragazzino”, il grande ex nei panni del veggente, a distanza di anni, a margine di un torneo vinto da Patrizio.

Pat con la medaglia d’oro al collo e le lacrime di pura felicità del suo creatore. Geppino Silvestri, il maestro, guru e icona. La straripante sapienza nascosta dagli enormi occhiali scuri che sembrano fanali d’auto. Il miope che della boxe riesce a vedere tutto.

“Maestro, questo è mio fratello”, Mario Oliva presentatore del fratellino, undici anni, un cespuglio di riccioli bruni, magro come un grissino. Precoce smanioso, però. Il maestro Silvestri ne sfama l’impazienza proponendo overdosi di ginnastica. Metta su muscoli e peso.

Una palestra la Fulgor, al 419 di via Roma, nel cuore di Napoli? Una grotta, una caverna, quindici metri sotto il livello della strada. Il regno dell’umidità e di ratti ciccioni come conigli. La spelonca chiamata sala pugilistica, dove Geppino Silvestri dirige un inesauribile opificio. La fabbrica dei campioni d’Italia e d’Europa: un esercito. E Patrizio Oliva ancora bambino impegnato a costruire sogni.

Peso piuma, il debutto sul ring di un cinema alla periferia di Napoli. Poi, una striscia di vittorie fino ai campionati italiani novizi. A Treviso incanta tutti, è il predestinato al titolo. “Evita le donne”, si sono raccomandati Silvestri e Steve Klaus, che l’ha preso sotto tutela. Raccomandazione ignorata la notte prima della finale. Una robina, niente di che, tra pentimenti e rimorsi. Comunque masochista, butta via il titolo italiano. Il campione è La Vite, siculo trapiantato in Liguria, che non lo vale. Resta la lezione e lui ne fa tesoro.

dile

Patrizio Oliva campione d’Italia dilettanti dal 1976 al ’78. Novantasei incontri, 93 vittorie e 3 sconfitte. Carabiniere di leva e, al termine della ferma. il posto in banca. Come da promessa del presidente federale, l’onorevole Franco Evangelisti.

Capitano della nazionale per meriti acquisiti, ripropone nell’ambiente la figura di Nino Benvenuti quand’era dilettante. Personalità e carisma, non limitate al ring. Il comandante Oliva in virtù di una precisa valutazione “sei tu l’unica nostra speranza”, sulla strada dell’Olimpiade moscovita. Viene indicato quale capo del golpe contro Armando Poggi, l’erede di Rea alla cloche della nazionale. I ragazzi della squadra scrivono alla Federazione: vorremmo Franco Falcinelli nostro allenatore. Richiesta respinta, poi accolta.

Dublino, Irlanda, campionati europei juniores 1978. Presenti in massa i rappresentanti dei Paesi dell’Est, professionisti travestiti da dilettanti. Pessimisti dirigenti e tecnici della giovane Italia. Due le eccezioni: Patrizio Oliva e il segretario generale della Fpi Vittorio Peconi, napoletano.

Il pessimismo dei dirigenti diventa manifesto alla partenza della trasferta in Irlanda. Il disco dell’inno di Mameli? Inutile portarlo, non serve, non abbiamo atleti da medaglie d’oro.

Patrizio scopre la magagna all’aeroporto di Fiumicino. Furibondo, alza la voce. “Qualcuno torni indietro, vada a prendere il disco”. Agli ordini: una volata in taxi, destinazione la casa della Federazione in viale Tiziano. Peconi, il segretario, torna a Fiumicino in tempo con il disco dell’inno d’Italia.

Un sovietico subito, come a voler dire, prenditi questo, così la smetti di pensare che sei qui per vincere. Patrizio che le suona a Bouchev è una notizia: da dieci anni un italiano non batteva un pugile russo. Messo a tacere anche il bulgaro Todorov, i polpastrelli del napoletano già sfiorano la medaglia d’oro. Ma se vuole afferrarla deve battere Kopzog, spigoloso tedesco dell’Est. Problemi? Nessuno. Vittoria netta, verdetto unanime. Patrizio Oliva campione d’Europa juniores incoronato dal famoso ungherese Lazslo Papp.

silvestri

“ll premio più bello”.

Commosso Vittorio Peconi a bordo ring. Sta sognando o che cosa? Patrizio lo riporta sulla terra.

“Segretario, il disco. Faccia suonare l’inno, è un nostro diritto”.

Fratelli d’Italia, la giovane Italia s’è desta…

Patrizio Oliva

(20 gennaio 1959)

Oro pesi superleggeri, Mosca 1980

Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi


15. continua

Nino ha realizzato i sogni degli italiani. Storia di quelle notti magiche...

Nino Over Emile

di Gualtiero Becchetti

Ni-no!.. Ni-no!.. Ni-no!

Era la colonna sonora in onore forse del più grande del pugilato italiano, che fece vibrare Palasport e stadi dal 20 Gennaio 1961 a Trieste, dove debuttò come professionista, sino all’8 Maggio 1971 a Montecarlo, dove tutto finì.

Nino Benvenuti era un predestinato. Lo era stato anche alle Olimpiadi di Roma 1960, quando vinse e nessuno si stupì. Pochi mesi di riposo e si lanciò verso un decennio immortale nella storia del pugilato, dello sport e persino del costume nazionale.

Di bell’aspetto, lingua sciolta e modi signorili, aveva già stuoli di ammiratori, ma non erano pochi coloro che lo ritenevano un po’ tenero per il pugilato professionistico.

Combatteva in punta di piedi, leggermente incurvato sulle spalle e in posizione laterale per offrire il minimo bersaglio; aveva uno splendido jab sinistro e la guardia sempre alta, riflessi e tempismo rari. Non amava il corpo al corpo e del suo repertorio, infatti, erano parte integrante mille malizie che metteva in atto, all’occorrenza, con disinvolta eleganza per farle passare inosservate.

griffith

Non godeva fama di forte colpitore e ciò sembrava un limite alle sue ambizioni e qualche dubbio serpeggiava anche attorno alle doti di resistenza al dolore.

Dal 1961 al 1963 disputò ben quaranta incontri, vincendoli tutti. Ora saliva sul ring con i capelli più lunghi e sfumati di biondo; sembrava un divo dello schermo e infatti le tifose rivaleggiavano, per numero, con i tifosi.

Bruno Amaduzzi, il suo vulcanico manager bolognese, raccontava di avere capito che sarebbe diventato un grande nel match contro Nic Maric, oscuro e tenace collaudatore jugoslavo. Era il quinto combattimento di Nino e si disputò a Milano il 7 Aprile 1961.

Amaduzzi narrava che Benvenuti alla terza ripresa era completamente cotto e giunse all’ultima solo masticando dolore e orgoglio in quantità industriale, per poi crollare sul lettino degli spogliatoi stravolto dallo sforzo.

“Quella sera ho capito che era un pugile vero” diceva il manager.

Intanto la classe di Nino, supportata dalla follia tecnica e umana dell’allenatore imolese Libero Golinelli, avevano trasformato il sinistro in un’arma letale, con traiettoria a metà tra gancio e montante. In quei primi match, affrontò rivali di crescente difficoltà, tra i quali alcuni che oggi si batterebbero per titoli internazionali importanti.

Isaac Logart, Tony Montano, Gaspar Ortega, Teddy Wright e altri, erano pugili che davano del tu a qualsiasi uomo di graduatoria mondiale.

griffithA

Fu però il randellatore nicaraguense Luis Gutierrez il primo che lo fece volare al tappeto, il 15 Novembre 1963 a Roma, ponendolo sull’orlo del ko in apertura di match, per poi finirci a sua volta alla 7^ ripresa.

Al ventesimo match divenne anche campione d’Italia dei medi (sì, allora indossare la cintura tricolore era un onore!), mettendo ko all’11^ ripresa il modenese-brindisino Tommaso Truppi, sul ring del PalaEur di Roma l’1marzo del 1963, dopo una sfida complicata.

Il biennio 1964-65 condusse Benvenuti alla definitiva consacrazione e lo trasformò in una star come gli appassionati di oggi neppure possono immaginare. Era dovunque. Sulle prime pagine dei quotidiani e delle riviste di gossip; nelle trasmissioni televisive; nelle pubblicità; nei cinegiornali; nei grandi eventi mondani; nei salotti-bene e nei luoghi alla moda...

Eppure sostenne ventuno combattimenti impegnativi, sconfiggendo rivali di alta quotazione, quali Fabio Bettini, Denny Moyer, uncerto Juan Carlos Duran allora ancora argentino, Art Hernandez, Mick Leahy, Rip Randall (poi caduto combattendo in Vietnam), Milo Calhoun. Match sulle dieci riprese che valevano spesso assai più di odierni campionati del mondo.

E arrivò finalmente il 18 Giugno 1965.

L’Italia intera si fermò, con il cuore rivolto allo Stadio di San Siro, a Milano.

Mazzinghi vs Benvenuti!

Ghelfi contro ghibellini; coppiani contro bartaliani; romani contro barbari; cristiani contro saraceni...

Una rivalità straordinariamente e ferocemente meravigliosa come poche nella storia dello sport italiano. Dopo complicatissime trattative tra Amaduzzi e il promoter meneghino Strumolo, l’imbattuto ciclone di Pontedera, Sandro Mazzinghi, aveva accettato di mettere in palio la cintura Wba-Wbc dei superwelter conquistata nel ‘63 contro Ralph Dupas proprio a Milano e averla difesa contro lo stesso Dupas a Sidney e nell’anno successivo contro Tony Montano e Fortunato Manca, rispettivamente a Genova e a Roma. Nino Benvenuti era sceso di una categoria, ma la sua tribolata vigilia alla bilancia fu nulla in confronto al dramma immane che aveva travolto Sandro.

mazzinghi

Mazzinghi si era sposato il 2 Febbraio 1964 con Vera, una ragazza della sua terra; dopo solo dodici giorni di matrimonio, al rientro notturno da una festa a Montecatini, la sua Bmw si schiantò contro un albero e la moglie morì all’istante; Sandro si salvò, riportando però una frattura alla scatola cranica e altri gravi lesioni. Sembrava perduto per la boxe, ma con incredibile coraggio invece tornò e battè Montano e Manca.

Però, quando chiese un rinvio in vista della difficile difesa con Benvenuti per recuperare la condizione psico-fisica al 100%, non gli venne concesso e forse questa fu la scintilla che fece esplodere il mai del tutto sopito astio verso Nino.

Poi, sul ring circondato dai 40.000 di San Siro, andò come andò. Dopo cinque riprese alla morte, con Sandro all’arrembaggio e Benvenuti in difficoltà, ma pur sempre in paziente agguato, a pochi secondi dal termine della sesta, sull’ennesimo spericolato attacco di Sandro, Nino l’incrociò con un letale montante destro alla punta del meno.

Ko!

Un colpo perfetto, diventato forse il più famoso mai lanciato da un pugile italiano.

Sandro ko

Nei mesi seguenti il triestino, seppure iridato dei superwelter, si dedicò di nuovo alla categoria dei medi e il 15 Ottobre, a Roma, conquistò la vacante cintura europea davanti all’ormai consueto tutto-esaurito del PalaEur, mettendo ko alla 6^ ripresa il talentuosissimo spagnolo Luis Folledo (se avesse incassato di più, che pugile sarebbe stato!) e non poche sofferenze nelle prime cinque, con un gancio destro devastante. Al dieci dell’arbitro Ike Powell si abbandonò ad inusuali (almeno per lui) scene di tripudio, a conferma che se l’era vista brutta e che le voci di una preparazione non da manuale erano forse giustificate.

Quindi, dopo avere superato facilmente Johnny Torres e James Shelton, ecco la rivincita con l’indomito Sandro Mazzinghi.

Quello del 17 Dicembre 1965 non fu un match pari al primo, dal punto di vista spettacolare, ma fu comunque una battaglia di rara durezza. NIno vinse nuovamente ai punti, ma di strettissima misura, seppure all’unanimità. Decisivi probabilmente un kd subito da Mazzinghi al secondo round e le ultime tre riprese (si combatteva ancora sulle quindici), che Benvenuti si aggiudicò dopo avere subito la veemente rimonta del toscano, il quale non ha mai digerito, neppure oggi, quel verdetto.

Dopo avere battuto Don Fullmer e Clarence James, nonchè il tedesco Jupp Elze per kot al quattordicesimo round in Germania, con l’europeo dei medi in palio, l'immacolato record di Nino perse la verginità!

I promoter sudcoreani gli offrirono la colossale borsa di 45 milioni di lire (allora si acquistava un condominio con tale somma!), per volare a Seoul a difendere le cinture Wba-Wbc dei superwelter contro il beniamino locale Kim-Ki Soo.

mazzinghi

Nessuno ha mai visto quel match, se non coloro che erano a bordo-ring e quindi resta in gran parte misterioso. Fatto sta che, probabilmente non molto allenato, Nino perse il primo match della sua vita per split decision (68-74 e 69-72 per Kim Ki-Soo e 72-68 per lui), con la complicità di cartellini discutibili e la misteriosa rottura di una corda, alla penultima ripresa, che permise allo sfidante di rifiatare mentre era in crisi.

Da quel momento, con il manager Amaduzzi convenne di combattere solo tra i medi e puntò decisamente verso il mondiale della categoria, detenuto da Emile Griffith che l’aveva conquistato contro il nigeriano del Biafra, il grande Dick Tiger.

Benvenuti nel frattempo superò il bel francese Di Benedetto nell’ennesima difesa continentale, il duro inglese Harry Scott, il bravo Ferd Hernandez, il mediomassimo brasiliano di Mestre Renato Moraes, líimpresentabile tedesco Manfred Graus, l’insidioso giamaicano Milo Calhoun.

Ed ecco finalmente il magico 17 Aprile 1967.

Seguito al Madison Square Garden di New York da fedelissimi giunti dall’Italia con due aerei speciali e sostenuto da una folla di italo-americani che per fare pronunciare correttamente il ben noto “Nino-Nino”, inalberavano cartelli con la scritta “Neeno-Neeno”, Benvenuti ribaltò, quella sera, il mondo. Atterrò Griffith alla seconda ripresa, ne fu a sua volta più duramente atterrato alla quarta, ma vinse chiaramente e all’unanimità.

europeo

Mentre si cingeva i fianchi con le cinture Wba e Wbc dei medi nella baraonda festosa di un ring trasformatosi quasi in una piazzetta italiana nel cuore della Grande Mela, al di qua dell’Atlantico le prime luci dell’alba risuonavano delle grida di giubilo di 18 milioni di connazionali che erano stati incollati alla radio per ascoltare l’ormai mitica telecronaca di Paolo Valenti, alla faccia delle autorità politiche che avevano vietato la diretta televisiva per non distogliere quei poveri cretinotti che eravamo noi, dagli impegni di lavoro e di studio del giorno dopo! Quella notte entrò non solo nella storia del pugilato e dello sport, ma addirittura in quella sociale del Paese. Il ritorno a casa fu memorabile.

Forse solo a certi Capi di Stato e Pontefici furono riservati eguali manifestazioni popolari di ammirazione e di affetto. Ma quasi non ci fu tempo di rifiatare perchè, come da contratto, fu programmata l’immediata rivincita e il 29 settembre Benvenuti e Griffith salirono sul quadrato di un tempio del baseball newyorkese, lo Shea Stadium, con tutti i favori dei pronostici stavolta dalla parte del biondo triestino. Ma entrambi i protagonisti non erano gli stessi del precedente match. Forse meno concentrato Nino, sicuramente più cattivo Griffith, che vinse bene costringendo il campione a soffrire come ben poche altre volte in carriera.

si

La bella era comunque d’obbligo e programmata per l’inaugurazione del nuovo Madison Square Garden, il 4 marzo 1968, quando Joe Frazier divenne per la prima volta campione del mondo dei massimi battendo Buster Mathis per ko all’undicesimo round.

Nino aveva sostenuto un test di rientro il precedente 19 Gennaio a Roma, contro l’imprevedibile, fragile ma insidiosissimo statunitense Charley Austin, vincendo tra non pochi patimenti. Non c’era quindi molto ottimismo sull’esito del terzo match con Emile. Invece Benvenuti se l’aggiudicò, rompendo il grande equilibrio, mediante il solito gancio sinistro che atterrò il detentore all’undicesima ripresa, facendo pendere meritatamente i cartellini di un soffio e a maggioranza dalla sua parte.

Il trittico con Emile Griffith era chiuso per sempre e il mondiale tornava in Italia.

I successivi match sostenuti da Nino, ormai diventato un monumento vivente, gli portarono due facili vittorie contro gli inconsistenti Akasaka e Jimmy Ramos. Poi volò in Canada e negli Usa dove, rispettivamente il 17 Settembre e il 14 Ottobre del medesimo anno, battè in rivincita e senza esaltare Art Hernandez e pareggiò con l’onesto pugile di Akron, Doyle Baird. Probabilmente fu un primo, timido e sommesso segnale.

Poco dopo, il 14 Dicembre, al Teatro Ariston di Sanremo conservò le cinture iridate battendo chiaramente Don Fullmer, ma subendo un kd.

Si prese un lungo riposo nel 1969, rientrando sul ring solo il 6 Maggio al Madison Square Garden, per affrontare in cambio di una sontuosa borsa colui che era stato un campionissimo dei medi e dei mediomassimi: Dick Tiger, ormai quarantunenne e considerato agli spiccioli della carriera, come infatti fu (si ritirò un anno dopo). Però Nino, forse sottovalutando il tenacissimovecchio, perse nettamente e finì ancora al tappeto.

monzon2

Il manager Bruno Amaduzzi, nelle interminabili notti vacanziere di Loiano e dinanzi agli immancabili salami e a file di bottiglie di lambrusco, era sempre meno sorridente riguardo al futuro del proprio campionissimo.

Il 4 Ottobre, al San Paolo di Napoli, si inventò per lui, come sfidante al titolo, il ventunenne Fraser Scott, statunitense di Seattle di scarsissime credenziali e di cortissimo e anonimo futuro, a conferma che stava diventando molto, molto prudente.

Vinse Benvenuti per una frettolosa squalifica alla settima ripresa e non entusiasmò; anzi! Forse perchè, il 22 Novembre al PalaEur di Roma, ad attenderlo cíera il cubano Luis Manuel Rodriguez, sfidante ufficiale, vero fuoriclasse soprattutto tra i welter, dall’incredibile record (103 match, di cui soltanto sette persi), il quale si cimentava già a torso nudo mentre Nino sognava vanamente l’Olimpiaei di Melbourne del 1956!

Più che l’età, era la lunghezza e la durezza della carriera di Rodriguez ad alimentare l’ottimismo. Ma sul ring fu un esaltante semi-dramma, un immenso e finale sospiro di sollievo degli spettatori presenti e di milioni di italiani dinanzi alla TV.

Il cubano non diede un istante di tregua al nostro iridato. Líincalzò e lo bombardò per quasi tutto il match, costringendolo ad inenarrabili sofferenze e solo l’orgoglio e la classe permisero a Nino di sopravvivere e di restare ancora in match, sino all’undicesimo round, quando ormai la sconfitta sembrava materializzarsi di secondo in secondo. Con il volto ricoperto di sangue e le forze al lumicino, Nino Benvenuti estrasse in quella ripresa un capolavoro dalla propria infinita pinacoteca pugilistica e con un gancio sinistro di prima intenzione fece crollare in croce Luis Manuel Rodriguez sino al 10!

Ecco. Fu proprio quello forse l’ultima immortale pennellata d’arte del triestino e probabilmente molti lo intuirono. L’atto finale di Nino, di colui che era stato considerato in Italia praticamente invincibile per vent’anni, si compì in quel momento, radioso ed esaltante come si addice a chi sta tra le nuvole dell’Olimpo dello sport.

Rodriguez

Quattro mesi di riposo non bastarono e il 13 Marzo a Melbourne, in cambio di ben trentamila dollari, Amaduzzi e il campione accettarono le dieci riprese con il modesto statunitense Tom Bethea, appena quindici match sostenuti e reduce da quattro sconfitte consecutive. Doveva essere una tranquilla festa per i nostri emigranti e fu invece un dramma per il campione. Indietro nel punteggio dei giudici, pesantemente al tappeto per un colpo al corpo alla settima ripresa, all’inizio di quella successiva Nino, dolorante ad una mano, abbandonò e tutti le sirene d’allarme sul suo conto suonarono all’unisono.

Comunque, Amaduzzi riuscì a raschiare da quella Waterloo un’astutissima opportunità. Il 23 Maggio seguente, nella croata Umago, a due passi dal luogo dove Nino Benvenuti era nato, Isola d’Istria, riuscì a organizzare l’ennesima difesa delle cinture iridate proprio contro il medesimo mediocre statunitense che (i miracoli avvengono una volta sola!), finì ko all’ottava ripresa con irrisoria facilità.

Il 12 Settembre Nino era di nuovo tra le corde per sconfiggere alla grande, con un kot al decimo round, quel Doyle Baird che l’aveva costretto al pareggio l’anno prima ad Akron.

monzon1

Poi...

poi arrivò la bestia!

Il 7 Novembre, al PalaEur della capitale, per la sfida iridata Carlo Monzon uscì dal tunnel degli spogliatoi e i tifosi capitolini, stipati all’inverosimile, sommersero l’argentino di fischi e insulti. Alto, bello, la pelle ambrata tipica degli indios, lo sfidante sembrava sceso da Marte, assolutamente indifferente a tutto e con occhi carichi di feroce determinazione. In tanti, tacitamente, intuimmo che poteva essere una notte fatale. Non avevamo mai visto Monzon, ma non importava. Non aveva un record trascendentale, ma non importava. I giornali avevano scritto che era lento ed elementare con gli sparring, ma non importava. Uno non poteva avere quella faccia ed essere un bluff, pensammo in molti. Nino era ben preparato, si battè come un leone, sopportò l’insopportabile. ma non bastò. Non era più quello di qualche anno prima. Ad ogni suo sinistro, Monzon rispondeva con due sinistri; ad ogni sua scorrettezza Monzon ribatteva con una scorrettezza peggiore; ad ogni gancio sinistro affondato, Monzon restava indifferente e infieriva con colpi al corpo e al volto che emanavano dolore solo a vederli.

Alla dodicesima ripresa, l’epilogo del dramma.

koRoma

Nino, ormai sfiancato, si rifugiò al proprio angolo e l’argentino di Santa Fe lo seguì senza fretta, come un boia sul patibolo, poi gli appoggiò il sinistro sul volto quasi a metterlo nella giusta posizione e calò la terribile mannaia, sotto forma di un lungo destro entrato nella storia del pugilato.

Benvenuti cadde a terra con il viso schiacciato sul tappeto eppoi, con eroico stoicismo, cercò di rialzarsi e ci riuscì, aggrappandosi andosi alle corde. Il re era stato sportivamente giustiziato, ma non era rimasto a terra. Era caduto nel miglior modo in cui poteva cadere: rimettendosi in verticale sulle proprie gambe e contro un pugile destinato a diventare uno dei più grandi campioni di tutti i tempi.

Scesero lacrime senza sosta quella notte, sia al palasport che nelle case degli italiani, persino di quelli a cui della boxe non importava nulla. Si chiudevano per sempre ricordi, gioie, esaltazioni, paure e polemiche. Su uníepoca scendeva il sipario e tutti sentimmo, dentro, che la boxe mai più sarebbe ridiventata come era stata con lui. E così purtroppo è accaduto.

Ma, qualcuno dirà, la storia non è ancora finita. È vero.

Visse ancora due momenti che però assomigliarono troppo allora, e ci assomigliano ancora oggi, a una salita verso il Calvario.

Nino Benvenuti ci riprovò di nuovo prima di rassegnarsi alle leggi del tempo e del ring.

nino benvenuti malore

Il 17 Marzo 1971, in un match di collaudo a Bologna, si arrese al modesto argentino Josè Chirino, subendo ben due conteggi e l’8 Agosto, allo Stade Louis II di Montecarlo, fu definitivamente frantumato in tre riprese da Carlos Monzon e il suo orgoglioso calcio all’asciugamani lanciato da Bruno Amaduzzi per sottrarlo ad un’inutile punizione, resta l’ultimo fotogramma di una carriera che è cara a chi ama il pugilato, come una diamante, come il più bello dei libri di fiabe dell’infanzia, come il campanile del proprio luogo natale.

Grazie di averci regalato quei giorni di gloria, immenso Nino.  

Nino Benvenuti
(26 aprile 1938)

Mondiale superwelter Wba, Wbc 1965-1966.
Mondiale medi Wba, Wbc 1967
Mondiale medi Wba, Wbc 1968-1970.
Record: 82-7-1 (35 ko).

 

16. continua

Nino dai primi pugni in cantina all'oro dell'Olimpiade di Roma 1960

 

Nino1

di Franco Esposito

Strano ring a forma sbilenca. Tre le corde nel vano al pianterreno di Villa Rosa, la casa di Fernando e Rosa Benvenuti a Isola d’Istria. Il sacco imbottito di granoturco, calzini e stracci adattati a guantoni da boxe. La palestra primordiale messa su da papà Fernando, commerciante di pesce con la fissa del pugilato, a beneficio esclusivo del figlio Giovanni detto Nino, tredici anni.

Il primo incontro a cento metri da casa, al centro della piazza del paese. Il ring improvvisato allestito da Luciano Zorzenon, maestro di boxe e palombaro di professione. Organizzatore, arbitro e giudice unico del debutto di Nino, 39 chili.

Luigi Vezzoli detto il Pirola l’avversario, 43 chili. Il vincitore? Nino Benvenuti, il precoce l’autodidatta incitato dal papà nel seminterrato di Villa Rosa.

La vittoria numero uno ad annunciarne 120. L’infinita striscia scritta da dilettante, sotto la bandiera dell’Associazione Pugilistica Triestina. Una coppia di maestri di boxe ad accompagnarlo lunga la strada della gloria: Pino Culot e Paolo Buttazoni.

ultima

Allora i poppanti della boxe li chiamano novizi, e il giovanissimo Nino si prende di prepotenza il titolo nazionale. Il napoletano Vincenzo Guerra, buona tecnica e grande cuore, domato nell’incontro di finale. Saranno finalisti e avversari anche ai campionati italiani dilettanti. Benvenuti quattro volte campione, da Parma 1956 a Torino 1960, pesi welter e superwelter.

Nino immediato reuccio, una sorta di boss. Pugilistico, sia chiaro, dall’alto della personalità forte, carismatica, e dell’abbagliante capacità pugilistica. Pensa - a ragione - di essere diverso dagli altri.

“Leggo Hemingway, da lui ho imparato a dire le cose”.

Comanda e impone le sue idee, non solo sul ring, durante i ritiri della squadra azzurra, a Porto Recanati e Orvieto. Imbattuto e imbattibile.

Il posto in squadra all’Olimpiade di Melbourne 1956, categoria superwelter, gli spetterebbe di diritto. È il più bravo, ma è del ’38, troppo giovane, giudicato ancora tenero per tipacci come Laszlo Papp, il micidiale ungherese del triplete d’oro in sequenza, e Josè Torres, portoricano in gara per gli Usa, futuro campione del mondo nei professionisti.

Allenatore, selezionatore, tutto della nazionale, mister Steve Klaus, schierato a tutela di Nino, sceglie un civitavecchiese solido e temperamentale, però mai brillante, Franco Scisciani. Il rampante triestino ci resta di sasso, deluso e amareggiato.

Figlio di ungheresi ebrei, Steve Klaus ha studiato pugilato a New York, nella palestra di Louis Ingber, meglio conosciuto come Lou Stillman, direttore della Stillman’s, frequentata da oltre duecento pugili al giorno. Nessuna finestra e niente inviti a non fumare. Un luogo mitico.

Mister Steve è il grande riformatore del pugilato italiano, rivoltato come un pedalino, a partire dal ’48. Pochi mesi di lavoro sono sufficienti a quel pozzo di scienza per stupire il mondo: cinque medaglie, una d’oro, ai Giochi Olimpici di Londra.

Ventinove i combattimenti di Nino con la nazionale. Tutti vinti, meno uno. Una grande immensa bugia, quella, pronunciata in Turchia, in occasione del confronto internazionale Ankara-Roma. Una colossale ingiustizia la vittoria assegnata a Ahmed Lufti, che di riprese ne aveva perse tre su tre. La federazione italiana tenta invano di cancellare con ogni mezzo l’iniquo verdetto. Resterà quella l’unica macchia nel record di Nino dilettante.

Italia deludente ai Giochi di Melbourne 1956. Steve Klaus deve farsi da parte. Gli subentra l’allievo prediletto fedele ai suoi dettami. Il trasteverino Natalino Rea, grande competente e sottile psicologo.

Nino2

Nino ormai è scatenato. Campione europeo a Praga 1957. Gli avversari messi sotto con pizzichi di supponenza, non solo dall’alto di una classe purissima e del cristallino talento. Il polacco Teodor Walasek, un tipo da duecento incontri, è costretto a pagare dazio nel match di finale. Il bis d’oro a Lucerna, nel ’59. La vittima è un polacco, Dampc.

Nino è la certezza d’Italia verso l’Olimpiade romana del ’60. La preparazione è da tortura cinese. Pesanti allenamenti intabarrato in tute imbarazzanti, deve prestare attenzione perfino all’acqua, guai bere troppo; mai un piatto di pasta, la bistecca masticata e poi sputata, solo il sangue è autorizzato a mandare giù. Deve calare di peso, quattro chili rispetto al suo abituale standard, da 71 a 67.

Rea lo vuole welter. Il cittì ritiene sia questa la categoria ideale per dare la medaglia d’oro all’Italia. Malgrado la presenza annunciata di Omrane Sadok, impressionante picchiatore tunisino, uno sterminatore da 54 kappaò in carriera. L’idolo di Habib Bourghiba, il presidente della Repubblica. Ma il motivo del trasloco di categoria è anche un altro. Nella divisione superiore di peso circola un autentico pericolo pubblico. Wilbert McClure, statunitense di Toledo, Ohio. Una sorta di Cassisus Clay minore. Studente universitario, soprannome la zanzara. Tornato a casa con la medaglia d’oro, si rimetterà a studiare. Due lauree, letteratura e filosofia.

Nino Benvenuti sul ring del Palaeur, il numero 147 sul dorso della canottiera azzurra. Capelli cortissimi, taglio da marine. Magro da far paura, tirato al massimo, puoi contargli le costole. Sembra il suo fantasma. Il match più duro deve infatti sostenerlo con la bilancia. Lo assistono la smisurata classe, il rutilante talento, la totale competenza di Rea, e il lavoro politico di Toncy Gilardi. Bancario napoletano e arbitro di riconosciute capacità a livello internazionale è in possesso delle qualità tipiche del grande tessitore. Gode del rispetto del mondo, e la cosa torna di conto a Nino.

squadra

Il debutto il primo agosto, avversario un francese, Jean Josselin, uno tosto. Nino ci giochicchia, vittoria ai punti. Avanza nel torneo senza problemi, comunque sempre poco brillante per via della dura battaglia in atto con la bilancia. Mentre lungo la sua strada esplode uno scandalo. Il tunisino Sadok pesta a mo’ di bistecca Chicman Mitzev, che ha il solo merito di finire l’incontro in piedi. Inconcepibile e inaccettabile il verdetto, il bulgaro approda ai quarti di finale.

Semaforo verde per Nino. L’avversario della semifinale è James Lloyd, inglese di Liverpool, un esagerato combattente. Parsimonioso il nostro eroe, vittoria di giustezza.

Nino sul ring per la finale che assegna il titolo.

Grace Kelly e Bing Crosby nel parterre del Palaeur. Un sovietico venticinquenne, Yuri Rodonyak, sergente dell’esercito, si propone come l’ultimo ostacolo fra la medaglia d’oro e Nino. Che non brilla per le ragioni che sappiamo. Però, il diretto sinistro c’è, come pure il gancio mancino. Tirato su consiglio di Rea, il colpo manda al tappeto il sovietico. Solo per un attimo, però. Il resto è battaglia opaca, governata a fatica dal nostro italiano dall’alto di una classe comunque superiore. Fotografico il verdetto, 4-1.

Nino Benvenuti campione olimpionico e destinatario della prestigiosa Coppa Val Barker. Il trofeo che viene attribuito al miglior pugile dell’olimpiade, al più completo.

“Un premio che vale più di una medaglia d’oro. Io il campione dei campioni”.

clay

Nino incoronato imperatore a Roma nell’Olimpiade del trionfo italiano, tre medaglie d’oro, sette in tutto. Un’edizione indimenticabile dei Giochi Olimpici, impreziosita e nobilitata nel pugilato dall’esibizione del più grande.

Cassius Marcellus Clay, il futuro re dei re.

Nino Benvenuti (26 aprile 1938) Oro pesi welter Roma 1960. Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi. Record: 120-1-0.

17. continua

Tutto quello che c'è da sapere sulla serata Hall of Fame Italia del 27 ottobre

HOF2018


Sabato 27  ottobre sarà il Grand Hotel Terme&Spa di Castrocaro ad ospitare la prima serata di gala della Hall of Fame del Pugilato Italiano.


Un evento unico per il nostro Paese nella storia di questo sport.

Sette innamorati di boxe si sono chiesti come onorare i grandi campioni. Hanno trovato una risposta in quello che accade da tempo in altre nazioni e da noi invece era assente.

Per aprire la Casa della Gloria, BoxeRingWeb (promotore dell’iniziativa) in unione con gli amici del comitato direttivo (Franco Esposito, Davide Novelli, Vittorio Parisi, Alessandro Ferrarini, Gualtiero Becchetti, Flavio Dell’Amore, Dario Torromeo) ha scelto quattro personaggi che nel panorama pugilistico italiano hanno fatto quello che nessun altro è stato in grado di fare. Sono i soli che siano riusciti a vincere l’oro olimpico e il mondiale professionisti.

99

Per questo appuntamento inaugurale è stata dunque premiata l’unicità dell’impresa.

Quella sera saranno celebrati per le loro imprese Nino BenvenutiPatrizio Oliva,Maurizio Stecca e Giovanni Parisi.

I CAMPIONI

Nino Benvenuti 

(26 aprile 1938)

dilettante


Oro pesi welter Roma 1960


Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi

professionista

Mondiale superwelter Wba, Wbc 1965-1966.

Mondiale medi Wba, Wbc 1967

Mondiale medi Wba, Wbc 1968-1970.

Record: 82-7-1 (35 ko).

Patrizio Oliva 

(20 gennaio 1959)

dilettante

Oro pesi superleggeri Mosca 1980


Coppa Val Barker, miglior pugile dei Giochi

professionista

Mondiale Wba superleggeri 1986-1987.

Record: 57-2-0 (20 ko).


Maurizio Stecca 

(19 marzo 1963)

dilettante

Oro pesi gallo Los Angeles 1984

Professionista

Mondiale Wbo piuma 1989.

Mondiale Wbo piuma 1991-1992.

Record: 49-4-0 (22 ko).

Giovanni Parisi 

(2 dicembre 1967 / 25 marzo 2009)

dilettante

Oro pesi piuma Seul 1988

professionista

Mondiale leggeri Wbo 1992-1994.

Mondiale superleggeri Wbo 1996-1998.

Record: 41-5-1 (29 ko).

Terme di Castrocaro

QUANDO


Sabato, 27 ottobre 2018

DOVE


Grand Hotel Terme&Spa di Castrocaro, Via Garibaldi, 2

COSA


Hall of Fame del pugilato italiano

A CHE ORA

La serata di gala avrà inizio alle ore 20:45

 

INFORMAZIONI

0543.767114 (prenotazione cena o pernottamento)

0543.550608 (notizie sportive)

COSTO CENA

Cena di gala: 37,00 euro.

COSTO SOGGIORNO

Due notti (arrivo venerdì 26, partenza domenica 28) comprendente: due pernottamenti in camera doppia con colazione; due percorsi magico benessere p.p.; cena di gala: 246,00 euro

Una notte (arrivo sabato 27, partenza domenica 28) comprendente: un pernottamento in camera doppia con colazione; un percorso magico benessere p.p.; cena di gala: 166,00 euro.

COSI' LA STAMPA

Gazzetta dello Sport

Gazzetta

Corriere dello Sport-Stadio

Corriere dello Sport

Ansa

Ansa

Il Messaggero

Messaggero

Resto del Carlino

Carlino

Corriere di Romagna

Corriere di Romagna

L'Arena

Arena

napoli.com

napoli

 

 18. fine


Hall of Fame del Pugilato Italiano - La casa della Gloria è una produzione BOXE RING WEB
(Autorizzazione Tribunale di Forlì - 2709)
Editore: Flavio Dell’Amore - Copyright: FLAVIO DELL’AMORE – Tutti i diritti riservati.

RIFERIMENTI

BOXE RING WEB

EDITORE FLAVIO DELL'AMORE

Autorizzazione

Tribunale di Forli' n. 2709

CHI E' ONLINE

Abbiamo 555 ospiti e nessun utente online

FORUM

logo boxeringweb2017c

Il Forum a cura di NonSoloBoxe

Per discutere di Boxe e non solo...

CLICCA SUL BOTTONE
PER ACCEDERE AL FORUM

go